martedì 28 febbraio 2023

Scuola di cucina: pastella

 



LA PASTELLA

L arrivo in tavola di un bel piatto di frittura croccante e dorata suscita sempre l'approvazione degli invitati, anche di quelli che, per via della « dieta», devono accontentarsi di trangugiare solo un po' di acquolina.

Ma, come sempre accade in cucina, anche in questo caso il successo dipende da un segreto ». Questo segreto si chiama, nel caso della frittura, « pastella», cioè quella pasta a base di farina che serve ad avvolgere i cibi prima di immergerli nell'olio per friggerli.

QUALI CIBI?

In pratica, vengono avvolti nella pastella tutti quei cibi che, essendo privi di amido, non potrebbero acquistare la doratura. Infatti la doratura è dovuta a una trasformazione dell'amido che si trova nel cibo da friggere.

La pastella si usa quindi:

- per alcuni tipi di carne (animelle, cervella, testina di vitello, fegato);per i piccoli pesci e i filetti di pesci piuttosto grossi; per alcune verdure (cardi, finocchi, sedani, eccetera);

- per quasi tutte le frutta.

VARI TIPI DI PASTELLA

La preparazione della pastella varia a seconda che sia utilizzata per pesci e carni, o verdure o frutta.

PASTELLA PER CARNI E PESCI

Porre in una scodella 250 grammi di farina di frumento (250 grammi sono la quantità che può servire per una dose di 4 persone). Con le dita, formare al centro della farina una conca nella quale mettere due pizzichi di sale e due cucchiaiate d'olio (se piace, anche un bicchierino di brandy). Mescolare il tutto con una frusta o cucchiaio di legno; stemperare poi la farina con un bicchiere di acqua tiepida, versata a poco a poco. Continuare a battere con la frusta per circa cinque minuti, sino a che non si ottiene una pasta liquida ma consistente (fate bene attenzione che non si formino grumi, che comprometterebbero la riuscita della pastella) che scorra bene dal cucchiaio. Lasciar riposare la pastella per circa mezz'ora; trascorso questo tempo dare un'ultima rimescolata e aggiungere, con mano leggera, il bianco di due uova montate a neve ben ferma.

PASTELLA PER VERDURE

Mescolare i 250 grammi di farina con quattro cucchiaiate di burro fuso, due uova intere battute e due pizzichi di sale; stemperare tutto il composto con due bicchieri di acqua tiepida. L'impasto dovrà risultare un po' più morbido che non quello per le carni e i pesci.

PASTELLA PER FRUTTA

Mescolare i 250 grammi di farina con due cucchiaiate di burro fuso e due pizzichi di  sale. Anziché con la sola acqua, stemperare la farina con un bicchiere d'acqua e un bicchiere di birra chiara che conferisce una maggiore spumosità alla pastella.

ALCUNI CONSIGLI

Se la pastella deve essere utilizzata subito, non conviene lavorarla molto, in quanto risulterebbe troppo elastica e si staccherebbe dal cibo che si vuol friggere rischiando di rovinare la frittura. Se invece, come nel caso da noi illustrato, si ha la possibilità di lasciarla riposare (ed è la soluzione migliore) è bene lavorarla a fondo; l'eccessiva elasticità che ne deriva si attenua durante il riposo. La pastella deve riposare in luogo fresco. È bene coprire il recipiente. Al momento di utilizzarla si può aggiungere qualche goccia di brandy o rhum o kirsch o di qualsiasi altro liquore gradito se non è già stato aggiunto all'inizio della preparazione.

BEIGNETS E FRITTELLE

Le carni, i pesci e le verdure preparati in questo modo sono detti « beignets o, più familiarmente, « sgonfiotti» (di cervella, di animelle, di gamberi, di finocchi, di zuc- chine, ecc.). Le frutta, quando vengono preparate in questo modo, prendono invece il nome di frittelle (di mele, albicocche, ecc.)

lunedì 27 febbraio 2023

Scuola di cucina: maionese


 La salsa maionese

La maionese serve per la preparazione di numerose salse. È inoltre indicata pe accompagnare antipasti freddi, pesci lessati, carni e uova fredde.

COME PREPARARLA

Per quattro persone occorrono: 300 grammi di olio d'oliva 2 uova 2 limoni 4 grammi d sale e mezzo grammo di pepe. Rompete le uova separando l'albume dal tuorlo; mettete i due tuorli in una tazza o terrina, con il sale, il pepe e il succo di un limone. Con il frullino o la frusta (può servire anche un cucchiaio di legno) mescolate i tuorli e gli altri ingredienti per circa cinque minuti. Continuando a rimestare, aggiungete l'olio, goccia a goccia. La salsa incomincerà a questo punto a farsi piuttosto densa; aggiungete qualche goccia di limone e proseguite alternando un filo d'olio a qualche goccia d limone. La salsa deve risultare densa e omogenea; se desiderate che acquisti un bel colore giallo intenso, sostituite il limone con un cucchiaio di aceto rosso

SE NON LA SERVITE SUBITO

Nel caso si debba preparare la maionese con molto anticipo, non conservatela in frigorifero, ma a temperatura normale, in una tazza o in una terrina di terracotta. Prima di servirla, aggiungete un cucchiaio di acqua bollente e mescolate

LA MAIONESE « IMPAZZITA »

Spesso la maionese, invece di riuscire densa e ben amalgamata, si presenta liquida e slegata: si dice allora che è impazzita». Tutto però non è ancora perduto rompete un altro uovo, mettetene il tuorlo in una terrina e aggiungete goccia a goccia la maionese impazzita», rimescolando come nel primo infruttuoso tentativo. Se avrete cura di evitare gli eventuali errori commessi in precedenza (che ora elencheremo), otterrete senz'altro un esito positivo.

PERCHÉ LA MAIONESE « IMPAZZISCE »?

Quali sono le cause più comuni dell'« impazzimento della maionese? La più frequente è questa: le uova erano in frigorifero e l'olio nell'armadio di cucina. La differenza di temperatura dei due ingredienti ha impedito loro di legarsi. Ricordate perciò di estrarre le uova dal frigorifero molto tempo prima della loro utilizzazione. Se le parti sono invertite, occorre intiepidire l'olio versandolo in una terrina che sia stata preventivamente riscaldata con acqua bollente Altre cause che possono frequentemente condurre all'« impazzimento sono: 1°) un rimescolamento troppo energico. Infatti si deve rimescolare senza interruzioni, ma lentamente; e non abbiate timore ad invertire il senso di marcia >; 2°) l'aggiunta di ingredienti in modo troppo precipitoso; l'olio e il limone devono invece essere versati goccia a goccia, e soltanto quando la salsa avrà preso consistenza se ne potrà aumentare leggermente la quantità.

MAIONESE GELATINATA

Se è destinata a preparare insalate russe da presentare in forme, la maionese deve essere gelatinata. Lasciate a bagno per un quarto d'ora in acqua fredda tre fogli di colla di pesce, poi strizzateli, metteteli in un tegamino e fate sciogliere la colla, sempre rimestando. Versatela calda sulla maionese già preparata e mescolate


giovedì 23 febbraio 2023

Scuola di cucina: lesso

IL LESSO
sembra facile ma...
I migliori pezzi di bue o di manzo per un buon lesso sono: la punta di culaccio e la noce di muscolo (1 taglio), le coste coperte o reale, il collare, le coste scoperte o costata, la canetta di midollo (2 taglio). In genere però, per un lesso o bollito casalingo, vengono impiegate le parti del 3 taglio (vedi figura), insieme a testa, zampe e coda; ad esse si usa accompagnare le ossa di giunta, in proporzione che varia, secondo le consuetudini locali, dal 10 al 30 per cento.
Bue e manzo forniscono le carni più adatte per un lesso sostanzioso e saporito; il vitello, invece, dà un lesso tenero, ma piuttosto insipido. In ogni caso, le carni non devono essere macellate da più di due giorni.
Per quattro persone occorrono: 700 grammi di carne di bue o manzo al netto delle ossa di giunta) una cipolla mezzo gambo di sedano uno spicchio d'aglio una carota un grano di pepe - due pugni di sale grosso.
Mettete sul fuoco una pentola (preferibilmente di terracotta) con due litri e mezzo d'acqua e salate con moderazione, in quanto gran parte dell'acqua evaporerà e il sale rimarrà concentrato nel lesso. Quando si alza il primo bollore aggiungete cipolla, sedano, aglio e carota. Appena riprenderà a bollire, mettete la carne e lasciate continuare la cottura, non dimenticando di togliere la schiuma ripetutamente. L'acqua non deve tumultuare, ma sobbollire soltanto (si devono vedere piccole bollicine salire alla superficie dal fondo del recipiente); in caso contrario, la carne risulterebbe stracotta all'esterno e quasi cruda all'interno. La cottura deve durare circa due ore, ma il tempo può variare in relazione alla qualità e alla quantità della carne. In ogni modo, infilando la carne con una forchetta, non sarà difficile rendersi conto del grado di cottura ed arrestarla al momento giusto.
A cottura ultimata, il lesso non deve essere separato dal brodo: al asciugherebbe e perderebbe tenerezza e sapore.
E consigliabile passarlo in un'altra pentola, ricoprirlo con brodo filtrato attraverso un passino e tenerlo in caldo. Se volete servirlo freddo, sarà bene lasciarlo raffreddare nel brodo,




BUON LESSO O BUON BRODO?

Seguendo le regole che abbiamo indicato, si ottiene un ottimo lesso, ma il brodo lascerà alquanto a desiderare. Ciò si verifica per- ché, immergendo la carne nell'acqua bollente, la sua superficie cuoce immediatamente e diventa uno strato compatto, che impedisce la fuoruscita dei succhi nutritivi. Se l'avessimo immersa in acqua fredda, la carne non avrebbe trattenuto questi succhi e sarebbe risultata piuttosto insipida; il brodo, in compenso, sarebbe riuscito ottimo. Occorre perciò scegliere: o un buon brodo o un buon lesso.
Ma si può sfuggire a questo dilemma: se si aumenta la quantità della carne dai 700 grammi a 1 chilogrammo, se ne potranno mettere 300 grammi in acqua fredda (daranno un buon brodo e potranno essere utilizzati per polpette o altre preparazioni) ed aggiungere, al momento dell'ebollizione i rimanenti 700 grammi, ottenendo così anche un buon lesso.
  
IL LESSO MISTO

Il lesso casalingo è costituito, di solito, da un solo pezzo di carne; nelle grandi occasioni e nei ristoranti si serve invece il lesso misto (petto e costata di bue o man- zo, testina di vitello, zampone, lingua, zampetti e petto di maiale), che offre un assortimento di gradevole aspetto e di sa- pori diversi ben armonizzati tra loro. 

COME SERVIRE IL LESSO

Per presentare il lesso in modo invitante disponetelo in una terrina non molto fonda, di stile rustico, a fiori vivaci. In un'altra terrina analoga disponete gli ortaggi bolliti: patate, carote, spinaci, zucchine. Al centro della tavola costituiranno una bella macchia di colore le salse piccanti.

Manzo lesso alle campagnola


INGREDIENTI E DOSI (per quattro persone)

500 grammi di manzo lesso 
500 grammi di pomodori pelati
50 grammi di burro
1 bicchiere di vino bianco-
1 cipolla
1 presa di pepe 1 presa di sale


PREPARAZIONE

Tempo occorrente: quaranta minuti, non tenendo conto della preparazione del lesso.

1) Ponete sul fuoco, in un tegame di pi- rofila, il burro. Appena incomincia a spu- meggiare, unite la cipolla affettata finemente e fatela imbiondire, a fuoco lento.

2) Aggiungete i pomodori pelati e, dopo qualche minuto, il vino bianco che dovra evaporare completamente. Fate continuare la cottura a fuoco lento per quindici o venti minuti. Salate e aggiungete il pepe.
 3) Tagliate il bollito con un coltello affilato in fette sottili e immergetele nella salsa, facendo proseguire la cottura per altri cinque minuti. Servite ben caldo.

mercoledì 22 febbraio 2023

Scuola di cucina: griglia

 

LA SALATURA

Deve essere salata alla fine della cottura. Infatti le combinazioni chimiche prodotte dall'aggiunta di sale durante la cottura pregiudicano l'aspetto della carne e la induriscono. Alcuni consigliano di salare la carne addirittura quando è già nel piatto.

LA CLASSICA GRIGLIA (o graticola o gratella)

La griglia deve essere accuratamente pulita e quindi arroventata prima di ricevere la carne da cuocere.

Come combustibile è preferibile il carbone di legna o carbone dolce, perché allora la carne si impregna del gradevole profumo che si sprigiona dalle braci e acquista un particolare sapore.

Per una buona grigliata occorre:

- fare un bel fuoco di legna e ricoprirlo di carbone; attendere che non vi sia più fiamma e che la brace sia tutta rossa; 

- collocare la carne piuttosto distante dal- la brace, in modo che le fiamme provocate dal grasso che cade su di esse non la rag- giungano;

- non punzecchiare la carne con la forchetta ma voltarla con pinze oppure metterla in una griglia a doppia parete,

ALTRI TIPI DI GRIGLIA

.Se la cottura alla brace di carbone dolce è il sistema ideale, ben difficilmente è possi- bile adottarla in città. Suppliscono ad essa, egregiamente, le griglie a gas e a elettrici-

LA TECNICA DELLA GRIGLIA

La carne, tagliata a fette, viene esposta a un fuoco intenso. Sulla parte superficiale si forma uno strato impermeabile che impedisce l'uscita dei succhi nutritivi. In tal modo le parti più interne della carne, mantengono intatte le loro caratteristiche di succosità, morbidezza e sapidità. Occorre evitare che la carne esposta al calore troppo intenso presenti alla superficie estese bruciature che, pur gradevoli al pa- lato di molte persone, sono però sempre di difficile digestione.

I TAGLI DI CARNE PER LA GRIGLIA

Alla griglia vengono destinati soltanto pezzi molto teneri di animali di prima qualità. Evitare le carni di fresca macellazione, che durante la cottura si arricciano e diventano dure. I tagli più adatti sono: 

BUE e MANZO: filetto, costata, culaccio;
VITELLO: filetto, fettine di noce;
MONTONE e AGNELLO: costolette;
POLLO: pollo novello.

I CONDIMENTI

Per questo tipo di cottura i condimenti non sono indispensabili. Tuttavia la spalmatura con grassi deve essere utilizzata per impe- dire che la carne si attacchi alla griglia. La carne può essere preparata in diversi modi: 

1) al naturale: è più digeribile, perché consuma con la grigliatura parte del suo grasso e non ne incorpora altri;
2) al burro: poco digeribile;
3) all'olio d'oliva: abbastanza digeribile, comunque più di quella al burro.

LA COTTURA

Le carni sono ben grigliate quando, toccate leggermente, ad esempio con la punta di un cucchiaio, resistono alla pressione, e quando piccole gocce rosee compaiono sul- la sua superficie. Più la carne è sottile, più deve essere cotta velocemente; più è spessa, più deve cuocere lentamente. Le carni bian- che devono essere cotte con fuoco meno forte di quelle rosse.

LO SAPEVATE?

Grill-room: è un ristorante in cui, per definizione, si servono esclusivamente cibi cotti alla griglia

Barbecue; è il nome della grossa graticola su cui vengono cotte grandi quantità di carni all'aria aperta. Con lo stesso nome si indica anche la festa campestre durante la quale si preparano le carni in questo modo.

 Mixed Grill: è un misto di carni varie cucinato alla griglia. Comprende: costolettine di vitello o di agnello, rognoncini, fegato, würstel, pancetta affumicata ecc.



martedì 21 febbraio 2023

Scuola di cucina: come misurare


Il buon esito di un piatto importante di- pende, in parte, dall'esattezza delle dosi; una bilancia di media portata e un recipiente graduato sono perciò indispensabili in cucina.

NON ESAGERIAMO, PERÒ...
Non è il caso, tuttavia, di ricorrere alla bilancia anche per le preparazioni più semplici e frequenti; in questi casi si può pesare approssimativamente con i comuni recipienti di cucina (mai ad occhio).
Ora vi proponiamo alcune misure da prendersi però con una certa elasticità. La massaia farà bene a misurare lei stessa, una volta per tutte, le capacità dei recipienti che usa più frequentemente, in modo da poter correggere, adattandole alle proprie esigenze, le tabelle che presentiamo.

PER MISURARE I LIQUIDI
un bicchierino da liquore ha una capacità di circa 2,5 centilitri; 
una tazza da caffè di circa 5 centilitri:
un bicchiere da acqua di circa 1,5 decilitri; 
una tazza da caffèlatte di circa un quarto di litro.

PER MISURARE I SOLIDI
un cucchiaio raso da minestra contiene: 10 grammi di parmigiano grattugiato 1
5 grammi di farina
15 grammi di caffè macinato
15-16 grammi di sale raffinato
20 grammi di pastina 
25-30 grammi di riso

un cucchiaino da caffè contiene:
4 grammi di lievito in polvere
5 grammi di sale
2 grammi di pepe

PESIAMO I LITRI
Alcuni prodotti possono essere acquistati tanto a peso che a litri. Ricordate in questo caso che:
1 litro di vino                                                     corrisponde a 990 grammi
1 litro di olio                                                              "          a 920 grammi
1 litro di alcool a 90°                                                  "         a 830 grammi
 e conseguentemente:
1 chilogrammo di vino                                       corrisponde a 1,01 litri
1 chilogrammo di olio                                                "          a 1,08 litri
1 chilogrammo di alcool                                             "          a 1.170 litri
Se, per esempio, comperate del vino a chili, per sapere quanti litri sono, basterà moltiplicare il numero dei chili per 1,01.

SAPER LEGGERE LE ETICHETTE STRANIERE
(misure inglesi e americane)
1 oncia corrisponde a circa 28 grammi;
1 libbra corrisponde a circa 450 grammi:
1 pinta corrisponde a quasi mezzo litro.

PER I RICEVIMENTI
Se non volete che nel bel mezzo di un ricevimento le bevande vengano a mancare e d'altra parte non volete fare acquisti eccessivi, sappiate che:
-con una bottiglia di vino dolce (la cosiddetta renana) si possono servire dodici bicchieri da dessert;
 -con una bottiglia di spumante, otto coppe; 
-con una bottiglia di liquore da 1 litro, quaranta bicchierini.







lunedì 20 febbraio 2023

Scuola di cucina: besciamella

LA BESCIAMELLA

La besciamella, delicata salsa bianca, fa parte del gruppo delle salse madri e perciò è importante essere in grado di prepararla bene, perché è la base di numerose altre salse derivate.

IL NOME CURIOSO

le viene dal marchese Béchamel, gastronomo e Gran Maestro da un modesto cuoco che, per ingraziarselo, gliela dedicò. Il nome francese Béchamel viene tradotto in besciamella o balsamella

È ADATTA PER...ricoprire verdure che vanno in forno (cardi, carote, fagiolini, cavolini di Bruxelles, fave fresche, porri, rape), uova (fritte, affogate, sode) e per preparare sformati di verdure, di riso, di pasta.

INGREDIENTI PER MEZZO LITRO DI BESCIAMELLA

50 grammi di burro
5 grammi di sale
50 grammi di farina bianca setacciata mezzo litro di latte bollente
1 pizzico di noce moscata
2 o 3 grani di pepe macinati

PREPARAZIONE
Fate sciogliere il burro a fuoco moderato, in una casseruola; appena sarà fuso e prima che imbiondisca, unite la farina. Con un cucchiaio di legno rimestate accuratamente (per circa cinque minuti), in modo da ottenere un'amalgama omogenea, assolutamente priva di grumi e di color giallo pallido. Unite il latte bollente, il sale, il pepe e la noce moscata. Fate bollire a fuoco molto basso per circa dieci minuti, rimestando continuamente. Il composto sarà pronto quando avrà assunto l'aspetto di una crema. Fate passare la salsa attraverso un passino e tenete in caldo a bagnomaria.

LA DENSITA DELLA BESCIAMELLA
Dipende dalle dosi di latte e farina impiegate e dal tempo di cottura. Come abbiamo visto, la besciamella può essere usata per preparare diversi piatti; di volta in volta la ricetta suggerisce la densità necessaria.
Le dosi da noi indicate danno una besciamella di media densità, adatta per ricoprire uova, ortaggi o per legare altre salse. Per la preparazione di crocchette e sformati, la besciamella dovrà essere un po' più densa. In questo caso potrete prolungarne la lenta ebollizione sino a che la salsa non si stacchi dalle pareti del recipiente.
SE LA BESCIAMELLA PRESENTA GRUMI...
vuol dire che il burro non è stato amalgamato perfettamente con la farina, oppure che l'amalgama di burro e farina non è stata stemperata bene nel latte. Occorre porre molta cura nel rimescolamento (descrivere una specie di 8, partendo dal centro della casseruola verso i bordi e viceversa), in modo che tutte le parti di farina siano bagnate dal burro e dal latte e si gonfino regolarmente e uniformemente.
LE SALSE DERIVATE (ne riparleremo)
Se alla besciamella vengono incorporati formaggio grattugiato (parmigiano o gruviera) e panna montata, si ottiene la salsa Mornay, ottima per uova, ortaggi e pesci gratinati.
Per preparare la salsa di acciughe (adatta per accompagnare i pesci), alla besciamella si unisce pasta di acciughe.
Un'altra salsa derivata è la salsa Nantua, piuttosto complicata e particolarmente adatta per uova, pesci e crostacei. Essa richiede besciamella, burro di gamberi e qualche goccia di Brandy.


domenica 19 febbraio 2023

Scuola di cucina: arrosto


 Tratto sempre da questa affascinante encipledia della nonna, un ramo di questo è dedicata alla scuola di cucina. Ovviamente le ricette e i metodi sono riferiti agli anni '70,non per questo obsolete, e comunque, vi assicuro, sono tutte squisite.

L'arrosto

come si prepara e come si serve Volete essere certe di riuscire a preparare un buon arrosto?

Non è una cosa tanto difficile: il segreto sta soprattutto nella preparazione e nella cottura della carne. Prima di tutto, quando dal macellaio scegliete il pezzo di carne da fare arrosto, evitate quella troppo grassa. Infatti, anche se la carne grassa è la migliore per essere arrostita, è bene tener presente che di solito in casa non piace a nessuno, e, in più, risulta piuttosto indigesta. Così, se volete fare tutti contenti e nello stesso tempo avere un arrosto gustoso, potete ricorrere a due operazioni che servono proprio a rendere migliori le carni asciutte e non troppo saporite: la bardatura e la lardellatura.

1 SEGRETI DELLO "CHEF"

Bardare un pezzo di carne significa avvolgerlo con sottili fette di lardo per renderlo più saporito. Lardellare invece vuol dire infilare nella carne, dopo averla bucherellata, delle striscioline di lardo che la rendono più morbida. Non tutte le carni hanno bisogno di essere preparate in questo modo; per esempio, le carni grasse di montone, di oca, di maiale, o i grossi pezzi di bue non vanno bardati né lardellati.

COME SISTEMARE IL PEZZO NEL FORNO

La carne deve essere posta sull'apposita griglia, la quale ha lo scopo di impedire alla carne stessa di rimanere in parte immersa nel grasso e nei suoi succhi; sotto la griglia va infilata la leccarda (basso recipiente rettangolare in cui si raccoglie il sugo). Le carni nere e rosse, molto ricche di succhi, devono essere rosolate dapprima in forno caldissimo e poi mantenute a un calore forte, in modo da permettere la cottura degli strati interni. Per le carni bianche (vitello, maiale, agnello, pollame) il calore dovrà essere meno forte; in questo caso la rosolatura esterna e la cottura interna avvengono contemporaneamente. sale va sparso sul pezzo solo verso la fine della cottura. All'inizio, la sua liquefazione ritarderebbe la formazione della crosta.

COME IRRORARE L'ARROSTO

Incominciate a irrorare il pezzo soltanto quando la sua superficie sarà già rosolata. Ma attenzione! Il pezzo non deve essere irrorato con liquido contenuto nella leccarda, ma solo con il grasso che galleggia su di esso. In caso contrario, si impedirebbe la completa rosolatura del pezzo e si avrebbe una via di mezzo fra l'arrosto e 1 bollito,

E facile che le carni magre, nonostante siano state bardate o lardellate, non producano sufficiente sugo; in questo caso vanno aggiunti tre o quattro cucchiai di acqua calda nella leccarda. Evitate, durante la cottura, di punzecchiare il pezzo con la forchetta; i succhi, uscendo in quantità eccessiva, renderebbero l'arrosto duro e secco. Per girare il pezzo, servitevi di posate di legno. Per accertarvi della perfetta cottura, punzecchiate (questa volta si) il pezzo; se è cotto, dalle carni nere e rosse uscirà qualche goc- cia di sangue rosa pallido, dalle carni bianche qualche goccia incolore, dal pollame qualche goccia bianca.

Prima di servire in tavola, la bardatura e la lardellatura vanno tolte; si lasciano solo per alcuni capi di selvaggina (beccaccia, quaglia, fagiano, pernice).

SERVIRE SUBITO

L'arrosto deve essere servito non appena tolto dal forno. Fa eccezione la selvaggina, che una volta ritirata dal fuoco vivo, dovrà essere tenuta in caldo per circa cinque minuti prima di essere servita.

COME SERVIRE

Ponete l'arrosto su un piatto di portata, che avrete riscaldato prima, ornato di foglie di crescione o di altre foglie verdi e di spicchi di limone (di arancia nel caso di selvaggina). Servite il sugo a parte, nella salsiera dopo averlo sgrassato. Sarà meglio usare una salsiera con doppio fondo dove si metterà del- l'acqua calda per impedire al sugo di raffreddarsi. Accompagnate con salsa Madera o salsa ai funghi, spinaci, patate fritte o arrosto, piselli e carote al burro.

I VINI SUPERIORI DA ARROSTO

La nostra terra è ricchissima di grandi vini superiori da arrosto: Barolo, Barbaresco, Gattinara, Carema, Dolce Acqua, Sassella, Grumello, Inferno, Santa Maddalena, Sangiovese, Chianti, Brunello.

sabato 18 febbraio 2023

Donna russa

La donna russa

Fin dal suo primo apparire nella storia, la donna russa è miste- riosa e affascinante; è rude, realista, ma è anche appassionata, sognatrice, sensibile. E difficile scindere le due personalità della donna russa. Può essere pietosissima e crudele; può vedere un uomo inginocchiato ai suoi piedi e non battere ciglio, ma è anche capace di sacrificare tutta se stessa per la salvezza dell'uomo che ama. Principessa o contadina, rivoluzionaria o imperatrice, si chiami Irina od Olga, la donna russa è una donna strana e affascinante. 

UNA STRANA SOPRAVVESTE

Poco, quasi niente, rimane a documentare la moda delle donne russe vissute intorno al Mille. Le notizie sicure danno per certo l'uso di una camicia di tela chiusa intorno al collo, con maniche larghe e lunghe. Sopra, veniva indossato un mantello di stoffa a fiori o a disegni geometrici, per lo più ricamati a mano, ma qualche volta stampati a colori.

Per uscire da casa veniva indossata una veste lunga quanto la ca- micia, aperta davanti; era fatta di una pesante stoffa ricamata e perciò ricadeva rigida lungo la persona. Questa sopravveste era senza maniche e veniva sostenuta sulle spalle con una larga bre- tella, o con dei nastri, oppure con borchie di metallo prezioso.

IL PETTINE NELLA TOMBA

I capelli venivano pettinati semplicemente ma con molto scrupolo; il pettine fu, per lungo tempo, il primo e forse l'unico oggetto da toeletta delle donne russe. Esse vi erano tanto affezionate che vigeva l'uso di seppellire ogni donna con il proprio pettine accanto. Sopra i capelli lisci e spesso raccolti in trecce, veniva posto un ber- retto, di forma simile a una cuffia; nelle classi più agiate questa cuffia veniva bordata con galloni d'oro e d'argento, oppure con un merletto fatto a mano. Le donne di Corte usavano, al posto della cuffia, una reticella d'oro con piccole perle.

A TUTTE LA PELLICCIA

Il clima freddo e la presenza della neve per molti mesi dell'anno obbligavano a portare tipi di calzature piuttosto pesanti; le donne russe indossavano perciò stivaletti di cuoio, orlati con panno rosso. Tutte, anche le donne meno ricche, avevano le pellicce; variava la qualità della pelle che andava dai più comuni animali selvatici alla martora, lo zibellino, l'ermellino. Quasi tutte adoperavano il manicotto, anche quando erano in casa.

GRASSO SUL VISO

L'uso di fare numerosi bagni caldi e freddi, alternati, manteneva a lungo la pelle giovane; malgrado ciò le donne russe usavano ugualmente il belletto e con straordinaria abbondanza. Spalmavano il viso con una specie di cerone color di rosa e, su questo strato, applicavano poi rossetto sugli zigomi e nero attorno agli occhi, per ingrandirli.

Coi loro uomini, che deploravano un uso così smodato di belletto, le donne si giustificavano dicendo che lo strato di grasso riparava la pelle dal gran freddo; e non si può dire che avessero torto: certamente il grasso impediva alla pelle di inaridirsi e di screpolarsi.

BELLISSIMI RICAMI

Nelle lunghe giornate d'inverno la donna russa ricamava: i suoi grembiuli, le sue vesti, le sue camicie si coprivano di ricami rossi, azzurri, gialli, verdi. Nelle grigie giornate del lungo inverno russo i suoi ricami facevano rinascere i colori del sole e dell'estate.

GRASSO SUL VISO

L'uso di fare numerosi bagni caldi e freddi, alternati, manteneva a lungo la pelle giovane; malgrado ciò le donne russe usavano ugualmente il belletto e con straordinaria abbondanza. Spalmavano il viso con una specie di cerone color di rosa e, su questo strato, applicavano poi rossetto sugli zigomi e nero attorno agli occhi, per ingrandirli.

Coi loro uomini, che deploravano un uso così smodato di belletto, le donne si giustificavano dicendo che lo strato di grasso riparava la pelle dal gran freddo; e non si può dire che avessero torto: cer- tamente il grasso impediva alla pelle di inaridirsi e di screpolarsi.


venerdì 17 febbraio 2023

Donna italiana nel medioevo

 

La donna italiana del Medioevo

È il periodo dei Comuni: la ven- tata di libertà che percorre le campagne e i borghi di tutta Ita- lia sembra risvegliare anche la donna. La bella italiana esce dal feudo e lascia il solitario castello nel quale è stata rinchiusa, sia pure come signora, per lunghi anni.

La donna un po' rigida e austera che avevamo conosciuto nei secoli precedenti ritorna ora ad adornarsi delle sue doti più belle, che a lungo aveva tenute nascoste: la grazia e la femminilità.

NASCE LA "SOTTANA"

In questo periodo la moda italiana assume un suo carattere tutto particolare: le vesti hanno un taglio elegante e raffinato, sono aderenti al busto e alla vita e si fanno più ampie in basso, sono sempre lunghe fino ai piedi ma hanno generalmente in più una breve coda. La bella italiana sa muoversi con grazia innata e camminare con scioltezza invidiabile, evitando di lasciarsi intralciare il passo dalla lunga veste a breve strascico. Con nome italianissimo la tunica dalle lunghe maniche viene chiamata « sottana », mentre la « socca » è un mantello di lino o di lana fermato sulle spalle ma lasciato aperto fino a terra per avere liberi i movimenti del braccio.

RICAMI E SCOLLATURE

Mantelli e vesti sono riccamente e artisticamente ornati da bordi ricamati a colori vivacissimi, anche se la preferenza va spesso ai ricami in oro e in argento. Il bordo sottolinea l'ampia scollatura (un'altra novità di questa moda) e mette in evidenza la lunghezza del collo, requisito di bellezza molto apprezzato nel mondo medioevale. In genere la scollatura è tonda o leggermente allungata sulle spalle; qualche dama non più giovanissima, vela l'ampia scollatura con una stoffa ricamata in colori contrastanti.

SUI CAPELLI: VELI E RETICELLE

I lunghi capelli sono pettinati con cura, dato che la moda li vuole coperti soltanto da leggere reticelle dorate. I poeti vedono i capelli delle bellissime risplendere al sole e cantano le loro chiome lucenti.

I Crociati, tornando dall'Oriente, hanno riportato di moda i veli: veli trapunti d'oro e d'argento, tramati di sete multicolori. Le donne li trovano bellissimi e li adattano con eleganza alla moda: li portano lunghissimi come manti, corti come mantelline, poggiati sulla testa e fermati con un cerchio d'oro o d'argento.

VOLTI SOFFUSI DI CIPRIA

Sono ancora i Crociati a riportare dall'Oriente l'uso dei profumi e dei belletti che la Chiesa aveva severamente proibito nei primi secoli del Cristianesimo. Le guance femminili tornano così a conoscere la morbida, profumata, impalpabile carezza della cipria. Gli specchi in bronzo o in ferro ritraggono, sulla lucida superficie, il volto delicato della donna che ama rimirarsi.



giovedì 16 febbraio 2023

Donna Islam


 LA DONNA DELL'ISLAM

La donna musulmana ha il sacro dovere dell'obbedienza all'uomo. Nella tranquillità delle sue stanze ella fila, tesse, cuce e si occupa dei bambini. Talvolta, nelle classi più elevate, legge il Corano, sa suonare e cantare. La sua vita non trascorre mai in ozio, anzi spesso i lavori più pesanti sono per lei. E tuttavia per la sua bellezza gli uomini compiono prodigi di valore e compongono appassionati canti d'amore. La donna dell'Islam, schiava e padrona della sua dimora, diventa il simbolo del misterioso e contradditorio Oriente mediterraneo.

UN BAGNO DI BELLEZZA DALLA MATTINA ALLA SERA

Quando la bella musulmana andava al bagno, vi trascorreva di solito tutta la giornata. La schiava le portava una leggera co- lazione verso la metà del giorno, così che le operazioni di bel- lezza non venissero interrotte.

La giornata cominciava al mattino con un lungo bagno seguito da un massaggio generale; poi si passava alla lavatura della testa e alla levigatura dei piedi con la pietra pomice, quindi al trucco del viso: crema, rossetto scuro sulle guance, rosso vivo sulle labbra; depilazione; tintura dei capelli con hennè per- ché acquistassero dei riflessi fulvi. Le sopracciglia erano ripassate con indaco, l'estremità delle palpebre e il giro degli occhi con il nero kohol; i piedi erano tinti di giallo bruno con il succo di un'erba speciale e le unghie con smalto rosso vivo. E finalmente a sera la bella musulmana era pronta.

Tutto questo, naturalmente, avveniva una volta ogni tanto; però la donna musulmana aveva sempre molta cura della propria bellezza perché sapeva che quasi esclusivamente da questa dipendeva il suo potere sul marito.

ORO, DAMASCO, ARGENTO

La vita dell'harem non trascorreva in ozio; le belle mussoline, i

pregiati damaschi e le morbide lane erano infatti tessute nelle lunghe ore che la donna trascorreva in casa. Con queste belle stoffe la donna musulmana preparava il suo vestito: larghi calzoni e una camicia di tela variamente colorata che costituivano il suo abbigliamento intimo. Sopra indossava una veste senza maniche o con le maniche cortissime, una spe- cie di sopravveste, che portava soltanto per uscire. Come accessori aveva corsetti aderenti, riccamente ricamati, con strisce di galloni d'oro e d'argento e cinture di colori brillanti.

ACCONCIATURE DI SETA

I capelli nerissimi erano pettinati in fogge diverse: potevano essere tagliati a frangia sulla fronte e raccolti in trecce ricadenti sulle spalle, oppure lasciavano sfuggire i riccioli ai lati del capo e venivano raccolti poi sulle spalle. Molto spesso erano in- trecciati con lucidi fili di seta nera che servivano ad aumentare il volume della chioma e a darle uno splendore innaturale, ma di grande effetto. Il copricapo non era un vero e proprio turbante, ma una strana acconciatura di stoffa, tra il berretto e il turbante, arricchita da galloni, ricami e pietre dure.

SILENZIOSA E VELATA

Naturalmente anche le calzature erano intonate a questo abbigliamento e invece di vere scarpe la bella musulmana portava delle pantofole leggere, morbide e silenziose così che il riposo del padrone e signore non venisse turbato dal minimo rumore. Nell'VIII secolo venne in uso il velo, il famoso velo che avvolse la donna musulmana dal capo ai piedi lasciando fuori soltanto gli occhi. Nessun occhio maschile doveva fissare un volto femminile; anche lo sposo poteva vedere la sposa soltanto dopo le nozze. Il Corano ammoniva la fanciulla musulmana sorpresa nel bagno a coprirsi per prima cosa il volto...

Eppure gli sguardi ammaliatori di quegli occhi neri, volutamente ingranditi con il kohol, bastavano per far innamorare qualunque uomo.

Un originale, preziosissimo vaso di vetro colorato. Probabilmente in esso venivano custoditi i profumi indispensabili al l'elaborata toeletta della donna islamica.


mercoledì 15 febbraio 2023

Donna inglese


 La donna inglese del Medioevo

Non è certo una dama raffinata quella vissuta in Inghilterra, nel primo Medioevo; è una donna forte, abituata a una vita dura, tra uomini che amano soprattutto la guerra e le conquiste. Sdegnosa e ribelle anche di fronte all'amore, quando si sposa prende possesso della casa del marito e il suo carattere forte e dominatore si impone in modo tale che tutte le decisioni più importanti dipendono da lei; eppure tutto ciò non toglie nulla al suo incanto, che l'uomo subisce e dal quale è irresistibilmente attirato.

LA DONNA INGLESE DEL MEDIOEVO

SEMPLICE E AUSTERA Pochi esempi rimangono della moda inglese tra il X e il XII secolo ma sono sufficienti a darci una idea della compostezza e della grazia delle donne anglosassoni a quell'epoca. Sulla pelle veniva portata una lunga tunica, che poteva essere di lino, di lana o, più raramente, di seta o di broccato. Una seconda tunica, indossata sulla prima, arrivava fino alle ginocchia e si apriva sul petto con una profonda scollatura a punta trattenuta da una fitta serie di stringhe. Dalla scollatura usciva la tunica inferiore che era invece modestamente scollata a girocollo.

Le maniche erano lunghe, tanto nella prima quanto nella seconda tunica; talvolta, sopra il gomito, venivano trattenute da due nastri ricamati con perle. Un leggero ricamo di perle ornava anche il davanti della tunica. Qualche leggera bizzarria e qualche variante era tuttavia concessa all'abito tradizionale: le maniche della tunica esterna potevano essere più larghe e fermate al gomito da due nastri legati a fiocco. In questo caso la tunica, completamente chiusa sul davanti, terminava con un motivo rotondo (quasi un civettuolo grembiulino) ripetuto anche sulle spalle. Qualche volta la tunica esterna fasciava il busto e la vita: allora due grossi fiocchi ricamati segnavano l'inizio della gonna e un leggero ricamo di perle, quasi una fila di bottoncini, ornava tutto il davanti.

SPILLE E CUFFIETTE - I capelli erano ancora portati sciolti e trattenuti da un nastro o da un diadema; la donna elegante portava un copricapo a forma di cuffia dentro la quale raccoglieva tutti i capelli mettendo così in risalto, con una semplicità voluta, l'ovale del volto.

Per fermare i mantelli c'erano le tonde spille lavorate a bulino e ornate di smalti preziosi; esse, assieme alle grandi croci che venivano portate al collo solo nelle cerimonie più importanti, rappresentavano gli unici gioielli della donna di questo periodo.

UN AGO PER DIPINGERE

Aspettando il ritorno degli uomini dalla guerra, le dame trascorrevano le lunghe serate ascoltando i canti dei bardi e ricamando. Le belle inglesi erano abilissime in questa arte gentile e dalle loro candide mani uscivano coperte, arazzi, ricami stupendi. La leggenda narra che la regina Matilde, moglie di Guglielmo il Conquistatore, ricamasse, su una tappezzeria lunga ben 70 metri, tutta la storia della con- quista normanna della quale il suo nobile sposo era stato eroe e animatore. Non si può dire certo che non avesse pensato al marito, durante i lunghi anni in cui egli fu assente!

martedì 14 febbraio 2023

C'è un messaggio per voi: buon San Salentino!


 Oggi ho confezionato questo pensiero dolce da offrire virtualmente a tutti voi. Buon S. Valentino! Ho fatto la frolla di Miriam Bonizzi, una ottima pasta della quale riporto in calce la ricetta. Nel frattempo rinnovo la memoria con qualche notizia sulla festa odierna.

Storia della festa degli innamorati

Nei giorni intorno alla metà di febbraio, nell'Antica Roma era usanza celebrare i Lupercalia, feste di radice arcaica legate al ciclo di morte e rinascita della natura, alla sovversione delle regole e alla distruzione dell'ordine per permettere al mondo e alla società di purificarsi e rinascere. Queste feste erano accompagnate da vari rituali, mascherate, cortei, e giornate in cui i servi prendevano il posto dei padroni e viceversa, con l'intento di innescare un processo appunto di rinascita rimettendo in atto il caos primigenio. Parte di queste manifestazioni ritualistiche è sopravvissuta fino a oggi, mediata dalla morale cristiana, nelle tradizioni del Carnevale.In particolar modo, alcune pratiche arcaiche della fertilità prevedevano che le donne di Roma si sottoponessero, in mezzo alle strade, ai colpi vibrati da gruppi di giovani uomini nudi, armati di fascine di rami strette da spaghi. Attraverso le frustate di questi uomini, "regrediti" alla condizione ancestrale e divina della sessualità libera, impersonata dal dio agreste Fauno-Luperco, le donne ricevevano una benedizione che ne propiziava la fertilità.Questi riti, di natura ancestrale e legate alla sfera più antica e primordiale della sessualità umana, furono definite deplorevoli già nel tardo Impero Romano, e furono definitivamente bandite dai papi cristiani. In particolare, sembra che fu il papa Gelasio I a istituire, sul ceppo reciso dei Lupercali, una festività dedicata all'amore, in questo caso romantico e privo di riferimenti espliciti alla sessualità, ma, nel solco della tradizione biblica, comunque fertile e fruttuoso, finalizzato alla riproduzione, associandola idealmente alla protezione del santo Valentino. Sebbene la figura di san Valentino sia nota anche per il messaggio d'amore portato da questo santo, l'associazione specifica con l'amore romantico e gli innamorati è quasi certamente posteriore, e la questione della sua origine è controversa. È conosciuta, in ogni caso, la leggenda, secondo cui il santo avrebbe donato a una fanciulla povera una somma di denaro, necessaria come dote per il suo sposalizio, che, senza di questa, non si sarebbe potuto celebrare, esponendo la ragazza, priva di mezzi e di altro sostegno, al rischio della perdizione. Il generoso dono - frutto di amore e finalizzato all'amore - avrebbe dunque creato la tradizione di considerare il santo vescovo Valentino come il protettore degli innamorati.Una delle tesi più note è che l'interpretazione del giorno di san Valentino come festa degli innamorati si debba ricondurre al circolo di Geoffrey Chaucer, che nel Parlamento degli Uccelli associa la ricorrenza al fidanzamento di Riccardo II d'Inghilterra con Anna di Boemia; tuttavia, studiosi come Henry Kelly e altri hanno messo in dubbio questa interpretazione. In particolare, il fidanzamento di Riccardo II sarebbe da collocare al 3 maggio, giorno dedicato a un altro santo, omonimo del martire, san Valentino di Genova. Pur rimanendo incerta l'evoluzione storica della ricorrenza, ci sono alcuni riferimenti storici, i quali fanno ritenere che la giornata di san Valentino fosse dedicata agli innamorati già dai primi secoli del II millennio. Fra questi, c'è la fondazione a Parigi, il 14 febbraio 1400, dell'"Alto Tribunale dell'Amore", un'istituzione ispirata ai princìpi dell'amor cortese. Il tribunale aveva lo scopo di decidere su controversie legate ai contratti d'amore, ai tradimenti e alla violenza contro le donne. I giudici venivano selezionati in base alla loro familiarità con la poesia d'amore.

Inoltre, alla metà di febbraio si riscontrano i primi segni di risveglio della natura; nel Medioevo, soprattutto in Francia e Inghilterra, si riteneva che in quella data cominciasse l'accoppiamento degli uccelli, quindi l'evento si prestava a essere considerato la festa degli innamorati

Pasta frolla Miriam Bonizzi

300 g di farina 00

150 g di burro

100 g di zucchero a velo

Un uovo

Una bacca di vaniglia o estratto di vaniglia

Unite insieme tutti gli ingredienti, facendo attenzione a due semplici regole: burro freddo da frigorifero e uova a temperatura ambiente.
Una volta assemblati tutti gli ingredienti avvolgete l’impasto in una pellicola trasparente e lasciatela riposare in frigorifero per almeno un paio di ore, trascorso il tempo necessario la vostra pasta frolla sarà pronta per essere stesa per ricavarne biscotti o crostate.

Per la cottura: forno ventilato 160° per 15 minuti per i biscotti, 25 max 30 minuti per una crostata – forno statico 180° per 15 minuti per i biscotti o 25 max 30  minuti per una crostata.

La donna Bolognese


 La donna bolognese

(sec. XIV)

Figlia di una città ricca e gaudente, la bella bolognese dimostra in ogni particolare la sua gioia di vivere. Sfoggia le sue splendide vesti con grande disinvoltura ed è profondamente convinta del dovere che ha ogni moglie di essere bella, elegante e sempre all'ultima moda, per es- sere all'altezza della posizione sociale conquistata dal marito. (Sullo sfondo: particolare tratto da un affresco di Vitale da Bologna nell'abside della chiesa di Santa Maria a Pomposa.)

IL VELO ERA IMPORTANTE

Di aspetto florido e matronale, la bella donna bolognese adottò, fino al sec. XIII, abiti confezionati con un solo tes- suto e in una sola tinta; il taglio era ampio e dava allo incedere un certo che di maestoso; la scollatura modestis- sima era a giro collo; la vita era segnata al punto giusto e di qui la veste ricadeva in ampie pieghe fino a terra.

Il principale ornamento era il velo di seta che aveva in Bologna uno dei suoi centri di maggior produzione. Il velo poteva essere di varie fogge e misure; se era corto, ricadeva sulle spalle; se era lungo e ampio ricopriva tutta la persona ed era trattenuto con elegante gesto dalle mani strette al petto. Ma corto o lungo, il velo era sempre un accessorio di gran lusso, di seta intessuta con fili d'oro.

ARRIVA LA MODA FRANCESE

Poiché Bologna era una città aperta a tutti i forestieri, gentiluomini, uomini d'arte o mercanti che fossero, ben presto le fogge francesi arrivarono in città e conquistarono le donne bolognesi. La moda francese voleva vesti più pit- toresche e appariscenti ma anche più dispendiose e spesso, molto spesso, immodeste. Da qui l'abbondanza delle leggi suntuarie (delle leggi cioè che servivano a frenare l'ecces- siva ostentazione della ricchezza).

Che cosa voleva la moda importata dalla Francia ma applicata con gusto italiano? Vesti frastagliate e ricamate con applicazioni di stoffe in tinta contrastante o tessute con motivi di fiori e animali; mantelli di panno francese azzurrino foderati di vaio; gonne invernali di lana d'Irlanda guarnite da fibbiette dorate. Confezionare un abito con que- sti costosissimi tessuti voleva dire spendere un vero patri- monio. Non meno ricche erano le guarnizioni: intorno alle maniche e al collo erano disposti bottoni d'oro e d'argento: anche per i bottoni fu emanata una legge e le multe erano piuttosto gravose. La moglie di Egano Lambertini fu multata perché portava una veste guarnita con bottoni di perle e un cappuccio non rispondente al modello prescritto dagli statuti del popolo.

BORSETTE, SCARPE INTARSIATE, CALZE A MAGLIA

Spille d'oro e d'argento, fibbie d'oro o incrostate di perle, cordoni dorati, cinture d'argento: tutti questi accessori arricchivano l'abbigliamento di una dama bolognese del XIV secolo. Perfino le borse suscitarono le proteste dei governanti e uno statuto del 1376 vietò le borse ornate d'oro e di pietre preziose del valore superiore a una certa cifra. Le scarpe erano un vanto dell'artigianato bolognese; erano di cuoio finissimo, tinto nei colori più vari e guarnite con fibbie d'oro e d'argento. In un tentativo di riportare le don- ne alla modestia, uno statuto proibi la fabbricazione delle scarpe che non fossero o tutte bianche o tutte nere. Molto diffuso era l'uso delle calze a maglia di colori vivacissimi.

VESTI BOLLATE

Evidentemente le donne bolognesi erano capaci di tener testa a qualsiasi autorità; le leggi emanate erano molte, ma nessuna le osservava. E si ebbe allora un episodio nuovo e incredibilmente curioso nella storia del costume; nel 1398 il Reggimento di Bologna ordinò che ogni donna dovesse portare le sue vesti a un ufficiale del Podestà o del Capitano del Popolo perché fossero approvate, bollate e registrate in un apposito libro; soltanto le vesti approvate e munite di bollo potevano essere indossate e nessuna donna avrebbe potuto farsi confezionare altri vestiti oltre a quelli che già possedeva. Inoltre si proibiva alle donne bolognesi di portare più di tre once d'oro sul capo, di dodici once d'argento sulle vesti, più di tre anelli per mano, manicotti più larghi di una data misura, vesti larghe più di dieci braccia e fornite di strascico. Le vesti foderate di vaio e d'ermellino potevano essere indossate solo dalle mogli dei nobili e dei capitani.

IL VELO ERA IMPORTANTE

Di aspetto florido e matronale, la bella donna bolognese adottò, fino al sec. XIII, abiti confezionati con un solo tes- suto e in una sola tinta; il taglio era ampio e dava allo incedere un certo che di maestoso; la scollatura modestisima era a giro collo; la vita era segnata al punto giusto e di qui la veste ricadeva in ampie pieghe fino a terra.

Il principale ornamento era il velo di seta che aveva in Bologna uno dei suoi centri di maggior produzione. Il velo poteva essere di varie fogge e misure; se era corto, ricadeva sulle spalle; se era lungo e ampio ricopriva tutta la persona ed era trattenuto con elegante gesto dalle mani strette al petto. Ma corto o lungo, il velo era sempre un accessorio di gran lusso, di seta intessuta con fili d'oro.

ARRIVA LA MODA FRANCESE

Poiché Bologna era una città aperta a tutti i forestieri, gen- tiluomini, uomini d'arte o mercanti che fossero, ben presto le fogge francesi arrivarono in città e conquistarono le donne bolognesi. La moda francese voleva vesti più pit- toresche e appariscenti ma anche più dispendiose e spesso, molto spesso, immodeste. Da qui l'abbondanza delle leggi suntuarie (delle leggi cioè che servivano a frenare l'ecces- siva ostentazione della ricchezza).

Che cosa voleva la moda importata dalla Francia ma appli- cata con gusto italiano? Vesti frastagliate e ricamate con applicazioni di stoffe in tinta contrastante o tessute con motivi di fiori e animali; mantelli di panno francese az- zurrino foderati di vaio; gonne invernali di lana d'Irlanda guarnite da fibbiette dorate. Confezionare un abito con que- sti costosissimi tessuti voleva dire spendere un vero patri- monio. Non meno ricche erano le guarnizioni: intorno alle maniche e al collo erano disposti bottoni d'oro e d'argento: anche per i bottoni fu emanata una legge e le multe erano piuttosto gravose. La moglie di Egano Lambertini fu mul- tata perché portava una veste guarnita con bottoni di perle e un cappuccio non rispondente al modello prescritto dagli statuti del popolo.

lunedì 13 febbraio 2023

Donna cinese


 La donna cinese

La possiamo definire? Forse essa sfugge a ogni definizione, perché è strana e mutevole, ha due facce così diverse che si teme di vederla trasformarsi da un momento all'altro, per una specie di magia. È semplice, saggia e forte come la millenaria civiltà della sua terra: e questo è il primo dei suoi aspetti; nell'altro essa ci appare fragile, enigmatica, misteriosa, nascosta dietro la immobile maschera bianca del viso truccato. Quale dei due aspetti è quello vero? Tutti e due: essa è proprio così, umile e splendente, donna di casa e principessa misteriosa.

LA DONNA CON I PIEDI DI BIMBA

La scarpa della donna cinese può essere senza tacco, di seta ricamata oppure può avere tacchi molto alti che formano una specie di piedestallo. Fin da bambina i piedi della donna cinese sono stati compressi con fasce tanto strette da impedirne la crescita così che, da adulta, ha conservato piccoli piedi di bimba. Questo fa sì che essa cammini con quel passo esitante che piace molto agli uomini ed è uno dei più ricercati requisiti femminili. Una ... delusione sulla grandezza del piede della sposa è sufficiente perché lo sposo chieda (e ottenga) l'annullamento del matrimonio.

LA SPLENDIDA TUNICA

Fortunatamente solo i poveri piedi sono in costrizione. L'abito è quanto di più libero e sciolto si possa immaginare: la donna cinese non porta cintura, non conosce l'uso di corsetti e fasce per trattenere il seno. L'abito è formato da un paio di calzoni di cotone e una camicia accollata, lunga talvolta fino alle ginocchia; la donna elegante al posto della camicia porta una morbida tunica di seta dagli smaglianti colori, decorata con finissimi ricami eseguiti in filo di seta: un capo veramente splendido.

Anche il fazzoletto è di seta: è usato come ornamento da collo o per ricoprire la testa, oppure semplicemente per essere languida- mente mosso, allo scopo di spargere nell'aria il profumo del quale è abbondantemente impregnato.

IL VISO DI GESSO

La donna cinese nella storia della bellezza femminile ci appare con il viso trasformato in una strana maschera, misteriosa e in- quietante. Un viso candido, come di gesso, su cui spiccano violente macchie di colore.

Ecco come si trucca: si incipria con cura e si copre il viso con una specie di biacca fino a ridurlo tutto bianchissimo; si rasa completamente le sopracciglia e le sostituisce con una striscia nera tratteggiata con un pennello; poi si tinge in rosso acceso la parte superiore delle guance e le labbra. È un lunghissimo e minuzioso lavoro dopo il quale essa ha immobilizzato il viso in una candida, gelida fissità, simile a quella di una maschera tragica.

SOLO IL SUO VISO

Ecco lo specchio, l'oggetto più necessario per l'accurata toeletta: d'argento o di bronzo, lucentissimo, ornato preziosamente, è particolarmente caro alla bellissima dell'antica Cina che lo crede dotato di poteri magici e ne è molto gelosa: solo il suo bianchissimo viso, e nessun altro viso, può specchiarsi nella lucida superficie.

GIOIELLI DI GIADA

Finita la toeletta, la bella si orna con alcuni gioielli: pochi ma di fattura meravigliosa; la giada, conosciuta in Cina fin dal 2500 a.C., è ritenuta più preziosa dell'oro e di ogni altro gioiello. Spille, bracciali, orecchini e collane sono tutti pezzi unici intagliati nella giada verde, bianca, grigio-rosa, delicatamente venata.

domenica 12 febbraio 2023

Donna spagnola


 La donna spagnola (sec. XV)

Dea e prigioniera: così si può definire la donna spagnola del XV secolo. Dea perché nello spirito cavalleresco degli uomini spagnoli, la donna è qualcosa di sublime e di puro. Prigioniera perché l'amore che l'uomo prova per lei è esclusivo al punto che la donna amata viene rinchiusa in una prigione lontana dagli sguardi di tutti. Ma la donna non sembra soffrire per questa sua condizione: modesta e schiva di ogni mondanità, trascorre gran parte della sua giornata negli splendidi giardini che circondano la sua casa.

La donna spagnola (sec. XVI)

La donna spagnola del XVI secolo vive in un mondo travagliato da profondi contrasti: alla cupa atmosfera delle lotte religiose che grava sulla Spagna in quel drammatico periodo, essa cerca di reagire arricchendo la propria casa e il proprio abbigliamento con uno sfarzo che non conosce uguali nei secoli precedenti. Borghesi e nobildonne gareggiano nello sfoggiare pettinature elaborate e abiti impreziositi da ricami e gemme.

sabato 11 febbraio 2023

Donna persiana


 La donna persiana

La donna persiana è la prima reclusa della storia; nascosta nell'harem o trasportata in una lettiga con le tendine abbassate, il viso quasi sempre coperto da un fitto velo, obbligata alla compagnia di sole donne, la bella persiana si annoia. Mentre gli uomini conquistano imperi, essa rimane gelosamente chiusa dentro i muri impenetrabili delle case, e si fa bella: ma per chi? Gli uomini non la ricordano, non la raffigurano nelle loro opere d'arte; perciò noi non conosciamo il suo viso. Sappiamo che era bella, annoiata, tradi- trice, gelosa, crudele; ma per immaginarla possiamo affidarci soltanto alla fantasia... 

LA DONNA PERSIANA

L'abbigliamento della donna persiana non era molto diverso da quello dell'uomo: come lui, ella indossava un paio di lunghe brache ricoperte fino al ginocchio da una bianca camicia di lino; sopra di questa poneva due tuniche, una delle quali con maniche lunghe che nascondevano quasi le mani e una cintura che la cingeva alla vita o sotto il seno. L'unica differenza consisteva nell'acconciatura: mentre l'uomo copriva il capo con un turbante, la donna avvolgeva sulla testa un velo che talora era sostenuto da una fascia multicolore e che scendeva sulle spalle e, qualche volta, sul viso. In un primo tempo infatti il viso velato era una civetteria e solo più tardi divenne obbligatorio e si ritenne indecente mostrarsi in pubblico col viso scoperto.


LE GUANCE ARROSSATE

La donna persiana non curava molto la pettinatura, e a ragione: l'assoluta mancanza di ogni ornamento contribuiva a mettere in maggior risalto i suoi splendidi capelli corvini, che scendevano lisci o intrecciati giù per le spalle.

Invece molto si preoccupava della bellezza del viso; le donne del popolo raccoglievano la radice della Iris tuberosa », la tritavano, la scioglieva- no in acqua per ridurla in poltiglia e poi la strofinavano sulle guance. Risultato: un vivo bruciore, sopportato eroicamente perché produceva un piacevole arrossamento che non si eliminava neanche lavandosi, si manteneva inalterato per giorni e giorni e, oltre tutto, non costava nulla.


venerdì 10 febbraio 2023

Donna italiana

 

La donna italiana (sec. XV)

La donna del Quattrocento è bel- la, altera, seducente. Pittori e poeti celebrano nelle loro opere le virtù che ella possiede: la leggiadra e delicata bellezza del volto, l'affascinante sensibilità che ella sa dimostrare conversando, suonando, componendo poesie.

Nel secolo XVI l'Italia ha rag- giunto un altissimo grado di ci viltà: la donna italiana del Rina- scimento è forse la più raffinata di tutte le epoche e la moda stessa lo rispecchia. Colta, elegante, sensibile a ogni forma di bellezza, ama gli abiti sfarzosi, i tessuti elaborati, mentre i gioielli e i profumi danno il tocco finale alla sua personalità. I grandi pittori dell'epoca ci hanno la- sciato quadri stupendi in cui le dame del Rinascimento appaiono in tutta la loro raffinatezza. 


giovedì 9 febbraio 2023

Donna greca periodo ionico


 La donna greca (periodo ionico)

COSTUME

Osserviamo questo volto: in esso c'è tutta la poesia e la bellezza delle donne greche. Forse è un'ateniese, bella e dolce come la sua città. Ha la voce argentina, i capelli d'oro, è intelligente, è cosciente del suo fascino e se ne sa valere. La donna greca intorno al V secolo a.C. rappresenta una società raffinata ed è l'espressione di uno dei momenti più felici della civiltà umana: « l'età d'oro » della Grecia

L'ELEGANTE "CHITON"

Intorno al V secolo a.C. la donna greca portava una tunica di lino che scendeva fino ai piedi, il « chíton». Si trattava di una lunga veste formata da un panno rettangolare senza ripiegature e senza aperture laterali; sulle spalle e sulle braccia non era cucita, ma piccole fibule o una serie di cammei provvedevano a tenere accostati i lembi formando una graziosa ed elegante guarnizione. Per fare aderire il chiton al busto la donna greca usava un cordoncino incrociato davanti e dietro e legato in vita. Talvolta il chiton era pieghettato, talvolta era rialzato sulla cintura per formare uno sbuffo chiamato «kólpos». Sotto il chiton la donna greca incominciò in quel periodo a portare una sotto-tunica corta, il « chitónion »: in casa, indossava solo questa specie di sottoveste che le lasciava maggior libertà di movimenti.

LA MANTELLINA

Elemento complementare del chiton, era il diplóide »: un ampio telo rettangolare, piegato nel senso orizzontale quasi a metà: veniva fatto passare sotto una ascella e ricongiunto al di sopra della spalla opposta. Basterebbe l'uso di questa specie di mantellina per dare l'esatta idea dell'innata eleganza delle donne greche: infatti tutta l'abilità consisteva nel gettare con falsa semplicità i lembi del diploide sulla spalla in modo che le pieghe ricadessero armoniosamente. Bastava un gesto, ma dettato da una seco- lare abitudine di eleganza. Al posto del diploide le donne greche indossavano spesso l' imàtion, un classico mantello che poteva servire anche da copricapo e che avvolgeva tutta la persona.

CAPELLI BIONDI NATURALI E NO

La bella ateniese era bionda. Se i suoi capelli erano naturalmente scuri venivano ben presto tinti in biondo oro, quando non erano addirittura finti e comperati nell'isola di Lesbo, famosa per la fabbricazione delle parrucche. Venivano raccolti sulla nuca con un nodo falsamente negligente; talvolta una benda di lana o una fascia di metallo prezioso, poste alte sulla fronte, erano legate dietro la nuca. Spesso queste decorazioni avevano l'aspetto e la lavorazione di veri e propri diademi.

GIOIELLI, SPECCHI E VENTAGLI

Caratteristici di questo periodo erano degli aghi particolari ehe servivano per raccogliere i capelli sulla nuca: erano lunghi parec- chi centimetri, fatti d'avorio, osso o metalli preziosi e terminavano all'impugnatura con la figurina di qualche divinità. Ogni dama possedeva specchi di bronzo o argento, pietre montate in oro per le orecchie, serpi in oro per le braccia, monili per il collo, per le caviglie e per le braccia. Verso il V secolo comparvero i ventagli, certo fra gli oggetti meno utili ma di più lunga vita nella storia del costume. Erano di mirto,di acacia, di foglie di platano e, più tardi, di materiali preziosi.



mercoledì 8 febbraio 2023

Donna greca


 La donna greca (periodo dorico)

La veste ben stretta alla vita, i capelli accuratamente disposti in una elegante acconciatura, il collo candido messo in risalto dal rosso acceso di una collana di ambra...: così Omero ci cantò Elena, la donna che per la sua bellezza e la sua infedeltà fu causa di grandi sventure per uomini e città. Ma non meno accurati erano l'abito e l'acconciatura di Penelope, che fu sposa fedele, capace di un sentimento appassionato e di grandi sacrifici.

Non a torto un poeta defini la Grecia omerica « un sogno di donne meravigliose ».

LA DONNA GRECA

(periodo dorico)

IL PEPLO, CLASSICA VESTE GRECA

La donna greca conosceva soltanto la lana, e tesseva personalmente il suo peplo, cioè un rettangolo di lana largo tanto da avvolgere la persona e alto un po' più della persona stessa. Ecco come si confe- zionava e si indossava il peplo, il più semplice e il più elegante degli abiti che mai la donna abbia indossato.

La parte del telo eccedente l'altezza del busto veniva ripiegata; poteva essere più o meno lunga ed essere tenuta accostata al busto con una cintura oppure lasciata molle. Se era lasciata molle, la cintura cingeva la parte sottostante del peplo. I due lembi, avvolgendo la persona, si sovrapponevano senza nessuna cucitura: fu in seguito a questa moda che le donne spartane vennero chiamate da un viaggiatore forestiero quelle che mostrano i fianchi ». « Le braccia erano nude e il collo disadorno risultava anche più bello. Due fibule, sopra le spalle, allacciavano il davanti dell'abito col dietro. Senza orlo e tutto d'un pezzo, il peplo non aveva bisogno di cuciture, perciò la donna greca non era un'abile sarta. Ben presto però imparò a ornare le vesti con una striscia ricamata in basso, lungo i fianchi o ripetuta a zone longitudinali. Tutto nell'abbigliamento sembrava invitarla a una plasticità statuaria.

Ecco come si indossava e come si drappeggiava il peplo. l'abito classico della donna greca. Mai più la donna saprà creare, con tanta semplicità di mezzi, un abito di così sobria e allo stesso tempo raffinata eleganza.


CAPO SCOPERTO E PIEDI NUDI

Generalmente la donna greca andava a capo scoperto; qualche

volta aggiungeva un velo al suo abbigliamento oppure una mantellina di lana con la quale coprire il capo. Per molto tempo la donna greca di qualsiasi condizione continuò ad andare a piedi nudi dentro e fuori casa. La prima calzatura fu la carbatina», formata da un pezzo di cuoio posto sotto il piede e trattenuto con un sottile nastro di pelle infilato in piccoli fori marginali e girato intorno alla caviglia. Una calzatura forse non molto bella, ma la donna greca imparò presto a intrecciare con eleganza il nastro attorno alla caviglia facendola apparire più snella.

PETTINATURE SEMPLICI E

MANCANZA DI BELLETTI

I capelli venivano divisi nel mezzo, pettinati all'indietro e fatti ricadere sulle spalle; oppure venivano raccolti in una reticella trattenuta da un nastro che dava risalto alla fronte. I riccioli che sfuggivano ribelli in realtà obbedivano a una mano sapiente. Alla donna greca di questo primo periodo i belletti sono sconosciuti; Omero (al quale dobbiamo queste notizie) accenna una sola volta all'olio profumato, adoperato per cospargere il corpo e per ungersi i capelli. Era questo il semplice cosmetico che dava alle donne greche lo splendore cantato dai poeti.

martedì 7 febbraio 2023

Donna Germanica

La donna germanica (sec. XV)

La donna germanica sembra il simbolo della vitalità e della gioia di vivere. Gli esercizi sportivi all'aria aperta suscitano in lei lo stesso entusiasmo e la stessa gioia che le donne di altri paesi provano partecipando a una splendida festa. In lei non vi è civetteria, ma solo una spontanea esaltazione delle sue doti naturali, caratteristica questa che saprà tramandare alle sue discendenti. 

La donna germanica del '500 vive in un clima di maggior cultura e raffinatezza rispetto alle sue an-tenate. Pur essendo ancora amante della vita semplice condotta fra le pareti domestiche o all'aria aperta, essa risente dell'influsso del Rinascimento italiano e coltiva quindi le arti, la poesia, la musica. Il suo paese è al centro di lotte politiche e religiose, ma nella pace dei solitari castelli o nel silenzio dei boschi nordici essa riesce a mantenere inalterata la vita della sua famiglia.

enci


Donna francese


 La donna francese 

La donna francese del XIV secolo, uscita dal mondo fiabesco dei tornei medioevali, diventa l'ani- matrice della società in cui vive. Gli uomini ammirano la sua riservatezza e la sua dignità e vedono in lei la perfezione. Bella e raffinata, sa ispirare artisti e poeti e non di rado ella stessa dipinge, ricama stupendamente, parla il latino e accompagna le ballate a lei dedicate con il dolce suono del liuto.

Nella Francia sconvolta dalla Guerra dei Cento Anni e invasa dallo straniero, la donna francese del Quattrocento è il simbolo di tutte le virtù familiari e patriottiche. Per la patria Giovanna D'Arco si batte sui campi di battaglia; per la famiglia migliaia di umili donne custodiscono, in assenza dei loro sposi, le tradizioni del focolare domestico. (Il dipinto sullo sfondo è ispirato a una miniatura francese del XV secolo, ora al Museo di Cluny.)


La donna francese dell'Alto Medioevo
Bella ed elegantissima nei lunghi e preziosi abiti, la donna francese dell'Alto Medioevo è l'ispiratrice delle nobili imprese dei cavalieri erranti, eroi che per un suo sguardo non esitano a sfidare anche la morte. La sua grazia e la sua gentilezza sono cantate in delicate poesie d'amore dai trovatori, i poeti che vivono alla Corte dei nobili signori di Francia. 

lunedì 6 febbraio 2023

Donna ebrea


 La donna ebrea

Saggia e forte, capace di amore fedele e di maliziose civetterie, questa è la donna ebrea. Cammina a testa alta, con gli occhi ridenti, e incede con leggerezza e con eleganza squisita. Ricordiamo cosa dice di lei il Cantico dei Cantici? « Tu sei bella, o amica mia, tu sei bella!... ».                                                 (Sullo sfondo: disegno rinvenuto sul muro di un'antica casa a Tullat-at-Ghassoul - Palestina.)

LA DONNA EBREA

L'abbigliamento della donna ebrea era costituito sempre da due capi, da una camicia di fine lino, che scendeva in molli pieghe fino ai piedi, e dal « velo ». Questo secondo abito era un ampio mantello che avvolgeva tutta la persona da capo a piedi. Il velo sul capo era trattenuto spesso da una benda attorcigliata o da monili. Ai fianchi la donna ebrea usava portare una sciarpa che poteva essere a righe colorate o ricamate, guarnita con frange e monili d'oro. Ai piedi cal- zava sandali. Le più eleganti si ornavano anche con bracciali d'oro alle caviglie, bossoli per profumi appesi al collo, catenelle, op- pure con anellini d'oro uniti a catena sulla fronte.

MONILI ALLE CAVIGLIE

La donna ebrea probabilmente non è stata la prima a usare il braccialetto» per caviglia. Ma essa lo portava con ele- ganza insuperabile facendone uno strumento di deliziosa civetteria. Alto cinque o sei centimetri, era in oro, avorio o argento. Si portava aperto sul lato interno del piede e le due estremità dell'anello erano congiunte da una catena d'oro che emetteva un malizioso tintinnìo ad ogni rapido, piccolo passo.

TROPPI GIOIELLI

La donna della civiltà ebraica, dopo i primi secoli di vita semplice e modesta, desiderò una bellezza più raffinata sug
gerita forse dai frequenti contatti con il mondo egizio. Il profeta Isaia, durante una sua invettiva contro l'eccessivo lusso delle donne ebree, elencò i gioielli e i monili di cui esse si coprivano: e così senza volerlo fece per noi una specie di <reportage » di moda. La bellissima di Giudea si adornava dunque con collane, monili, braccialetti, bende, bossoli per profumi, orecchini, mantelli, veli, spille e diademi.

FEDE E CIVETTERIA

A rivelarci l'autentico spirito della donna ebrea bastereb- bero due particolari del suo abbigliamento, il « filatterio >> e lo specchietto di metallo pregiato fissato alla cintura.

Il filatterio era una targhetta su cui erano incisi alcuni versetti del Decalogo: veniva legato alla fronte o al brac- cio durante speciali pratiche religiose; lo specchietto rivela la sottile vanità e l'innata femminilità della donna ebrea. Fede e civetteria si fondevano e si fondono ancora oggi nella sua ricca personalità come nel suo raffinato abbigliamento.