lunedì 31 dicembre 2018

Buon anno!!

Questo è il dolce che mi ha portato la mia amica Tiziana per festeggiare il nuovo anno che arriva. Squisito, direi che modo migliore di iniziare il nuovo anno non c'era. Nella ricetta originale è richiesta la nutella, lei l'ha omessa, ma era buonissimo ugualmente.
Auguri di un sereno 2019, in salute e tranquillo!

Torta mousse di Nutella

Ingredienti

\150 gr farina
3 uova
140 gr zucchero
60 ml olio semi
120 gr latte
1 bustina lievito
40 gr cacao amaro

Per la farcia

500 gr mascarpone
2 uova
100 gr zucchero
250 gr nutella

Lavorare le uova con lo zucchero fino ad ottenere un composto spumoso. Versare a filo l'olio e il latte. Miscelare le polveri (farina, cacao, lievito) e aggiungere al composto spumoso mescolando fino ad ottenere un impasto liscio. Mettere carta forno in un teglia, versarvi metà dell'impasto e cuocere a 180 gradi per circa 10 minuti. Intanto preparare la farcia: con delle fruste elettriche mescolare la nutella con le uova, unire il mascarpone e lo zucchero fino ad ottenere una mousse liscia e spumosa. Sfornare la base e versarvi sopra la mousse. Unire l'altra metà del composto facendo attenzione a non mescolare i due composti. Infornare a 180 gradi per circa 40 minuti. Far raffreddare la torta e mettere in frigo per circa 3 ore.

lunedì 24 dicembre 2018

Buon Natale!

Natale quest'anno arriva in un periodo particolare, un po' difficile per me, ma come per magia, ogni tassello inizia a prendere la giusta posizione e anche quest'anno sarà Natale. Auguro a tutti un felice Natale in compagnia di chi amate con questi carinissimi quanto deliziosi alberini di verdura che ho visto sul blog Giallo Zafferano.
Apriamo i nostri cuori alla magia del Natale e tanti auguri a tutti!

Tortini di patate natalizi

Ingredienti

6 Patate
2 cucchiai Olio Extravergine D’oliva
un cucchiaio Farina
4 pizzichi Sale
2 Uova
100 ml Panna Fresca Liquida
Un Cavolfiore Verde (Piccolo)
90 g Formaggio Fresco
Qualche Melagrana (Semino)

Preriscaldate il forno a 190°. Se non possedete uno stampo per muffin in silicone, ungete dei pirottini o uno stampo per muffin in alluminio.
Lavate, pelate e lavate nuovamente le patate. Con una grattugia a fori larghi, grattugiate le patate, facendole cadere su un canovaccio pulito. Avvolgete le patate nel canovaccio e strizzatele.
Trasferite le patate grattugiate in una ciotola, conditele con due pizzichi di sale, i due cucchiai di olio e mescolate. Unite il cucchiaio di farina e mescolatele nuovamente. Dividete il composto di patate nello stampo da muffin, compattandole sul fondo.
Infornate le patate per 15 minuti.
Nel frattempo portate a bollore dell’acqua salata. Dividete il cavolfiore in cimette, con un coltellino affilato, lasciando buona parte del gambo, lavate le cimette di cavolfiore.
Sbattete le uova con due pizzichi di sale e la panna. Sfornate i muffin di patate e versate sopra il composto di uova e dividendolo equamente. Infornate nuovamente per 15 minuti.
Tuffate le cimette nell’acqua bollente e fate cuocere per 15 minuti. Scolatele delicatamente e passatele sotto l’acqua ben fredda. In questo modo si interromperà la cottura e il colore rimarrà di un bel verde brillante.
Sbriciolate sopra le quiche di patate il formaggio fresco e infornate nuovamente, per pochi minuti, fino a farlo fondere.

Io ho utilizzato degli stampini piccoli piccoli in alluminio usa  e getta. La prossima volta passerò le patate tipo purea e unirò le uova subito. Hanno fatto fatica a staccarsi e a rimanere intere.

martedì 18 dicembre 2018

Z - Caffè Zanarini

"Inaugurato nel 1930 fu il fiore all'occhiello dell?impero. Creato da Enrico Zanarini: una ventina di bar e pasticcerie fra Bologna, Imola, Riccione e Rimini".
Quando si è trattato il tema dei caffè (lettera C) volutamente non si è fatto cenno al leader del settore, Enrico Zanarini, un grande imprenditore, il primo a creare una vera e propria catena di locali eleganti, raffinati, dove la qualità dei prodotti e la professionalità dei lavoratori erano universalmente riconosciute e apprezzate.
Enrico Zanarini nacque nel comune di Borgo Panigale il 20 agosto 1875; rimasto organo di padre all'età di 14 anni iniziò a lavorare come garzone in un piccolo negozio di pane e pasta. Riuscì poi a "mettersi in proprio" aprendo a sua volta un piccolo esercizio dove vendeva il pane e la pasta fresca da lui stesso prodotti.  Gli affari andarono bene e riuscì a fare il grande passo rilevando il famoso, bellissimo negozio di abbigliamento E. Guizzardi Successori Baroni, che occupava alcuni locali in angolo fra il portico dell'Archiginnasio e via Farini, si trasferì in via Rizzoli. Il Comune decise di affittare ad attività "confacenti al distinto ambiente del Pavaglione".  Enrico Zanarini non si fece sfuggire l'occasione e stipulò un contratto quinquennale per lire 52.000 annue. Nel 1930, dopo alcuni lavori di ristrutturazione, finalmente potè aprire il suo elegante locale con i tavolini all'esterno. Fu un successo. L'impero di Zanarini aveva trovato la sua corazzata che andava ad aggiungersi a 15 negozi di bar-pasticceria a Bologna, situati nelle più importanti vie delle città, al buffet nel teatro Comunale, a un negozio di Imola, uno a Rimini e due a Riccione. A tutto ciò si affiancò un'accurata azione di marketing incentrata sul marchio Zanarini.
In 40 anni di attività, Enrico Zanarini riuscì a realizzare qualcosa che non aveva precedenti nella città: la più grande catena di bar-pasticceria.
Morì il 7 novembre 1948 e l'attività fu proseguita dal figlio Giorgio (Bologna, 1926), che aveva seguito il padre fin da ragazzo. Giorgio migliorò il locale del Pavaglione e nel piano superiore realizzò una piccola pista da ballo circolare.
Nel 1964 Giorgio Zanarini decise di cedere il passo e vendette a Velio Bartolini di Rimini, che 20 anni dopo, cedette al cavaliere Giorgio Orlandi, bolognese, imprenditore del settore e gestore di due prestigiosi bar-pasticceria, il Mocambo e il S. Domenico. Orlandi passò la mano nel 2001. Le serrande rimasero abbassate per quattro anni. Poi riaprì, vestito di nuovo, nel solco della tradizione.

martedì 11 dicembre 2018

Voltone del Podestà

"Sui pilastri del Voltone del Podestà" è appoggiata la torre dell'Arengo. Una Madonna miracolosa e le forche ancora visibili."
I turisti non si fanno mancare la curiosità del "telefono senza fili": parlando all'interno di ogni angolo del Voltone del Podestà la voce può essere sentita in un altro angolo. La volta a crociera agevola l'effetto acustico e permette questo risultato.
Tuttavia, sono altri i grandi pregi di questo luogo architettonico che unifica tre edifici come il Palazzo del Podestà, il palazzo Re Enzo e il palazzo del Capitano del Popolo: anzitutto il fatto quasi incredibile che la torre dell'Arengo, costruita nel 1212, sia appoggiata e sorretta dai pilastri del Voltone del Podestà. Inoltre il Voltone è abbellito da opere d'arte: basta alzare lo sguardo per ammirare le vele della volta affrescata nel 1516 con le figure dei quattro evangelisti e, agli angoli, poggiate su mensole, le statue di Alfonso Lombardi (1525) che raffigurano i santi protettori di Bologna, Petronio, Francesco, Domenico e Procolo.
Il Voltone era un punto di riferimento per i cittadini: si chiacchierava, si commerciava, si assisteva alle pene capitali che si eseguivano in Piazza Maggiore. E poi c'era la fede, rappresentata da una immagine della Madonna dipinta su un pilastro del Voltone. Una Madonna miracolosa, secondo quanto scrisse Antonio Masini nella sua Bologna perlustrata: "un soldato della guardia ponendosi ad orinare davanti a quella immagine, ripreso da alcuni, arrogantemente rispose che la Madonna era in cielo e subito divenne cieco cadendo  per terra come morto; ma chiedendo perdono ritornò sano". Da allora il Voltone fu denominato Voltone della Madonna del Popolo: per conservare il dipinto fu poi costruita una cappella votiva lungo il braccio che porta a piazza Nettuno. Nei secoli successivi la venerazione della Madonna del Popolo andò scemando e la cappella rimase abbandonata e - ancor peggio! - durante la notte la piccola chiesa diventava luogo dato agli scandali. Ciò indusse l'arcivescovo a ordinare (1772) la rimozione della sacra immagine. La chiesetta fu poi abbattuta.
Sotto il braccio che dà su San Petronio sono visibili le due forche collocate nel 1604: il primo a essere impiccato fu tale Domenico Grandi. Al momento di salire la scala verso il patibolo si gettò tra la folla. Il boia lo catturò e, infuriato, lo strozzò con le sue mani.
Tre curiosità: nel 1911 aprì l'albergo diurno voluto da Cleopatro Cobianchi: chiuse nel 1998. Per decenni, fino al 1884, sotto il Voltone vi era il casotto dei burattini di Filippo e Angelo Cuccoli. Per anni sotto il Voltone si è tenuta la fiera del libro.

lunedì 10 dicembre 2018

U - Ugo Bassi

"Il prete barnabita Ugo Bassi, patriota convinto divenne cappellano militare di Garibaldi. Arrestato dagli austriaci, fu fucilato".
Fu battezzato col nome di Giuseppe ma in seguito, in omaggio al poeta Ugo Foscolo, aggiunse il nome Ugo. Nato a Cento di Ferrara il 12 agosto 180, nel 1803 la famiglia di Ugo Bassi si trasferì a Bologna dove il giovane iniziò gli studi prima presso i padri Scolopi e poi presso i padri Barnabiti.
All'età di 20 anni prese i voti ed entrò nell'ordine dei Barnabiti. Vista la sua propensione a predicare, il suo ordine religioso lo "utilizzò" come predicatore e dal 1828 egli entrò nelle maggiori chiese d'Italia suscitando l'entusiasmo dei fedeli. I bolognesi lo apprezzarono in occasione della predica che tenne in San Petronio nel 1835.
Tuttavia le sue prediche spesso contenevano espressioni critiche di carattere politico, entusiasmando i liberali ma creando forti perplessità nelle gerarchie ecclesiastiche: fu invitato a Roma da papa Gregorio XVI che lo volle conoscere e gli consigliò prudenza.
Quando il nuovo papa Pio IX amnistiò i detenuti politici e lasciò intendere di volere un'altra Italia unita, Ugo Bassi esultò e scrisse un sonetto in lode del Papa, affiggendolo a una colonna all'angolo di Strada Maggiore. Ma Pio IX deluse le aspettative e Ugo Bassi riprese, anche con veemenza, le prediche contro gli austriaci criticando il governo Pontificio: gli fu fatto divieto di predicare.
Nel 1848, incurante delle restrizioni impostegli, decise di impegnarsi in prima persona per l'affermazione dei suoi ideali patriottici: il 25 aprile 1848 tenne un famoso discorso dalla scalinata di S. Petronio di fronte a una piazza gremita. Chiese ai bolognesi di sostenere la lotta per l'unità di Italia con offerte di denaro, preziosi e altri oggetti. Poi raggiunse Giuseppe Garibaldi che stava difendendo in armi la Repubblica romana contro le truppe francesi chiamate dal Papa. Dopo la sconfitta, Ugo Bassi, divenuto cappellano militare delle truppe garibaldine,  fuggì con lo stesso Garibaldi, Anita e altri compagni verso l'Adriatico. Arrestato a Comacchio il 3 agosto 1849 con il capitano Giovanni Livraghi, fu trasferito in carcere a Bologna: senza alcun processo, entrambi furono condannati alla fucilazione, per ordine del generale Gorzkowski. L'esecuzione avvenne l'8 agosto 1849, un anno esatto dopo la gloriosa giornata di lotta dei bolognesi, fra il 66° ed il 67° arco  del portico che dal Meloncello conduce alla Certosa, all'altezza della torre di Maratona dello stadio comunale.
Il coraggioso barnabita fu un precursore dell'Italia Unita e per essa non esitò a offrire la propria vita.

martedì 4 dicembre 2018

Bavarese al cioccolato con inserto alle nocciole caramellate


Dovevo fare una torta  per un ventesimo compleanno, la volevo buona. Ho deciso quindi di andare a rovistare tra le splendide ricette di Pinella scegliendo questa. Sapevo in partenza che non avrei potuto sbagliare anche volendo, ma mai immaginavo che sarebbe stato innamoramento totale. Buonissima!! Per le decorazioni non mi sono espressa troppo tranne un poco di cacao sul piatto :-), ma la superficie doveva venire coperta dalle candeline...
Riporto le sue spiegazioni da una ricetta di Maurizio Santin.

Bavarese al cioccolato con inserto alle nocciole caramellate

Biscuit fondant al cioccolato

250 g di cioccolato al 50%
200 g di burro
180 g di zucchero semolato
200 g di uova intere
70 g di farina setacciata

Far fondere il cioccolato a bagnomaria e farlo freddare fino a 40°C. Ridurre il burro in pomata, cioè ammorbidirlo anche poche secondi al MO e poi lavorarlo con un cucchiaio fino a renderlo simile ad una crema. Poi metterlo in planetaria e montarlo con lo zucchero, le uova ma aggiunte lentamente e infine la farina. A questo punto amalgamare il cioccolato. Prendere una teglia da biscotti da 30 x 40 cm , foderarla con carta forno e stenderci il biscuit. Infornare a 170°C a forno leggermente aperto per 14 minuti. Il biscuit deve sembrare poco cotto. Fatelo raffreddare poi mettetelo in frigo.
Bavarese al cioccolato

350 g di crema inglese per cremosi
6 g di gelatina
150 g di cioccolato al 70%
Oppure
160 g di cioccolato al 60%
Oppure
175 g di cioccolato al 55
Oppure
210 g di cioccolato al latte o gianduia
450 g di panna montata

Preparare la crema inglese e aggiungervi la gelatina. Far fondere il cioccolato e versarvi al centro la crema inglese, in più volte e lavorando come per una maionese. Far scendere la temperatura a circa 35°C e aggiungervi la panna montata.

Crema inglese di base per cremosi 

700 g di panna fresca
300 g di latte fresco
220 g di rossi d’uovo
130 g di zucchero

Bollire insieme latte e panna, mescolare in una bacinella lo zucchero con le uova cercando di incorporare meno aria possibile. Unire il liquido bollente alle uova e rimettere il tutto nella casseruola, riportare sul fuoco e cuocere sino a raggiungere la temperatura di 82/85°. Passare al setaccio e omogeneizzare con l’aiuto di un mixer ad immersione.

Bavarese alle nocciole caramellate 
4 tuorli
100 di zucchero semolato
250 di latte fresco intero
300 di panna fresca
6 di gelatina 
2 cucchiaiate generose di nocciole caramellate 

Scaldare bene il latte. Battere i tuorli con lo zucchero, facendo attenzione a non creare troppa schiuma (non battere eccessivamente) e aggiungere il latte caldo. Cuocere la crema a fuoco molto basso finché vela il cucchiaio, cioè portarla alla temperatura di 82°C-85°C. Togliere dal fuoco ed unire la polvere di nocciole e la colla di pesce precedentemente ammollata. Fare raffreddare la crema finché raggiunge la temperatura di 30-32°C. Nel frattempo montare la panna ed unirne una cucchiaiata alla crema senza particolari precauzioni. Versare la crema nella panna e rimescolare con delicatezza. Colare la bavarese in uno stampo ad anello di circa 20 cm e farlo freddare in freezer.
NOTA:Avevo già fatto per un altro dessert una bavarese alle nocciole e avevo tenuto da parte un disco di circa 20 cm di diametro e 2 cm d'altezza. Ecco perché la ricetta è differente da quella di Santin, ma se decidete di fare il dolce, aggiungete alla crema inglese una generosa cucchiaiata di nocciole caramellate ben tritate e poi continuate come ho spiegato.
Io non avevo le nocciole caramellate le ho fatte, facendo caramellare un poco di zucchero poi buttando le nocciole e rimescolando. Spento, fatto raffreddare e tritate.


Composizione
Rivestire di acetato uno stampo ad anello di 24 cm di diametro. Colare all'interno la bavarese al cioccolato fino a circa metà altezza. Far freddare in frigo per circa 10 minuti. Inserire al centro la bavarese di nocciole, sistemare sulla superficie ancora un po' di nocciole caramellate tagliate grossolanamente e ricoprire con la restante bavarese.


Livellare e far freddare in freezer. Ritagliare un disco di biscotto al cioccolato e adagiarlo sulla superficie del dolce. Capovolgere la bavarese sul piatto e decorare.
Io ho spolverizzato la superficie con un po' di cacao amaro e ho, quindi, ricoperto con un velo di glassa neutra a freddo, spalmandola con una spatola. Ripetere lo stesso anche sui bordi e "incollare" alla base delle crepes dentelles sbriciolate.
Decorare con nocciole caramellate ed evoluzioni di cioccolato.

domenica 2 dicembre 2018

T - Tortellini


"I tortellini, la pasta fresca e la mortadella contribuirono al rilancio dell'economia bolognese dalla seconda metà dell'ottocento."
Fino agli ultimi decenni dell'Ottocento Bologna era una città povera: tanti cittadini pativano la fame, le condizioni igieniche delle abitazioni erano spaventose, di industrie nemmeno l'ombra il lavoro scarseggiava e, quando c'era, era mal pagato. In altre nazioni si usava già l'elettricità, o almeno il motore a vapore, mentre a Bologna si continuava a usare l'energia dell'acqua, con l'aggravante della scarsa manutenzione di canali e condotti.
La ripresa fu determinata dal coraggio di imprenditori che verso la fine del secolo investirono sull'innovazione tecnologica. Svettò nel cielo la prima ciminiera di una fabbrica, la Calzoni in via Boldrini. Ma i settori che maggiormente si svilupparono furono quello dei salumi e della  pasta fresca: mortadella e tortellini diedero un grande impulso allo sviluppo economico.Nacquero molte fabbriche "a vapore" per la produzione di salumi e si diffusero laboratori di pasta fresca dove lavoravano miglia di "tortellinaie".
Le ditte Bertagni e Zambelli, fra i più famosi produttori di pasta fresca, si attrezzarono con moderni stabilimenti puntando anche sull'esportazione dei loro prodotti. Ma determinante per lo sviluppo dell'industria alimentare bolognese fu la tecnologia, con la scoperta della scatola a chiusura stagna. Ciò permise l'esportazione annua di 2000.000 mortadelle di vario peso e di quintali di pasta fresca, soprattutto tortellini.
Il boom della pasta fresca indusse altri imprenditori ad aprire stabilimenti e laboratori che misero in crisi quelli già affermati: Bertagni si vide costretto, nel 1909, a licenziare 42 delle 95 "tortellinaie" della fabbrica di via Milazzo. Fu il primo sciopera al femminile e fece molto rumore nella città e sui giornali.
Ma la vera e propria rivoluzione nel settore fu ancora introdotta dal progresso tecnologico: nel 1909 un'azienda bolognese, la ditta Zamboni & Troncon con officina in via Frassinago, mise a punto una "tortellinatrice", cioè una macchina in grado di produrre 5.000 tortellini all'ora La macchina stendeva la sfoglia, la tagliava in quadretti sui quali veniva collocato il ripieno e, infine, chiudeva il tortellino.
Dopo questa macchina, che nel 1912 ottenne la medaglia d'oro del "Premio Umberto I", l'azienda ne mise a punto altre per produrre paste alimentari (tagliatelle, farfalle...). In quell'officina di via Frassinago si formarono Armando Simoni, che fondò la OMAS (PENNE  stilografiche), e Otello Cattabriga, che aprì l'azienda per la produzione di macchine per gelati.


venerdì 30 novembre 2018

S - Seta

"Per oltre tre secoli Bologna fu la capitale europea della seta. Merito della tecnologia e di un elaborato sistema delle acque che fornirono l'energia per far funzionare ruote e telai. " Quando a partire dal 1176, furono canalizzate verso Bologna le acque del Savena e del Reno gli obiettivi del Comune di Bologna furono quelli di completare il sistema difensivo riempiendo il fossato attorno alle mura, di alimentare i mulini da grano, di irrigare gli orti, di garantire l'igiene urbana tramite le prime fognature , per usi domestici, per abbeverare gli animali e alimentare gli stagni per l'allevamento del pesce. Poi si scopri che l'acqua poteva fornire energia ai mulini da seta e ad altre lavorazioni, ottenendo maggiore produttività e risparmio di mano d'opera. Infine il sistema delle acque fu completato con la realizzazione di un grande canale di navigazione, il Navile, per trasportare merci e persone, e di un porto (548). Nel 1231 alcuni setaioli di Lucca si trasferirono a Bologna; poi ne giunsero altri dalla Toscana da Verona e dalla Lombardia, attirati da incentivi e agevolazioni comunali.
Canalizzate le acque del Savena e del Reno, per poter sfruttare l'energia delle acque si diede vita a un capillare sistema di condotti sotterranei per portare l'acqua nelle cantine e alle ruote. Un vero sistema di infrastrutture costituito da circa 70 chilometri di condotti sotterranei e di superficie, unico in Europa. Ma la vera rivoluzione avvenne nel 1341 quando Bolognino di Borghesano da Lucca chiese la licenza di poter installare un filatoio meccanico sul canale di Savena fra le attuali via Castellata e Rialto, dove si poteva sfruttare un salto dell'acqua. L'edificio, con portale con ghiera di cotto ad arco acuto, è ancora riconoscibile in via Castellata. Si insediarono poi molti altri filatoi meccanici, ma solo entro le mura: una vera e propri "industria della sete" che diede lavoro ad almeno 20.000 persone, soprattutto donne. Senza considerare l'indotto (tintori, sarti e mercanti) e l'impatto urbanistico, con la costruzione di edifici destinati a ospitare i filatoi. La Corporazione dell'Arte della Seta divenne potentissima condizionando l'economia della città.
Nel Seicento erano attivi 120 mulini da sta, 95 dei quali utilizzavano le acque del canale Reno: organzino, veli e tessuti, benchè costosi, non temevano la concorrenza sul piano della qualità ed erano esportati in Europa. Per circa quattro secoliBologna fu la capitale europea della seta. Dalla seconda metà del Settecento per la sta bolognese fu la fine. Le cause? Costi elevati, dirigismo protezionistico, monopolio, concentrazione urbana e una concorrenza sorretta da nuove fonti energetiche.

R - Rizzoli Francesco

"Oltre a rappresentare l'eccellenza nella chirurgia bolognese, Rizzoli  donò a Bologna l'Istituto Ortopedico divenuto celebre in tutto il mondo".
Rimase orfano all'età di cinque anni, quando il padre, ufficiale napoleonico, fu ucciso in Calabria da una banda di briganti. Francesco Rizzoli,nato a Milano nel 1809, fu, perciò affidato allo zio che viveva a Bologna e che lo mantenne agli studi, ottenendo la soddisfazione di vederlo  laureato in chirurgia a soli 20 anni e poi in medicina due anni dopo. Rizzoli lavorò prima all'Ospedale del Ricovero, poi all'Ospedale Maggiore e, contemporaneamente, scalò i vari gradi per ottenere la cattedra di Clinica chirurgica (1855) lasciata dieci anni dopo a seguito di un dissidio col Ministero per dedicarsi all'attività di medico privato e di primario all'Ospedale Maggiore.
Nonostante queste gravose attività, Rizzoli non rinunciò all'impegno civile e politico: nelle vicende dell'8 agosto 1848 lo troviamo sulle barricate non nella veste di medico, ma di combattente, meritandosi la nomina - come riferisce il Bottrigari - di "Comandante interino della piazza di Bologna col grado di Tenente Colonnello". Nel 1859 fu deputato all'Assemblea delle Romagne e nel 1879 fu nominato senatore del Regno. Dal 1862 fu consigliere provinciale.
Che la sua fama di medico avesse oltrepassato i confini di Bologna lo dimostra la richiesta giuntagli dal Governo, nel 1862, di visitare Giuseppe Garibaldi, ferito all'Aspromonte, e tentare di estrarre la pallottola; ma l'operazione non riuscì nè a Rizzoli nè ad altri 20 medici intervenuti allo stesso fine. Vi riuscì poi un medico toscano.
Due anni prima della morte, che avvenne il 24 maggio 1880, Francesco Rizzoli decise - chiedendo l'anonimato - di acquistare dal Demanio il complesso ex conventuale di San Michele in Bosco per crearvi una struttura ospedaliera dedicata all'ortopedia,. Inoltre, per testamento, destinò l'ingente somma di lire 1.750.000  per dar vita all'Istituto Ortopedico e per la tutela delle parti storico - architettoniche del complesso religioso. Con il nome di Istituto Ortopedico Rizzoli, la struttura fu inaugurata dal re Umberto I il 28 giugno 1896. Nel corso dei decenni l'Istituto Rizzoli è diventato un'eccellenza nel settore. Rizzoli abitò in Strada Maggiore, 37; in questo immobile di sua proprietà abito per 15 anni anche Giosuè Carducci.
Francesco Rizzoli è stato il precursore nella chirurgia bolognese e ha contribuito a introdurre innovazioni come l'anestesia, sperimentando il cloroformio, ma anche tramite l'ideazione di strumenti chirurgici. La sua tomba è in San Michele in Bosco.

martedì 27 novembre 2018

Q - Via 4 Novembre

"Era stata denominata via Tre novembre, per celebrare la fine della Prima guerra mondiale. Poi fu mutata in via Quattro novembre per celebrare la vittoria".
La denominazione di questa via intende richiamare il giorno in cui fu letto dal generale Armando Diaz il "Bollettino della Vittoria" che annunciava il successo contro l'impero austro-ungarico sancita dall'armistizio di Villa Giusti.
Tuttavia, per più di 20 anni questa via fu denominata "Via 3 novembre". Così infatti decise la giunta socialista guidata da Francesco Zanardi.
La spiegazione è semplice: i socialisti, neutralisti o non interventisti, vollero celebrare la fine della guerra e non la vittoria. Fu poi il Podestà, nel 1942, a modificare la denominazione nella più patriottica via 4 novembre.
Per secoli questa strada fu denominata via Asse (o via delle Asse): infatti esisteva , addossata alla fiancata del palazzo Comunale, una cappella fatta con assi di legno per proteggere un'immagine della Madonna dipinta sul muro del palazzo stesso.
Questa strada ospitava la Cappelleria Dante Barbetti, uno dei negozi più antichi di Bologna, presente fin dall'Ottocento: ora c'è un altro negozio, ma resa l'insegna originaria. Un'altra presenza storica, in angolo con via de' Fusari, è stato il negozio di tessuti G.F. Pasquini, del quale resta la storica insegna, trasferitosi per lasciare spazio a un ristorante.
Di fronte alla recente piazza Roosvelt sorge il palazzo della Prefettura, nato come palazzo Caprara, la famiglia senatoria che abitò l'immobile (esonerato dall'obbligo del portico) poi ricostruito nel 1603; anche il palazzo attiguo (con portico), dal Settecento fu dei Caprara che ne affidando la  ristrutturazione ad Alfonso Torreggiani. I Caprara ebbero ospite più volte Napoleone Bonaparte. Finì che Caprara cedette il suo palazzo a Napoleone che ne fece dono a Giuseppina Beauharnais. Negli anni successivi il palazzo passò al banchiere Raffaele De Ferrari poi al Duca di Montpensier. Dopo il 1860 divenne palazzo del Governo.
Fino al 1936 davanti a palazzo Caprara c'era un piccolo borgo costituito da case e strade, abbattuto per far spazio alla piazza Roosevelt.
Il palazzo Dall'Armi-Marescalchi (al civico 5), ricco di opere d'arte (Reni, Carracci, Tibaldi) ospita gli uffici della Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio. La lapide sulla facciata del palazzo al n. 7 informa che lì nacque Guglielmo Marconi il 25 aprile 1874.
Infine, una curiosità: sulla fiancata di palazzo Caprara all'angolo con via Volto Santo, si può leggere una lapide che ci informa che lì abitava Guido Guinizelli e che Benvenuto Rambaldi  lesse per la prima volta pubblicamente la Divina Commedia.

lunedì 19 novembre 2018

P - Basilica di San Petronio


"Il 7 giugno 1390 fu posta la prima pietra. Finanziata dai bolognesi, fu completata nel 1663. E' la sesta chiesa europea per grandezza."
Nel 1388 il Comune di Bologna deliberò la costruzione della chiesa da dedicare al Santo Patrono Petronio: circa il luogo in cui costruire la chiesa, fu deciso che la facciata dovesse dare sulla piazza. Siccome già esistevano il palazzo del Podestà e il palazzo acquistato da
il giurista Accursio ed essendo da escludere l'idea di abbattere l'intero Quadrilatero, non rimaneva altra posizione che quella di fronte al palazzo del Podestà. Su quel lato esisteva solo il palazzo dei Notai e una serie di edifici di non grande pregio. Questa chiesa, negli intenti del Comune avrebbe rappresentato la sintesi degli ideali civili e di quelli religiosi. L'incarico di redigere il progetto fu affidato ad Antonio di Vincenzo (1350-1401) che già aveva realizzato il palazzo dei Notai, la Loggia della Mercanzia (in seguito, il campanile di San Francesco).
Secondo il progetto la chiesa avrebbe dovuto misurare m 183 di lunghezza mt 137 di larghezza (finì con 132 di lunghezza e mt 60 di larghezza). 
L'area che fu individuata, ben 13.000 mq, si estendeva dalla piazza Maggiore fino all'attuale via Farini: un intero isolato con molte case, torri e otto chiese. Il 7 giugno 1390 avvenne la cerimonia della posa della prima pietra.
Fu nominato un comitato (i fabbricieri) per seguire la costruzione e reperire i fondi necessari, a patto di non imporre nuove tasse o gabelle, non emettere titoli del debito pubblico e non fare affidamento solo su collette pubbliche perchè queste non danno certezze di entrate continuative.
Un grave intoppo avvenne quando il legato Baldassarre Cossa (eletto papa Giovanni XXIII a Bologna, poi deposto come antipapa) si impossessò del denaro destinato alla fabbrica: fu necessario, quindi, trovare nuove fonti di finanziamento: una ritenuta del 10% che colpiva le opere pie, i conventi, le chiese, gli ospedali, ecc. un'imposta dell'1.66% su salare i stipendi dei pubblici dipendenti, una trattenuta sui lasciti a favore di pie iniziative, la confisca delle eredità di chi era deceduto senza testamento e senza discendenti entro il quinto grado. 
Una somma notevole provenne dalla concessione a privati o a corporazioni del diritto di giuspatronato sulle cappelle della chiesa.
Ciononostante la mancanza di fondi costrinse a rinunciare alla grande chiesa e il investimento marmoreo della facciata, già iniziato nel 1538. su sospeso.
La costruzione di San Petronio si concluse nel 1663. E' stata consacrata nel 1954. E' la quarta chiesa più grande d'Italia e la seta d'Europa.

domenica 18 novembre 2018

O - Via degli Orefici

"La via dove c'era la sede della Compagnia dell?Arte degli Orefici nel corso dei secoli ha visto insediarsi altre attività, come il famoso Bar Otello.
Via degli Orefici, via Caprarie, via Pescherie, via Clavature, via Drapperie, via Calzolerie: la denominazione di queste vie, assieme ad altre, ci parla di di arti e mestieri, della Bologna medievale, di una città disegnata sulla base di queste attività. Una Bologna che scoprì i meccanismi dell'economia al fine di offrire benessere a una fascia più ampia d popolazione. In via Orefici c'era la sede della Compagnia dell'Arte degli orefici, cioè degli artigiani che lavoravano il prezioso metallo. Nel corso dei secoli, oltre agli orefici, altre attività economiche sono comparse in questa via così centrale.
Ma circa un secolo fa via Orefici ha cambiato volto, tessuto sociale ed economico a seguito dei mutamenti avvenuti con l'allargamento di Via Rizzoli e appunto, dell'asse Orefici - Cararie. I lavori che riguardarono queste vie furono eseguiti nel 1915 e si conclusero con la costruzione d palazzo Ronzani, dove fu realizzato anche il grande cinematografo Modernissimo, poi Arcobaleno: gli edifici a sud sono rimasti quelli antichi, quelli a nord sono nuove costruzioni. Una grave ferita fu inferta a questa via dall'esplosione con conseguente incendio, avvenuti il 9 luglio 1902, del negozio Malmusi e Gentili, la più grande drogheria di Bologna, sia negozio al dettaglio sia magazzino per la vendita all'ingrosso. C'era di tutto, anche la benzina per le poche autovetture che già circolavano. Fu proprio l'esplosione di taniche di benzina a scatenare un enorme incendio con conseguente crollo dell'edificio: intervenuti i pompieri, tre di essi persero la vita: il tenente Benito Stagni, il maresciallo Luigi Landuzzi e Alfonso Marescalchi, come è ricordato in una lapide con corona dall'alloro in via Orefici, 6.
Nel corso degli ultimi decenni uno dei locali più noti fu il Bar Otello, aperto da Otello Montanari, tifosissimo del Bologna Quel bar divenne il ritrovo dei tifosi: il lunedì questi occupavano via Orefici dove passavano le auto, il tram e c'era un capolinea. Otello morì l'8 ottobre 1967; fece in tempo a vivere l'ultimo scudetto rossoblù.
Negli ultimi 30 anni vi è stato un forte ricambio della presenza dei negozi in particolare sono stati aperti molti locali di ristorazione. C'era il famoso cinematografo Eliseo (ora libreria Coop), sono rimasti pochi dei tanti orefici e la Farmacia dell'Annunziata.
Fanno parte dei ricordi la pescheria, un panificio, un fruttivendolo e due negozi frequentati dalle donne: Diamant e Tingipell.

giovedì 15 novembre 2018

N - Nettuno




"La statua e la fontana furono inaugurate il 16 dicembre 1566 fra grandi feste. Il tridente del Nettuno ha ispirato il simbolo della Maserati".
Fino al 1564 nel luogo in cui sorge piazza Nettuno vi era un nucleo di edifici non propriamente eleganti. Il vice legato Pierdonato Cesi, scelto nel 1560 dal Legato di Bologna Carlo Borromeo, decise di inserire questa area nel programma di abbellimento e "decoro" artistico della città.
Pierdonato Cesi fu il vero governatore di Bologna per quattro anni, visti gli impegni del legato Carlo Borromeo, futuro santo.
A Cesi, uomo colto e abile amministratore, si deve la costruzione, in 18 mesi, dell'Archiginnasio, destinato a ospitare l'Università, l'abbellimento del palazzo Comunale, la ristrutturazione dell'Ospedale della Morte. L'opera che maggiormente ha mutato l'assetto urbano fu proprio l'apertura della piazza nella quale collocare la fontana e la statua del Nettuno. Dopo l'approvazione del progetto della piazza nella quale collocare la fontana da parte di papa Pio IV nel 1564, Cesi avviò i risarcimenti dei proprietari degli immobili per passare immediatamente all'abbattimento. In breve tempo su freata la piazza di 3.800 mt.
Quindi Cesi fece un contratto con Tommaso Laureti per 1"10 scudi d'oro al mese sino che sarò finita l'opera" per realizzare il condotto che portasse l'acqua alla fontana: l'acqua fu prelevata dalla fonte Remonda a San Michele in Bosco e portata fino al Nettuno, poi al giardino dei Semplici, poi alla Fontana Vecchia.
Fu poi lo stesso Laureti a "ingaggiare " oltre allo scultore Giambologna (Jean de Boulogne 1529-1608) che stava lavorando a Firenze per il granduca Francesco De Medici, il fonditore Zenobio Portigiani per la somma complessiva di 1.000 scudi d'oro. Tuttavia, al momento di procedere alla fusione del bronzo, vi fu un dissidio fra lo scultore e il fonditore. Giambologna si offrì (per 170 scudi d'oro) di provvedere lui stesso alla fusione, che riuscì difettosa.
Il 16 dicembre 1566 la statua del Nettuno fu collocata nella fontana fra grandi cerimonie.
Fecero festa anche le venditrici di frutta e verdura e le lavandaie che subito utilizzarono la fontana per le loro esigenze. Dopo aver intimato più volte il divieto a tali usi, nel 1604 fu deciso di chiudere la fontana del Nettuno all'interno di una cancellata di ferro che fu tolta nel 1888.
Qualche curiosità:
il costo per la realizzazione della fontana e della statua fu di 70.000 scudi d'oro;
il tridente del Nettuno ha ispirato il simbolo della Maserati, casa automobilistica fondata a Bologna;
durante le due guerre mondiali il Nettuno è stato difeso ingabbiandolo in una "casa" di legno e poi rimosso e nascosto;
in Belgio, in Georgia e in California sono state realizzate copie fedelissime della fonta e della statua.
Il recente restauro, promosso da "Il Resto del Carlino" tramite una raccolta fondi, si è concluso alla fine del 2017. Il precedente restauro, finanziato dall'Associazione industriali, risale al 1988. Fu eseguito nel "Cortile d'onore" del palazzo Comunale. Qui la statua fu ospitata in una "casa" di legno, opera dello scultore Mario Ceroli, affinchè i cittadini potessero assistere all'opera dei restauratori.

mercoledì 14 novembre 2018

M - Monte di Pietà


"Fondato nel 1473,il Monte fu un'istituzione benefica per la città fino all'arrivo dei francesi nel 1796 che lo spogliarono del denaro e dei pegni".
Il primo Monte di pietà fu fondato a Perugia nel 1462 a seguito della predicazione del frate francescano minore osservante Michele Carcano, milanese (1427-1484). Da allora ne furono fondati oltre 100, soprattutto nel Centro-Nord. I monti di pietà nacquero per combattere l'usura ed erogare prestiti su pegno al ceto meno abbiente in temporanea difficoltà. Fino al 1515 non fu applicato alcun tasso d'interesse sui prestiti. In seguito e fino al 1796 i tassi oscillarono fra il 3 e il 5 per cento.
Anche a Bologna f Michele Carcano a fondare il Monte di pietà che iniziò a operare il 23 aprile 1473. La prima sede fu all'angolo fra l'attuale via Farini e il Pavaglione e il primo direttore fu il mercante Giovanni Bolognini.
Alla fine del Cinquecento, a conferma del successo fra la popolazione, il Monte di pietà di Bologna contava già otto filiali, quattro a Bologna e quattro nella Provincia (Budrio, Castel S. Pietro, S. Giovanni in Persiceto, Castel Bolognese)). Inoltre gestiva alcune tesorerie comunali, fra cui quella del Tribunale Criminale, e amministrava il patrimonio di numerose Opere Pie, soprattutto quelle rivolte a "dotare" le "zitelle!"affinchè potessero sposarsi o monacarsi.
Alla fine del Seicento il Monte di pietà di Bologna diede vita a due Monti specializzati nell'erogazione del credito attraverso operazioni di anticipazioni su merci a operatori del settore della seta e della canapa, ambiti che davano lavoro a oltre 35.000 cittadini.
All'arrivo dei francesi, nel giugno 1796, il Monte di Bologna fu "spogliato": i francesi individuarono nel Monte l'unico soggetto in grado di pagare, per conto della collettività bolognese, oltre 4.000.000 di lire come "diritto di conquista". I 100 dipendenti del Monte furono licenziati e la banca rimase chiusa fino al 1802, quando, con soli tre dipendenti, riaprì su pressione popolare. Nel corso del Novecento il Monte di Bologna si espanse e nel 1964 assunse la denominazione di Banca del Monte di Bologna e Ravenna, avendo assorbito i Monti di Ravenna e di Bagnacavallo.
Nel 1991 la Banca del Monte di Bologna e Ravenna (1139 dipendenti e 68 filiali) e la Cassa di Risparmio di Modena si fusero dando vita a Carimonte Banca che poi si fuse con il Credito Romagnolo (Rolo Banca 1473) e infine l'aggregazione all'interno del nuovo soggetto Unicredit. 
Un tassello della storia di Bologna è scomparso: ora la sede storica del Mote in via Indipendenza, 11 è desolatamente vuota. A ricordare la sua presenza secolare, la bella pietà sul portale.

martedì 13 novembre 2018

L - Lombardi Alfonso

"Sue sono le sculture dei quattro santi protettori di Bolgona sotto il Voltone del Podestà, come pure le 14 sculture de "il funerale della Vergine" nell'Oratorio di Santa Maria della Vita. I
I primi 20 anni della sua vita Alfonso Lombardi 81497- 1537) li visse a Ferrara, sua città natale. Si trasferì a Bologna quando la Signoria dei Bentivoglio era già stata abbattuta da papa Giulio II.Infatti, la prima opera che gli fu commissionata (1519) fu "Ercole e l'Idra", una statua i terracotta che doveva rappresentare il Papa (Ercole) che schiaccia i Bentivoglio (L'Idra). La statua fu dipinta di verde scuro in modo da farla sembrare di ronzo. La scultura si trova al primo piano del palazzo Comunale ("sala d'Ercole).
A poca distanza da questa opera lodata da Giorgio Vasari, firmò il contratto per realizzare il grande gruppo scultoreo "il transito della Vergine" (1522) da collocare nell'Oratorio si Santa Maria della Vita. Sono 14 statue e raffigurano l'episodio del giudeo che tenta di oltraggiare il feretro della Vergine, ma viene punito dall'ira divina raffigurata da un angelo con la spada che scende dal cielo.
E' del 1525 un'opera significativa e prestigiosa per Alfonso Lombardi: si tratta delle quattro statue che raffigurano i santi protettori di Bologna (Francesco, Domenico, Petronio e Procolo) collocate sotto il Voltone del Podestà.
Mentre lavorava a queste opere Lombardi realizzò il "Compianto sul Cristo morto", prima collocato nella cripta della Cattedrale di San Pietro, poi, nel 1992,  dovendosi restaurare la cripta, il cardinale Giacomo Biffi fece trasferire il gruppo scultoreo nella Cappella X. In origine l'opera di Lombardi era policroma, ora si presenta in nuda terracotta.
Nel 1531 Alfonso Lombardi fu chiamato a lavorare all'Arca di San Domenico dve avevano operato artisti del calibro di Michelangelo, Niccolò dell'Arca, Nicola Pisano.
Se fu prestigioso lavorare all'Arca, ancor più importante fu l'incarico di eseguire sculture in marmo sul portale e su una lunetta di San Petronio.
Uno degli ultimi lavori di Lombardi (1533) fu il monumento funebre del condottiero Armaciotto de' Ramazzotti che si può ammirare nella chiesa di S. Michele in Bosco.
Deceduto Papa Clemente VII, fu chiamato a Roma per eseguire il monumento funebre di questo Papa; ma l'incarico gli fu inopinatamente tolto e affidato a Baccio Bandinelli. Lombardi, che già si era recato a Carrara per l'acquisto del marmo necessario, rimase sconcertato e avvilito. Rientrò a Bologna malato, secondo il Vasari a causa dell'offesa ricevuta, e qui morì nel 1537 a soli 40 anni.
Una curiosità: il vero cognome dello scultore fu Cittadella, ma preferì assumere il cognome materno, Lombardi.

J - Jacopo della Quercia

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"Lo scultore per ben 9 anni lavorò per realizzare numerose formelle sulla facciata di San Petronio: forse Michelangelo ne trasse ispirazione per la Cappella Sistina".
Jacopo di Pietro d'Agnolo detto Jacopo della Quercia, forse a causa del nomignolo attribuito a una sua ava che aveva un difetto agli occhi e che le valse il soprannome "la guercia", nacque a Siena, forse nel 1374. Dal padre, orafo e intagliatore di legno, apprese varie tecniche artistiche. Trasferitosi a Lucca iniziò a lavorare ottenendo incarichi in viarie città, fra cui Ferrara, dove scolpì in marmo la Madonna della Melagrana (1403) conservata nel Duomo della città. Ma l'opera che gli diede fama fu il Monumento a Ilaria del carretto , realizzato a Lucca fra il 1406-1407 su commissione del Signore di Lucca per la chiesa di San Martino.
Lavorò ancora a Lucca, a San Gimignano e a Siena dove, fra il 1414 e il 1419, realizzò la Fonte Gaia in piazza del Campo, meritandosi l'appellativo di Jacopo della Fonte. L'ultimo importante incarico della sua vita lo ottenne a Bologna per scolpire il portale maggiore della Basilica di San Petronio, essendo riusciti i fabbricieri a raccogliere i fondi necessari per avviare i lavori della facciata, che avevano subito un arresto quando il legato il Baldassarre Cossa, poi eletto Papa a Bologna nel 1410, col nome di Giovanni XXIII, ma dichiarato antipapa e deposto dal Concilio di Costanza,  aveva asportato denaro e materiali di costruzione. Il 28 marzo 1425 Jacopo della Quercia firmo il ricco contratto /3600 fiorini) garantendo la conclusione nell'arco di due anni. Per ben nove anni, dal 1425 al 1434, Jacopo della Quercia si applicò alla "Porta Magna" della basilica  bolognese realizzando le Storie della Genesi e le Storie della giovinezza di Cristo: le formelle ritraggono i Profeti, le Storie del Nuovo Testamento, la Creazione d Adamo, la Creazione di Eva, il Peccato originale e la Madonna col Bambino tra i santi Petronio e Ambrogio.
Concluso questo impegnativo lavoro, a Bologna Jacopo della Quercia fu chiamato per realizzare il monumento funebre di Anton Galeazzo Bentivoglio che si può ammirare in San Giacomo Maggiore, la chiesa preferita della famiglia Bentivoglio. La magnifica e incompiuta facciata della Basilica di San Petronio è arricchita da splendide sculture da tutti ammirate: fra esse quelle di Jacopo della Quercia, le cui formelle impressionarono lo stesso Michelangelo che molto probabilmente si ispirò a loro per gli analoghi personaggi raffigurati nella Cappella Sistina, come la "Creazione di Eva". Fu l'ultima grande opera di Jacopo che morì nel 1438 a Siena, dove fu sepolto nella chiesa di S.Agostino.

sabato 10 novembre 2018

I - Via Indipendenza

"Dal 1860 si pensò a una grande strada per unire la Stazione con il centro. Fu la via dei cinema e dei teatri, dei negozi eleganti ma anche della Cattedrale, del Monte di pietà, del "Diana" e della "Coroncina".
All'indomani dell'adesione di Bologna alla monarchia sabauda, proprio per segnare una censura con il precedente governo pontificio, furono avviati molti progetti urbanistici: come scrisse Bottrigari "l'antica e poco bella" Bologna desiderava "allargamenti di strade" e "altre riforme edilizie".
Le prime realizzazioni furono via Saragozza, via Farini, piazza Cavour, l'edificio della Cassa di Risparmio, la Stazione Ferroviaria. Già nel 1860 si discusse di una grande strada che unisse la Stazione con il centro. Ma la via Massima (dal 1874, via dell'indipendenza) fu il progetto più importante, che iniziò con la sistemazione del Canton de' Fiori, il primo tratto della futura via Indipendenza. Avrebbe dovuto essere Coriolano Monti a realizzare il progetto del grande via, ma Monti lasciò Bologna e tutto si fermò per ripartire nel 1874.
I problemi che furono affrontati non erano solo le 188 perizie per espropri, ma anche difficoltà oggettive come la sistemazione della chiesa di San Benedetto.
Sta di fatto che - come accade anche oggi - via Indipendenza fu inaugurata più volte, fino alla conclusione avvenuta nel 1896 con la sistemazione del tratto attiguo alla scalea  della Montagnola.
L'assetto deciso fu quello di un rettilineo con nuovi immobili di prestigio, con alti portici, negozi eleganti e luoghi di spettacolo. Oltre alla già esistente Arena del Sole (1810), aprì l'Eden Kursaal (1899), un elegante cafè chantant, il tempio del varietà che chiuse nel 1923. Poi aprirono il teatro Verdi (1908 poi cinema Capitol) e il teatro Apollo (1913, poi cinema Metropolitan). Intanto si stava affermando il cinematografo e via Indipendenza nei primi decenni del Novecento divenne la via del cinema, del famoso ristorante Diana (1920), delle banche, degli alberghi (Hotel Baglioni, poi  Majestic), degli uffici e degli studi professionali.
Aprirono il Cinematografo della Borsa (190, angolo via Volturno). , il Centrale (1908 poi Imperiale), il Fulgor (1913, via Montegrappa), il Cinema Teatro Manzoni (1933). Non  mancarono eleganti caffè come la palazzina Majani (1908)., in stile liberty, o caffè più popolari come il dirimpettaio Caffè San Pietro e il Caffè del Canto dei Fiori, il più antico quando si chiamava Caffè degli Stelloni.
Senza dimenticare il negozio Bertagni famoso per i suoi tortellini (al civico 22).
L'ottocentesca via indipendenza non ha solo moderni palazzi, ma anche antiche e significative presenze, come la torre degli Scappi che ospita "La Coroncina" e il palazzo del Monte di Pietà.

H - Hercolani

"Famiglia senatoria che ristrutturò e salvò la villa Belpoggio che fu di Giovanni II Bentivoglio. Il sontuoso palazzo Hercolani ora ospita la Scuola di Scienze Politiche." L'H vuole ricordare il collegamento con Ercole (in latino, Hercules). La famiglia, di origine faentina ma presente a Bologna dal Quattrocento con il capostipite Andrea, teneva molto a questo riferimento mitologico. Gli Hercolani, nel corso dei secoli, ricoprirono importanti incarichi pubblici entrando nel Senato bolognese e assumendo il titolo di principi.
L'ultimo senatore, prima dell'abolizione del Senato avvenuta all'inizio dei XIX secolo, fu Filippo Hercolani (1736-1810). Uomo di cultura e mecenate , a lui si deve il pieno recupero della magnifica villa Belpoggio, costruita per volere di Hiovanni II Bentivoglio e ubicata nell'attuale via Siepelunga, 34. La villa, dopo la caduta dei Bentivoglio, passò attraverso varie proprietà finchè nel 1764 entrò in possesso di Filippo Hercolani, che ne promosse il restauro. L'area su cui sorge la villa, fino al secolo scorso, comprendeva un vasto territorio: per capire meglio l'estensione della proprietà, è illuminante un episodio del 4 luglio 1915, a poche settimana dall'entrata in guerra dell'Italia. Per aiutare i militari  al fronte fu organizzata una partita di calcio di beneficenza fra una rappresentativa emiliana e una squadra composta da militari: teatro della partita - come riferisce il Carlino - Fu il il campo di calcio  di Villa Hercolani. In quel luogo fu poi costruito il primo stadio del Bologna, chiamato "Campo Badini" (in onore del calciatore del Bologna, Angelo Badini, scomparso prematuramente), noto anche come "Sterlino". In seguito fu il Bologna a giocare altre due partite di beneficenza contro l'Alessandria F.C.: l'incasso consentì alla Croce Rossa di donare ai soldati 100 kg di lana.
A Filippo Hercolani si deve anche la costruzione, affidata nel 1793 all'archettetto Angelo Venturoli, del grande palazzo di Strada Maggiore (che oggi ospitala Scuola di Scienze Politiche). Il sontuoso palazzo possiede un elegante scalone e una davvero notevole "Boschereccia".
Anche il figlio Astorre (1779-1828), che si schierò a favore di Napoleone, fu sensibile alla cultura e, in particolare, al teatro: non a caso fu nominato Soprintendente agli Spettacoli. Anche la moglie, la nobildonna Anna Maria Malvezzi, che gli diede tre figli, era appassionata di teatro e il salotto di casa Hercolani era frequentato da personaggi del mondo teatrale, come Gioachino Rossini: nel palazzo, nel febbraio 1845, fu messo in scena lo "Stabat Mater". Dopo una lunga malattia una morte precoce portò via Astorre Hercolani (1828).

venerdì 9 novembre 2018

G - Gregorio XIII

"Bolognese, è diventato noto come "il Papa del calendario". Riformò la giustizia in senso garantista. La statua che lo raffigura corse il rischio di essere abbattuta dai francesi."
La statua di bronzo del papa bolognese Gregorio XIII, opera di Alessandro Menganti, collocata nel 1580 sulla facciata del palazzo Comunale, guarda e domina ogni giorno piazza Maggiore. Eppure oltre due secoli fa la statua rischio di essere abbattuta. Infatti, un decreto del 18 aprile 1796, quando Bologna si trovava sotto il dominio dei francesi di Napoleone, disponeva l'abbattimento di tutti i simboli dello Stato Pontificio e delle famiglie nobili. Dunque, anche la statua di un Papa! Ma il Senato bolognese ebbe la grande intuizione di "travestirlo" da San Petronio mettendogli in capo una mitria e in mano il pastorale; e aggiungendo sopra la sua testa la scritta "Divus Peronius protector et pater". Di fronte alla statua del patrono della città i francesi non sollevarono obiezioni. Solo nel 1895 furono restituite a papa Gregorio XIII le sembianze originali. Ma la scritta retrostante è rimasta intatta.
La notorietà di questo Papa è da attribuire alla riforma del calendario decisa nel 1582: dal 5 ottobre si passò al 16, furono ordinati gli anni bisestili e collocata la Pasqua. Fino a quel momento era in vigore il calendario voluto da Giulio Cesare nel 45 a.C.
Chi era Gregorio XIII? Si chiamava Ugo Boncompagni (1502-1585). Bolognese di famiglia benestante (il padre era mercante e banchiere), studiò giurisprudenza, che poi insegnò all'Università. Fino all'età di 56 anni non aveva alcuna intenzione di prendere i voti, anzi condusse vita mondana e nel 1548 ebbe un figlio. Solo nel 1558 divenne sacerdote e poco dopo vescovo e cardinale (1565).
Quando, nel 1572, morì papa Pio V, il Conclave in sole 48 ore elesse  all'unanimità Ugo Boncompagni, che assunse il nome di Gregorio XIII. Aveva 70 anni e rimase papa per 13 anni; in questi anni risanò le finanze pontificie senza aumentare le tasse, anzi eliminando la tassa sulla carne suina e sul macinato. Non gli riuscì, invece, di combattere la dilagante delinquenza, ma curò con impegno i rapporti internazionali.
Pur avendo vissuto gran parte della sua vita lontano da Bologna, non dimenticò il dialetto, autorizzò la fondazione del Monte del Matrimonio, fece costruire il palazzo dell'Arcivescova-do. Notevole fu la riforma della giustizia che introdusse il "Magistrato della concordia" allo scopo di comporre le liti senza pagare esose parcelle agli avvocati e di velocizzare le sentenze.  Magistrati e avvocati dovettero ingoiare l'amaro boccone: ma dopo la morte di Gregorio XIII ripristinarono gli antichi comportamenti.

mercoledì 7 novembre 2018

F - Funivia


"Per circa 50 anni ha trasportato milioni di turisti, fedeli, curiosi. Di essa restano un pilone e il ricordo dell'emozione di rimanere sospesi nel vuoto".
Il giovane ingegnere Ferruccio Gasparri (1899-1990), fascista della prima ora, libero professionista dal 1926, ebbe l'idea di realizzare una funivia che collegasse la città al colle della Guardia.
Nel 1927 il progetto ottenne il benestare del podestà Leandro Arpinati e dell'arcivescovo Nasalli Rocca. L'anno successivo fu costruita una Società per Azioni (SACEF) e il primo azionista fu l'ATM, che versò 250.000 lire.
Occorreva poi curare altri aspetti: costruire il pilone intermedio e le due stazioni, quella di partenza e quella d'arrivo. Il terreno sul quale costruire la stazione di partenza fu donato dalla principessa Adele Gregorini Bingham Colonna, moglie del principe Piero Colonna, con la clausola che fosse "adibito sempre alla stazione della Funivia" Nel 1930 erano già costruite la stazione di terra, la tettoia d'arrivo e la strada verso il Santuario.
Il 14 maggio 1931 vi fu l'inaugurazione: percorso di 1370 metri con un dislivello di 220, due campate con un solo pilone alto 25-30 metri. La velocità era di metri 3.5 al minuto e perciò il viaggio durava 6 minuti e mezzo. Le cabine erano due, potevano ospitare 20 persone:mentre una saliva, l'altra scendeva, arrivando contemporaneamente alle stazioni. Il primo anno fu un successo: 201.000 passeggeri. Poi il numero scese e i conti della SACEF si chiusero in disavanzo. 
Dal giorno dell'inaugurazione fino al 1944, la Funivia potè vantare 2.000.000 di passeggeri. Nel 1944 fu bombardata la stazione di partenza e la Funivia cessò l'attività.
Intanto Gasparri prima richiamato in guerra, poi nel mirino dei partigiani, si rifugiò a Firenze fino al 1947; l'anno dopo incontrò il sindaco Giuseppe Dozza per proporre di rimettere in funzione la Funivia. Gasparri aveva rilevato la SACEF e ottenuto fondi dal Governo: il Comune di Bologna garantì la somma residua. Nell'arco di due anni fu rimessa in funzione la stazione di partenza e ampliata quella d'arrivo, rinnovate funi e cabine, migliorato il tempo del viaggio in 4 minuti e mezzo.
L'8 aprile 1950 vi fu l'inaugurazione ufficiale. Nei pressi del Santuario sorsero altri eleganti ristoranti e luoghi di ristoro. Ma dopo pochi anni il bilancio si rivelò passivo L'ultimo proprietario, Gino Pardera, prese atto delle difficoltà economiche: nel 1975, con 50.000 di passeggeri si ebbero 18 milioni di incasso e 57 di spese. Pardera chiese aiuto al Comune, che rifiutò anche la cessione gratuita. E così,il 7 novembre 1976 terminò l'affascinante avventura della Funivia per San Luca.

E- Via Emilia

La grande strada voluta dal console romano Marco Emilio Lepido ha portato sviluppo e ricchezza alle comunità dell'Emilia-Romagna e anzitutto a Bologna.
L'esercito di Roma, che da circa 15 anni aveva chiuso vittoriosamente le Guerre puniche, sconfisse i Galli conquistando, fra l'altro, anche Bologna, con le truppe guidate dal console Marco Emilio Lepido. Questi, avendo i soldati "disoccupati" affidò loro il compito di costruire una strada, che poi prese il nome di Via Emilia, che unisse Rimini con Piacenza e che fu completata nel 187 a.C.: di fatto la via proseguiva il percorso della via Flaminia (Roma-Rimini) costruita nel 219 a.C., mentre intercettava a Piacenza la via Postumia, cioè la via costruita per unire i porti di Genova e di Aquileia. Come risulta evidente, i Romani avevano allestito un sistema viario (oggi parleremmo di infrastrutture) al servizio sia degli eserciti, sia dei mercanti, sia dei coloni.
La prima funzione della Via Emilia (come pure di altre strade romane) fu di carattere militare: consentiva di spostare rapidamente le truppe in caso di necessità. Ma la via Emilia significò anche l'avvio del processo di colonizzazione da parte dei Romani della fertile pianura padana. Fu l'inizio di un processo demografico crescente generato dalle prospettive positive dell'agricoltura, la vera fonte di ricchezza.
Dunque, la prospettiva di questa parte consistente dell'Italia risale a oltre due millenni e la grande intuizione della via Emilia ha rafforzato, nel corso dei secoli, il benessere di quelle popolazioni favorendo i traffici commerciali e non solo. La via Emilia, che oggi si chiama Strada Statale 9, è stata "riformata", modificata e prolungata fino a Milano, non solo, ma è diventata la complanare di altre infrastrutture fondamentali che hanno affiancato il suo percorso come la linea ferroviaria (anche di Alta Velocità) e le autostrade, sia l'Autostrada del Sole (A1) sia l'Adriatica (A14).
Sulla via Emilia hanno prosperato molte città,  ora capoluoghi di Provincia, come Modena, Forlì, Cesena e, verso nord, Reggio Emilia, Parma e Piacenza La città di Reggio Emilia, che fu chiamata Regium Lepidi, ha collocato una statua di Marco Emilio Lepido nel palazzo Comunale.
Altri insediamenti furono conseguenza della presenza di questa importante strada: uno per tutti, l'antica Claterna che sta tornando alla luce. Pertanto, a distanza di oltre due millenni l'opera voluta dal console della Repubblica romana ha significato ben più che una via di comunicazione: lungo questa preziosa e antica strada sono cresciute comunità prosperose.
A pieno diritto, dunque, la Regione ha preso il nome di Emilia-Romagna.

D - Dotti Carlo Francesco

"Fu l'architetto che progettò il Santuario della Beata Vergine di San Luca, costruito sia col lavoro volontario sia con il denaro dei cittadini bolognesi".
I cantieri e l'architettura li aveva respirati fin da bambino, in famiglia. Infatti, il padre di Carlo  Francesco Dotti (1670-1759) era architetto e indirizzò il figlio a questa attività. Per i bolognesi il nome di Carlo Francesco Dotti è legato a uno dei monumenti più amati, il Santuario della Beata Vergine di San Luca.
Nato in una frazione di Como, Dotti visse la sua vita professionale a Bologna, dove abitò in via del Pratello assieme alla moglie Caterina Tartarini, che gli diede tre figli: di essi, due seguirono le orme paterne, Giovanni Giacomo e Giovanni Paolo. La prima opera significativa di Dotti fu la costruzione dell'Arco del Meloncello: un'opera importante per congiungere la parte del portico di San Luca proveniente da porta Saragozza con quello che sale verso il Santuario. Prima fu costruito il ponte che permetteva il transito di carri e carrozze, poi la parte superiore, cioè il monumentale arco. Il tutto fu costruito con denaro derivane da generosi lasciti e forse per questo motivo dall'approvazione del progetto (1719) alla fine dei lavori (1732) trascorse un lungo lasso di tempo.
Dopo il Meloncello, Dotti si cimentò nel lavoro più importante e prestigioso, il progetto e la costruzione del Santuario della Madonna di San Luca, affidatogli nel 1722.
L'anno successivo fu posta la prima pietra per la costruzione del Santuario, finanziato dalla generosità dei bolognesi, proprio come il portico.
Nel 1742 fu ultimata la costruzione della grandiosa cupola, mentre nel 1757 i lavori si conclusero col completamento della facciata e con la pavimentazione. Dotti non ebbe la possibilità di assistere alla consacrazione del Santuario, che avvenne nel 1765, poichè morì il 3 giugno 1759.
Ma il Santuario  di San Luca non fu certo l'unica opera del Doti: a lui si deve la ristrutturazione della Basilica di San Domenico. Questi prestigiosi lavori gli valsero la nomina di "architetto del Senato bolognese", incarico che comportò numerosi lavori pubblici e opere di manutenzione del patrimonio comunale. Intervenne su palazzo Davia Bargellini progettando lo scalone Al Dotti si deve anche l'altare di S. Ivo in San Petronio, nella terza cappella della navata sinistra. Fu attivo anche in alcuni comuni della Provincia.
Carlo Francesco Dotti fu il miglior architetto del Settecento assieme ad Alfonso Toreggiani.
Alui è stata dedcata una laterale di via Saragozza, a qualche centinaio di metri dall'inizio della salita che porta al Santuario della Madonna di San Luca.

lunedì 5 novembre 2018

C - caffè

"Dalla seconda metà del Settecento, i caffè furono luoghi di incontro degli uomini del Risorgimento, poi videro la presenza di intellettuali e artisti. Soppiantarono le osterie (ma non il vino!)".
Per molti secoli, le osterie, con le loro curiose insegne, furono punti di riferimento per tanti cittadini. A partire dal XIX secolo sono apparsi i
Caffè, che hanno accompagnato un secolo ricco di trasformazioni sociali, di slanci innovativi, del fervore di nuovi movimenti politici e culturali.
Il primo Caffè citato in una cronaca della seconda metà del Settecento è il Caffè degli Stelloni, all'angolo fra via Indipendenza e Via Rizzoli: fu proprio questo locale che si riunirono Luigi Zamboni, Giovanni Battista De Rolandis e pochi altri per organizzare una generosa ma improbabile rivolta tesa a rovesciare il governo pontificio. L'insurrezione si risolse in una azione dimostrativa che peraltro costò la vita ai due protagonisti.
Altri Caffè, durante il governo papalino-austriaco, ebbero fama di "covi" risorgimentali: fra questi, il Caffè Apollo in via S.Stefano (oggi vi è il Ristorante Cesarina) e il Caffè della Fenice, che aveva una saletta riservata dove si riunivano Minghetti, Aglebert, Gioacchino Pepoli e altri, e aveva un'uscita segreta in caso di irruzione della polizia. Ha fatto storia anche il Caffè dei Grigioni: come riferiscono tutte le cronache della giornata dell'8 agosto 1848, lì sarebbe scoppiata la scintilla della rivolta dei bolognesi contro gli austriaci. Questo locale si trovava sotto il portico della Gabella (via Ugo Bassi). Era uno dei locali preferiti da Giosuè Carducci, che amava ripetere come fosse stato frequentato anche da Ugo Foscolo e da Vincenzo Monti. Un altro caffè che si caratterizzò politicamente fu il Caffè San Pietro, all'angolo di via Indipendenza con via Altabella, aperto giorno e notte: fu un punto di riferimento per i risorgimentali liberali e antipapalini. Poi divenne luogo d'incontro di intellettuali, come Alfredo Oriani, Riccardo Bacchelli, Giorgio Morandi, Giuseppe Raimondi.
Il Caffè delle Scienze, in via Farini, 24, angolo Castiglione, era raffinato ed elegante, una meta imprescindibile per il mondo culturale e intellettuale (Alfredo Oriani, Olindo Guerrini, Corrado Ricci, Alfonso Rubbiani, Alfredo Testoni, Cesare Albicini), così come il Caffè dei Servi in Strada Maggiore.
Oltre ai Caffè vicini ai teatri, frequentati dal mondo dello spettacolo, non si possono dimenticare, fra i tanti, il Bar Vittorio Emanuele, in piazza Maggiore, il Bar Venezuela in via S.Vitale all'angolo con via Zamboni, in elegante stile liberty, Il Bar dei Notai, il Caffè del Pavaglione in piazza Galvani, 4, il preferito da Giosuè Carducci.

B - Baraccano

"Il Conservatorio ospitò migliaia di fanciulle che tessevano e ricamavano per formarsi la dote. La chiesa è la più nota e amata delle 12 sorte accanto alle mura".
La chiesa della Madonna del Baraccano fu la prima delle 12 chiese costruite a ridosso delle mura di Bologna (e tutte dedicate alla Madonna) ed è una delle poche superstiti: come tutte le altre chiese, fu edificata dove era presente un'immagine mariana che il popolo riteneva miracolosa. In un primo tempo l'immagine era protetta da una semplice cappella ed in seguito si costruiva una chiesa. Così accadde anche per la Madonna del Baraccano: nel 1512 un miracolo attribuito a questa Madonna fece decidere la costruzione della chiesa con portico antistante. Nel 1682 fu aggiunta la maestosa cupola La denominazione "Baraccano" significa contrafforte e deriva dalla posizione a ridosso delle mura.
Questa chiesa, che si sviluppa in lunghezza ma di scarsa  profondità, conserva il dipinto della Madonna, opera di Lippo di Dalmasio ritoccata da Francesco del Cossa per volontà di Giovanni II Bentivoglio.
Una tradizione ha attribuito alla Madonna del Baraccano il titolo di Madonna della Pace: per questo, dopo la cerimonia nuziale, gli sposi si recavano in questa chiesa " a prendere la pace". Ma col termine Baraccano si indica anche l'edificio che ha ospitato fino al 1969 un famoso Conservatorio che aveva lo scopo di "conservare" l'onore e la purezza delle fanciulle; l'edificio  originariamente ebbe la funzione di ospedale per pellegrini; solo nel 1491 fu ampliato per volontà di Giovanni II Bentivoglio (su alcune colonne del portico resta il simbolo del Bentivoglio) e, alcuni anni dopo, completato dal magnifico voltone
Il Conservatorio del Baraccano fu fondato nel 1528 allo scopo di accogliere fanciulle di bell'aspetto ma provenienti da famiglie povere, non in grado di "dotare" la figlia; di età fra i 10 e 12 anni, sane, senza difetti fisici, graziose, queste fanciulle per "guadagnarsi" la dote svolgevano alcuni lavori, come la tessitura della seta, il ricamo, la confezione di indumenti. Ciò che guadagnavano veniva accantonato Il Conservatorio del Baraccano era un'istituzione laica, amministrata da personalità del mondo economico: per finalità e funzionamento è da considerare un vero e proprio istituto di previdenza.  Ospitava 40-70 fanciulle per non più di sette anni trascorsi i quali la ragazza o prendeva i voti o si sposava. Il futuro marito doveva essere bolognese, di buona famiglia e con un mestiere sicuro. Se con la dote la coppia acquistava un appartamento, questo doveva essere intestato alla donna e al Baraccano: ciò per togliere ogni illusione ai "cacciatori di dote".

A- Acque

Il Resto del Carlino, quotidiano bolognese, ha ripreso una pubblicazione che aveva fatto anche in passato, sempre curata dal Dottor Marco Poli: l'alfabeto di Bologna. Un'opera che, a mio parere, è semplicemente fantastica.
Implemento quindi quanto già pubblicato fino ad ora. Si riparte con la lettera A di acque.
 "Con quasi 70 chilometri di canalizzazioni di superficie o sotterranee, una cinquantina di ponti, Bologna divenne la città europea più ricca di infrastrutture idrauliche".
Quando la città era delimitata dalle mura del Mille, Bologna poteva contare su un solo corso d'acqua naturale, il torrente Aposa.
Nell'arco di mezzo secolo, a partire dal 1176, Bologna accolse le acque del Savena e del Reno attraverso la realizzazione di chiuse che deviarono le acque verso la città: da San Rufillo, quelle del Savena, da Casalecchio, quelle del Reno.
Queste acque inizialmente servirono a muovere le ruote dei mulini da grano, a riempire i fossati delle mura, ad abbeverare gli animali, a irrigare gli orti, a lavare i panni e per altri usi domestici, ad alimentare i vivai dei pesci, a rendere più igienica la città.
La consapevolezza che l'acqua potesse fornire energia portò ad un suo utilizzo per varie lavorazioni; ma la svolta principale avvenne nel 1341, quando un immigrato da Lucca, Bolognino del fu Borghesano, impiantò il primo telaio meccanico da seta.
Nei due secoli successivi, con  la costruzione dei condotti sotterranei, l'acqua fu portata nelle cantine e la sua energia fu sfruttata per varie lavorazioni, fu costruito il Navile per il trasporto di merci e persone, fu realizzato il porto. Insomma, un vero e proprio sistema "integrato": dall'arrivo della materia prima, alla produzione di prodotti, al loro commercio e al loro trasporto.
Con quasi 70 chilometri di canalizzazioni di superficie o sotterranee, una cinquantina di ponti, Bologna divenne la città europea più ricca di infrastutture idrauliche con la maggiore concentrazione produttiva all'interno delle mura: alla fine del Seicento, erano attivi 130 opifici e 400 ruote che davano lavoro a oltre 20.000 persone.
A partire dall'Ottocento il grande sistema delle acque fu gradualmente abbandonato: i canali (di Reno e del Savena) furono coperti, i condotti sotterranei furono utilizzati come fognature e il porto rimase inutilizzato. Rimase attivo il canale Navile per il trasporto di merci e persone. Le ultime coperture furono attuate negli anni '50 del Novecento e culminarono con la tombatura del Canale di Reno in via Riva Reno.
La "Bologna delle acque" è ancora nel cuore di molti cittadini, ma troppo spesso si dà di quell'immagine pittoresca, la stessa che si osserva guardando dalla famosa finestrella di via Piella. Forse per questo c'è chi auspica una parziale riapertura dei canali, soprattutto del canale di Reno. Ma la "Bologna delle acque" non voleva essere "pittoresca", bensì creare quel magnifico sistema idraulico per dare pane e lavoro a migliaia di cittadini.

martedì 7 agosto 2018

Pianaccio - Parte 2


Una delle prime escursioni che ho fatto è stato visitare questo mulino per castagne che è ancora in ottime condizioni. Affascinante!
Riporto quanto narra la Pro Loco:
- Fino a qualche decennio fa, la castagna era "il rimedio più usato contro la fame" senza richiedere grosse cure e impegno per la sua coltivazione. Il saporito frutto, protetto dal riccio, veniva usato in mille maniere: lessato, arrostito, seccato, macinato e ridotto in farina che, pressata in enorme casse conservato all'interno delle cucine, doveva servire per tutto l'anno.
Il raccolto avveniva dopo una lunga, faticosa ed accurata pulizia del bosco.
La pesatura era fatta con unità di misura particolari:

 el panero                         (circa 12 kg)
el bgoncio (3 paneri)      (circa 36 kg)
                    la corba (6 bgonci)        (poco più di due quintali)
Le castagne erano poi messe nel casone sopra il gradiccio, sotto al quale veniva fatto fuoco, in continuazione, per 20 - 25 giorni. Da 3 kg di castagne fresche, si otteneva 1 kg. di castagne secche.
Una volta essicate, usando bigoncio

stanga e vassora (attrezzo in legno dove venivano riposte le castagne pulite  della prima scorza e venivano lanciate ripetutamente in alto  per ore, dalle donne, finchè queste non risultassero
pulite)
(esterno vassora)

 
(interno vassora)

si pulivano dall'olva (scorza). Erano così pronte per essere portate al mulino. La macinatura non veniva mai pagata in denaro, ma, per ogni quintale di farina, il mugnaio teneva per se la molenda (4 kg di farina).
Il mulino, anello fondamentale del ciclo delle castagne, presente in quasi tutti i nostri paesi, è composto dalle seguenti parti:
- bottaccio ed un tramezzo (chiusa), per convogliare e regolare l'acqua del fiume indipendente-mente dalla sua portata
- una tramoggia nella quale vengono versate le castagne secche
- la bocchetta, fatta oscillare da una massa di legno, detta battella, che striscia sulla macina. La regolazione della bocchetta è regolata con la grana (volantino)


Questo sistema fa cadere gradualmente le castagne nell'occhio di macina.
Due macine normalmente in sasso, quella inferiore ferma e quella superiore rotante con un regolatore di spazio fra le due, per ottenere una farina più o meno fina
Un palmento, la cassa nella quale si accumula farina
un paranco, per sollevare la macina e pulirla con appositi attrezzi quando le castagne non secche (lenton) la impastano

l'albero per il movimento, attraversa la macina inferiore, ed è fissato a quella superiore in un'apertura detta "occhio della macina"
la stanga per attaccare gli ingranaggi della ruota a quelli della macina per metterla in rotazione. 
Questi ingranaggi, oggi in ferro, una volta erano realizzati con pioli di legno conficcati sui tamburi
una manovella per aprire il flusso dell'acqua e convogliarlo sulla ruota
la ruota a pale o a cassette, vero e proprio motore del mulino.
La macina non doveva girare troppo lentamente, perchè si aveva uno scarso rendimento del mulino, ma neppure troppo velocemente pena la rottura degli ingranaggi per gli sforzi in gioco.