martedì 23 aprile 2013

Kz-lager parte 2


Nepoti, assai emozionato, diceva al padre: - Guarda qui ci impiccano; ci sono già le corde! - erano le piante. Alcuni di noi cercavano  di spiegare e tentavano di calmarlo; ma ormai in tutti era la sensazione chiara che ci avrebbero ammazzati: basti pensare alla sosta presso il cimitero di S. Giacomo, alle parole del tedesco nella cella di S.Giovanni, alla fermata di Via Agucchi, strada che porta al poligono di tiro e credo si capirà quale poteva essere il nostro stato d'animo.
Dopo un certo tempo, un po' lungo, i tedeschi tornarono a parlare e si ripartì. Ci portarono in una villetta e fummo rinchiusi a chiave in un locale dove rimanemmo l'intera notte distesi sulla paglia.
Prima di mattina bussai alla porta e chiesi di andare al gabinetto; aprirono e mi accompagnò fuori un S.S.; per tutto il tempo dell'operazione mi controllò tenendo la canna del fucile davanti la mia faccia.
Fatto giorno, portarono da mangiare dentro una brocca e ci diedero dei cucchiai: era brodaglia, ma con pezzi di carne; dovevamo mangiare a turno e fu una tribolazione, perchè la brocca ha il collo sottile e lungo e i cucchiai venivano fuori vuoti; alla meglio mangiammo mentre intorno era un gran movimento di soldati.
Per cinque o sei anni, dopo la fine della guerra, ho girato spesso sulle nostre colline per trovare quella villa, non l'ho identificata con precisione, sono però convinto sia proprio quella  casa di Sabbiuno dove rinchiusero i partigiani che poi fucilarono.
Passata la notte, rimanemmo in quel locale l'intera successiva giornata;  verso sera ci portarono a Bologna, dietro i Giardini Margherita ad un comando delle S.S.. Fummo chiusi in uno scantinato basso e buio ed uno alla volta salimmo all'interrogatorio.
Fui il quinto e prima di me andò mio padre; venne giù abbattuto e cercava di farmi coraggio; vidi bene che l'avevano picchiato.
Salito al piano superiore, entrai in un ufficio assai spazioso; c'era un tedesco, S.S. di grado elevato e cominciò a dire:  - Tu partigiano - e lo ripeteva urlando sempre più forte. Io rispondevo: - No, non sono partigiano. - Insistevo a dire "no" come avevo già fatto la prima volta a S. Giovann in Persiceto. Lui "si" e io "no", il fatto è cominciò a darmi degli schiaffi che mi facevano girare in tondo. Il caso volle che entrasse un altro ufficiale sempre S.S. ma italiano e disse: - Cosa c'è, cosa c'è?
- Lui dice che io sono partigiano, io non lo sono; vuole sapere se sono della Sap o della Gap e io non so cosa siano.
In questi interrogatori ed anche nei successivi, godevo di un certo vantaggio: avevo solo diciassette anni e fisicamente ero un ragazzetto, potevo sostenere di non sapere nulla.
Fecero un verbale e tornai giù.
Gli altri furono trattati assai peggio di me. Finiti gli interrogatori, ci portarono a S.Giovanni in Monte. In ufficio scrissero le nostre generalità e segnarono quanto avevamo con noi; presero tutto e ci rinchiusero nella "sala transito" sotto il piano terreno. Qui non fecero mai interrogatori approfonditi, diciamo capillari; dovevamo però subire quelle prove che chiamavano "le dimostrazioni".
Quando qualcuno, non riuscendo a sopportare le torture, si era lasciato sfuggire anche pochissime parole, i tedeschi non gli davano tregua: lo tenevano sempre sotto torchio per avere tutte le notizie possibili e identificare altri membri della Resistenza o del Movimento. Tutti i detenuti venifano fatti passare davanti il locale, stretto e lungo, in fondo al quale e al buio perchè non potesse essere riconosciuto da noi, c'era l'uomo che aveva parlato. Passamo uno alla volta e al centro ci facevano fermare girati verso la luce; quello diceva o si oppure no. Venivamo poi spinti avanti ed appena oltre la porta, c'era un maresciallo delle S.S.un tedesco grande e grosso come un uscio e a me come agli altri del mio gruppo, chiedeva: - Sei della Sap o della Gap?
Io rispondevo: - Non sono niente - E lui giù degli sberloni che mi facevano sbattere la testa contro un armadio che era lì di fianco.
Queste erano "le dimostrazioni" ed avvenivano una o due volte al giorno. In una di queste prove passammo davanti a Ugo Lambertini, famoso traditore responsabile di centinaia di arresti con conseguenti fucilazioni dei partigiani anzolesi: costui fece notare che noi avevamo indosso le maglie di cotone distribuite dai partigiani alle formazioni armate ed alla popolazione.
Le domande furono pressanti e violente:  - Dove avete preso quelle maglie? -; in noi aumentò la tensione e la paura. Io risposi che non lo sapevo, mi era stata data da mia madre e non avevo chiesto da dove venisse, come facevo sempre quando mi cambiavo. Carlo rispose che gli era stata data, come altri cittadini, da persone che non erano del luogo ed essendo regalata, nessuno la rifiutò.
Ce la cavammo con qualche sberlone in più.
Nella "sala transito" ervamo all'inizio in una cinquantina; alle prime ore ci svegliavano e i più giovani ed allegri dicevano:  - Oggi caffèlatte con la mitraglia! - ; passavano pochi minuti e venivano a chiamare Tizio o Caio; lo portavana all'interrogatorio. Ritornava sul mezzogiorno e le più volte non stava in piedi e sanguinava da tutte le parti. Dalla soglia di entrata al pavimento c'erano tre scalinie qui crollava ruzzolando; noi lo soccorrevamo mettendolo sul giaciglio; facevamo del nostro meglio per curate tutti i torturati, ma non avevamo nulla.
Diminuimmo in fretta di numero; alcuni non tornarono dagli interrogatori, altri furono trasferiti e mandati poi al supplizio di Sabbiuno. Questa era la vita tragica a S. Giovanni in Monte; ogni giorno, ogni momento si viveva nel terrore dell'ultimo initerrogatorio, della tortura pesante, più temuta della stessa morte.
Quasi tutti non arrivammo all'ultimo interrogatorio; probabilmente su noi c'erano solo grossi sospetti ed incertezza; di certo non eravamo stati riconosciuti e chi poteva parlare non lo fece; infatti ci tolsero dal salone transito e fummo chiusi nella cella che sta proprio di fronte l'entrata del carcere, da qui si vedeva l'intero cortile.
Il 15 o 16 dicembre potemmo osservare quel numeroso gruppo di partigiani che venne portato via e , dopo la guerra, imparammo furono fucilati a Sabbiuno. Era proprio quel gruppo e lo dico con certezza poichè tra loro distinsi bene Tempesta e il Moretto che abitavano a S. Viola e li conoscevo; c'era anche mio cugino il cui corpo fu ritrovato a Sabbiuno.
Li fecero scendere nel cortile e obbligarono tutti a depositare in un angolo i vari fagottini di indumenti e di cibo; legarono ad ognuno le mani dietro la schiena e li cacciarono sui camion che erano imboccati proprio di fronte il portone d'entrata. Fu una scena che mi è rimasta chiaramente stampata nella memoria;  anzi per la nostra ingenuità, inesperienza e forse per la rinata speranza di essere ormai riusciti a sopravvivere, non ci spiegavamo perchè dovessero lasciare le cose portate loro dai familiari lì, in quell'angolo, malamente ammucchiate, se dovevano partire.
Il 22 dicembre, alle 10 di sera, alcuni tedeschi vennero nella cella e dicendo che saremmo andati a lavorare al di là del Po; uno cominciò a chiamare dei noimi; ero tra quelli scelti, ma non mio padre che m'era di fianco. Ci preparammo e prendemmo le coperte da consegnare all'Ufficio.
In portineria trovai prigionieri di altre celle e tre miei cugini; rifecero l'appello e chiamarono anche Corazza Gaetano, mio padre, che era rimasto sopra e non lo andarono a cercare perchè avevano fretta e ci spinsero subito sugli autocarri. Ecco perchè lui non partì per Mauthausen ed io sostengo sia stata una grossa fortuna soprattutto per me.
Era ancora notte quando arrivammo nel mantovano e fummo ammassati nella scuola di Pecugnaga, perennemente vigilati da una caterva di S.S. Venuta la sera ci rimisero sui camion e...altro che lavorare, il mattino del 24 dicembre ci scaricarono al campo di Bolzano. Fecero ovviamente l'appello ed assegnarono ad ognuno un numero di matricola: il mio era 7973; dissero che da quel momento in poi non avremmo più avuto un nome e cognome: solo quel numero. Questa era la prima azione psicologica che il tedesco, il nazista, faceva per annullare la personalità e distruggere l'uomo.
continua..

domenica 21 aprile 2013

21 Aprile: liberazione di Bologna. Da KZ lager parte 1

In questi giorni sono venuta in possesso di KZ-LAGER, un libro  antologia della deportazione scritto dal mio mitico maestro delle elementari Oralndo Pezzoli. Per ricordare la liberazione di Bologna, ho scelto di riportare un capitolo di questo libro. Meriterebbe di essere scritto tutto, ma sarebbe un poco lungo.
 
Santa Viola, Anzola Emilia, Mauthausen e...ritorno
di Osvaldo Corazza
 
Osvaldo Corazza, il "Dado giovane" (di "Dado" a Santa Viola ne abbiamo tre e tutti, guarda caso, energici combattenti antifascisti) da anni attivo consigliere di S.Viola, conosciuto in tutta la provincia, perennemente impegnato nelle più svariate attività democratiche e civili, ha dovuto compiere una triste, dolorosa esperienza: internato politico nei campi nazisti di sterminio.
Con la sua serena modestia ci ha riportato quanto riportiamo, sicuri che parecchi cittadini del nostro Quartiere troveranno momenti da loro stessi vissuti e sofferti.
"Poco prima dell'8 settembre '43, non ricordo la data, Bologna subì una incursione aerea alleata ed alcune bombe caddero nella nostra zona. Anche la mia famiglia decise di "sfollare" e trovammo ospitalità presso uno zio a S. Giacomo del Martignone. Il trasloco delle cose indispensabili e del materiale strettamente necessario lo facemmo con un furgoncino a pedali.
La mia famiglia era allora numerosa e bisognava sfamarla; io, mio padre e una sorella rimanemmo in Berretta Rossa, poichè ancora eravamo a lavorare. Alla fine di settembre però, dopo il bombardamento del 25, ci portammo tutti a S. Giacomo; per altri mesi mio padre continuò a prestare servizio alla Ducati.
La casa dello zio era vicina la stazione e i due ponti sul Samoggia; quello della strada provinciale e l'altro della linea ferroviaria Bologna- Verona. Nell'ultimo periodo invernale e poi con l'inizio della primavera del '44, incominciarono le visite del famoso "Pippo" e dei cacciabombardieri americani; ogni giorno naturalmente piovevano bombe e spezzoni; abbandonammo perciò quella casa e ci trasferimmo in un'altra più all'interno, isolata nella campagna. Qui convivevano: la famiglia del contadino, la mia, quello dello zio ed altre sfollate dal piccolo centro di S. Giacomo.
La vita dello sfollamento aveva una caratteristica fondamentale: arrangiarsi alla meglio; io lavoravo col contadino e ciò mi permetteva di consumare con lui l'abbondante colazione mattutina; era già un invidiabile stato: con le sole tessere del razionamento, è noto, non si poteva vivere. Mia mamma andava a legna nei campi e lungo il Samoggia; più spesso recuperava semplici bruscoli; raccoglieva anche le rimanenze dei prodotti agricoli: "spigolava" tutto quello che si poteva. Questa era la vita: si tirava avanti, sperando che la guerra finisse presto.
All'inizio della primavera erano già nate le prime formazioni armate della pianura: il movimento partigiano; si notavano varie persone che andavano da una parte e dall'altra; erano staffette e commissari che prendevano contatti con la popolazione per creare le basi di un vasto movimento popolare e sorreggere  e dare spazio alle formazioni armate.Lavorando costantemente in campagna, vedevo tutti i "giri" che avvenivano. La mia famiglia non era nel Movimento della Resistenza, ma essendo lì notavamo e capivamo cosa stava accadendo. Da noi passarono e a volte si fermarono, Nannetti, Bolognini, Casarini, il "Dado piccolo"; spesso erano in macchina e consegnavano al contadino materiale recuperato: indumenti, armi, viveri.
Anch'io cominciai ad aiutare: ogni settimana pulivamo le armi che erano sistemate nel fienile, mantenevamo le altre cose in ordine e di tanto in tanto, loro venivano a prelevare i pezzi per distribuirli alle varie basi; i contatti erano tenuti dal figlio del contadino; un certo Guermandi Gaetano. Suo padre, poi, raccoglieva i vitelli che noi chiamavamo "sbandati"; erano quelli non denunciati che i contadini consegnavano al Movimento. Li squartavamo, li pulivamo, facevamo i pezzi e dentro sacchi di tela juta, li portavamo in bicicletta alle basi più numerose.
Di sera, dopo che le donne e i bambini erano saliti nelle stanze, in quattro o cinque ci mettevamo all'angolo della grande cucina ad ascoltare Radio Londra; avevamo però sempre la guardia fuori della porta per essere certi non arrivasse qualcuno improvvisamente. Ci colpivano tutte quelle famose frasi, tante volte ripetute, alle quali non potevamo dare una interpretazione, capivamo però che erano rivolte alle "bande partigiane". Spesso venivano ragazzi delle formazioni con prigionieri  e noi li mettevamo in una camera impegnandoci a fare in modo che nessuno li vedesse: rimanvevano alcuni giorni. Capitò più volte dopo la battaglia di Porta Lame.
Giunse così il dicembre del '44; non pienamente consapevole del "giro" nel quale ero entrato, facevo tutto con semplicità; e con entusiasmo;  mio padre spesso avvertiva di usare prudenza, precauzione e una più attenta vigilanza. Il 2 del mese, alla sera, arrivarono sei o sette partigiani, tra loro c'era Bolognini, molto conosciuto a S.Viola, Borgo ed in tutte le campagne dalla Bazzanese al Persicetano; si era messo assai in vista ed i fascisti e nazisti lo ricercavano con insistenza. Dissero che sarebbero rimasti l'intera notte e si sistemarono nella stalla.
A quei tempi, col buio, calava un silenzio opprimente; alle due o due e mezza fummo improvvisamente svegliati dal rumore di diversi autocarri; erano i paracadutisti tedeschi che circondarono la casa.  Io mi trovavo in una camera con mia madre e due sorelle.
Bisogna ricordare che in ottobre il Samoggia ruppe l'argine a San Giacomo ed allagò le campagne; da noi l'acqua arrivò ad 80 cm di altezza, in altre zone raggiunse i due metri.
Quella notte l'acqua non c'era più, ma la terra rimaneva ancora coperta da uno strato più o meno alto di fanghiglia e melma ed in campagna si girava male, con fatica. Noi pensavamo che ciò potesse garantirci da sgradite visite ed invece fu proprio il contrario.
Quando Bolognini e i suoi sentirono gli autocarri, uscirono dalla stalla ed andarono dietro il fienile dove era stato costruito un rifugio antirastrellamento: una specie di stanza tra le balle di paglia con robuste travi e l'entrata chiusa da altra balla in modo che non si potesse vedere. Il figlio del contadino con il fratello Adamo ed un certo Bruno Baiesi, che verrà poi ucciso il 21 Aprile in Piazza ad Anzola dai nazisti in fuga, quando sentirono i tedeschi tentarono di scappare attraverso una porticina posteriore e raggiungere il vicino argine del fiume dove, nella curva, avevamo costruito un altro rifugio; una stanza di circa due metri per tre. Si entrava dalla stretta botola, protetta da un grosso coperchio sul quale era stata messa terra e vegetazione del fiume; quando era chiusa non si vedeva nulla.
Appena aperta la porticina, videro i tedeschi appostati e dovettero richiudere in fretta; si sistemarono all'interno in un piccolo locale, dove erano ammucchiate le fascine di biancospino che usavamo per scaldare il forno e cuocere il pane. Sollevarono le fascine e si nascosero sotto.
Al momento dell'arrivo dei tedeschi capimmo benissimo che la cosa era molto pericolosa, perchè sapevamo che c'erano i partigiani nella stalla.
I paracadutisti entrarono, perquisirono dappertutto e fecero scendere in cucina gli uomini che trovarono; tutti in fila contro il muro e le mani alzate.
Verso mattina, prima che venisse la luce, visto che l'accerchiamento non si allentava, Bolognini ed i suoi con alcune fucilate e colpi di pistola si fecero strada e dal rifugio tra la paglia, passorono dietro il fienile fiancheggiando la letamaia, si gettarono tra gli alberi di ciliegio riuscendo a romperre l'accerchiamento e scapparono in mezzo alla campagna.
Intanto portarono in casa Augusto Baiesi, uno di  Anzola, che da molto viveva lì con noi ed assieme lavoravamo in campagna. Quella sera volle andare a dormire nella stalla con i partigiani, forse anche per  prendere accordi: al momento della fuga non riuscì a seguire gli altri e fu costretto ad attraversare l'aia e rifugiarsi nell'orto sotto i cavoli, lo videro nascondersi e fu catturato. Davanti a noi lo bastonarono e picchiarono in modo disastroso; faceva sangue da tutte le parti, aveva le labbra e i denti spaccati, lo minacciavano con la pistola sbattendogliela sotto il mento e chiedendogli continuamente  dove era andato Bolognini. Augusto Baiesi verrà fucilato ai colli di Sabbiuno.
I tedeschi avevano trovato nella stalla indumenti e stivaletti, certamente capirono a chi appartenevano.
Erano stati guidati lì da un certo Hans, militare della Wehrmacht che aveva disertato per entrare nelle formazioni partigiane; lui e un altro vennero catturati durante un rastrellamento nella zona di Amola. Sotto la tortura lo fecero parlare e se ne servirono per perquisire e rastrellare tutte le cascine che l'avevano ospitato. Questo soldato che non era riucito a resistere e sopportare le torture, era fasciato e teneva un fazzoletto davanti al viso, si vedevano però chiaramente gonfiori e lividi nel volto.
Tentarono di strappare parole di confessione al Baiesi ed anche a noi; tutti rispondemmo che di formazioni non sapevamo nulla. Ci legarono le mani dietro la schiena e con una lunga corda cinsero il collo di ognuno con tanti capestri e fummo portati via su un autocarro coperto.
Capimmo che oltre Bolognini, cercavano il figlio del contadino; invece non lo trovarono poichè, insieme agli altri, rimase per tre giorni e tre notti nel ripostiglio sotto le fascine. I tedeschi infatti stettero  lì tutto quel tempo, poi abbandonarono la casa senza bruciarla; fu una grossa fortuna, non solo per quelli nascosti, ma anche per le altre trentacinque persone: donne e bambini che non avevano potuto allontanarsi.
L'autocarro si fermò al cimitero di S. Giacomo; parlavano in tedesco e non capivamo nulla, eravamo convinti che ci volessero fucilare subito; dopo un certo tempo ripartirono e fummo portati nella piazza centrale di S. Giovanni in Persiceto alla sede della polizia. Qui ci fecero un primo interrogatorio con minacce e botte, poi ci trasferirono alla ex caserma dei carabinieri dove rimanemmo due giorni senza essere interrogati; di tanto in tanto un tedesco apriva lo spioncino e diceva:
- Domani tutti kaput.
Dopo due giorni, era fra il 4 e il 5, ci caricarono su un camion, vigilati all'interno del cassone delle S.S. con i mitra, presero la strada per Bologna. Il camion si fermò di fronte a Via Agucchi; alcuni soldati scesero parlottando in tedesco; io ero sicuro che ci trovavamo lì, perchè, guardando poco prima dalle fessure, avevo visto le sirene del Pontelungo. Dopo un po' ripartimmo; mi ricordo bene: passammo dal Meloncello e girammo sulle colline; girammo molto, molto. Si fermarono avanti un pezzo e poi fecero marcia indietro contro l'entrata di una villa e sullo sfondo si vedevano delle piante rampicanti.
 
continua...


mercoledì 17 aprile 2013

Muffin arancia e cioccolato


La ricetta è di Pinella e  lei li chiama "quasi muffins". Io non so se siano quasi o lo sono, buoni sono buoni, successo ne hanno riscosso e tutti se li ricordano. Tutti si, perchè questi sono gli altri tortini che ho preparato per la festa di mio cognato. Ero un attimo in ansia perchè pensavo non avrebbero retto la candelina, invece si sono comportati benissimo.
Anche questi li abbiamo serviti senza glassarli (come avrebbe richiesto la ricetta) e con il mascarpone, anche se io ci vedevo forse meglio una crema inglese magari tiepida...ma sono stati perfetti ugualmente.

Quasi muffin all'arancia e cioccolato

Ingredienti
Per 12 "quasi muffins"

4 uova intere
150 g di zucchero semolato
60 g di farina 00
1 cucchiaio di buon cacao amaro
1 cucchiaino di lievito in polvere
100 g di cioccolato fondente al 60%
110 g di burro
scorze candite sciroppate

alcuni cucchiai di Curaçao (io ho messo brandy)

Far fondere a bagnomaria il cioccolato ed il burro. Setacciare la farina con il cacao ed il lievito. Montare a spuma gonfia le uova con lo zucchero e la scorza grattugiata dell'arancia. Versare a filo il composto di cioccolato lavorando dall'alto verso il basso con una spatola. Aggiungere le polveri senza smontare l'impasto. Profumare con il liquore e completare con due cucchiai di scorze candite tagliate in piccoli dadetti. Imburrare ed infarinare leggermente degli stampi da muffins ( anche in silicone) e versare una cucchiaiata di composto, fino a raggiungere i 3/4 d'altezza. Sistemare al centro un dado di scorza d'arancia ed infornare a 180°C per circa 15-20 minuti oppure finché il dolce si presenterà cotto alla prova stecco.
Far raffreddare. Estrarre i dolci. Velare la superficie con un velo sottile di cioccolato fondente. Spolverizzare un velo di cacao amaro e decorare a piacere con una strisciolina di arancia candita.

lunedì 15 aprile 2013

Muffins ananas e cocco


Sabato sera abbiamo festeggiato il cinquantesimo compleanno di mio cognato. Anzichè una torta classica, quest'anno ho pensato di fare cinquanta piccoli tortini e di appoggiare su di ognuno una candelina. Ne ho fatti di due tipi, questo è stato il tipo bianco.
E' un ottimo muffins, è stato servito con crema di mascarpone, risultando ottimo anche come dolce. Si può mangiare benissimo per colazione o come merenda.
La quantità degli ingredienti si riferisce a 10-12 muffins.

Muffins ananas e cocco

Ingredienti

225 g di farina
2 cucchiaini di lievito
150 g di zucchero
115 g di cocco disidratato
50 g di burro ammorbidito
185 ml di latte
2 uova
200 g di ananas sciroppato tagliato a dadini


Riscaldare il forno a 180 gradi. Mettere in una ciotola la farina e il lievito setacciati e un pizzico di sale. Aggiungere zucchero e cocco e mescolare . Aggiungere le uova, il latte e il burro fatto ammorbidire. Mescolare bene il composto, quindi aggiungi l'ananas e mescolare di nuovo. Imburrare e infarinare uno stampo da muffins e versarvi il composto. Infornare per circa 25-30 minuti.

lunedì 8 aprile 2013

Focaccia pugliese

La foto non è venuta granchè ma la focaccia si. Mi viene sempre da ridere quando la faccio ripensando alla prima volta che Francesca mi diede la ricetta, ma non mi indicò il lievito, per cui venne bella compatta:). Poi però, scoperto l'arcano, viene una splendida focaccia.
Come ho detto la ricetta è Francesca Spalluto, una amica di Cucina It, che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente e di frequentare qualche volta. E' da un po' che non passa per Bologna, mi farebbe tanto piacere reincontrarla. Intanto mi consolo mangiando la sua focaccia..:)
 


Focaccia pugliese alle cipolle
Ingredienti

Impasto

350 g di farina
350 g di semola rimacinata
1 patata grossa lessa
un cubetto di lievito
80 g di olio ev
sale
acqua tiepida qb (anche quella di cottura della patata)

Ripieno
 
 4-5 grosse cipolle rosse
capperi sotto sale
5-6 pomodorini
olive nere
 (mi raccomando che siano buone, di quelle che macchiano, snocciolatele voi).
Miscelare le due farine, aggiungere la patata schiacciata, ancora calda, sale, olio e il lievito sciolto nell'acqua. Siate cauti con l'acqua, perchè si ha la tendenza ad aggiungerne troppa. Dopo un po' che si lavora, per via della patata, l'impasto diventa troppo appiccicoso, e vi ritrovate ad aggiungere altra farina. Ecco, cercate di evitarlo. Lasciate lievitare in una ciotola unta, fino al raddoppio.
Nel frattempo preparare il ripieno. Affettare sottilmente le cipolle, farle crogiolare a lungo con un po' d'olio. Quasi alla fine, aggiungere i pomodorini, i capperi dissalati, le olive. Regolate il sale. Non troppo. Ci sono i capperi.
Stendete metà impasto in una teglia rettangolare piuttosto grande, versate il ripieno, coprite con un secondo rettangolo. Rimboccate i bordi e punzecchiate la focaccia. Un bel giro d'olio. Va in forno caldo a 200-220.
Appena cotta fatela scivolare su una griglia, di modo che non si inzuppi.
Potete variare i ripieni. Ma questo e' quello che da freddo ha sempre piu' successo.

domenica 7 aprile 2013

Termine quarant'ore Viadagola

Oggi sono terminate le Quarant'ore a Viadagola. Come al solito la settimana successiva la Pasqua Viadagola è in festa per l'Adorazione Eucarastica. Molto sentita un tempo, ancora oggi conta di un'ampia partecipazione. Al termine della cerimonia abbiamo fatto una piccola processione intorno alla Chiesa, per fortuna il tempo ha retto, anzi durante la sfilata si è pure affacciato per pochi secondi il sole come a benedirci.
Alcuni momenti della processione:
 
 

Festa dei Falò : Rocca San Casciano



Rocca San Casciano è un paesino in provincia di Forlì- Cesena. Nel 1923 Mussolini ridefinì i confini fra Toscana e Romagna e Rocca San Casciano, fino ad allora appartenuto alla provincia di Firenze e capoluogo della Romagna toscana, passò in Emilia Romagna.
La Festa del Falò è una tipica festa del paese di Rocca San Casciano che data la sua originalità, suggestività e grandezza è ormai molto rinomata anche fuori della provincia. Le sue origini sono un po' oscure: c'è chi la fa risalire addirittura a riti pagani, celtici in modo particolare. Si dice che a Rocca San Casciano, fin dal XII secolo,  venissero accesi falò lungo le rive del Fiume Montone allo scopo di placare le acque dalle rovinose inondazioni. Da questa celebrazione pagana è stata innestata, a partire dal 1700, la ricorrenza religiosa di San Giuseppe, 19 marzo, e  per molti anni questa è stata la sola data in cui si è svolta la festa. Tradizione voleva che nei cortili di ogni contrada venisse acceso un falò ed attorno ad esso si mangiava, si beveva e si danzava. In epoca più recente i falò sono tornati sulla riva del fiume, nella loro posizione originale, e da qui, nell'ultimo secolo, è incominciata una sfida fra le quattro fazioni che rappresentavano i principali rioni cittadini: Borgo di Sopra, Borgo di Sant'Antonio, Buginello e Mercato. Di questi quattro rioni originari oggi ne restano solo due: il Borgo di Sopra ed il Mercato.
Questo quanto riportato ufficialmente, da un signore molto gentile del luogo siamo venuti ad imparare che, quando il fiume Montone innondava, andava distrutta tutta la paglia e da questo fatto nacque questa competizione, ovvero si bruciava la paglia di chi era stato più bravo nel conservarla.
Non si sa esattamente a quando risalga questa festa, veniva celebrata il 19 marzo (come da noi le raviole:-)) per segnare l'inizio della primavera. Una volta venivano puliti tutti i fossi dagli spini e si riempivano l'interno dei covoni con questi portandoli con il forcale. Oggi non ce ne sono praticamente più, quindi riempiono il covone con  altri stecchi. E' un lavoro che impegna per una settimana soprattutto i ragazzi più giovani. 
La rivalità tra i rioni era molto sentita, raccontava che sono in quattro fratelli in famiglia, due del rione Mercato due del rione Borgo, ma a tavola insieme mai andati. Che fino a qualche anno fa la gara finiva sempre a botte, che si facevano "dispetti" del tipo di andare sotto a casa del rione avversario anche alle 5 del mattino, suonare i campanelli e far scoppiare una serie di botti attaccato alle porte.
Rimescolavano la polvere di zolfo con potassio (mi sembra di ricordare), li inserivano in tubi di ferro e li avvolgevano a caramelle, e sopra questi davano delle mazzate per farli scoppiare.
Oggi pare che tra i giovani, fortunatamente aggiungo io, questa rivalità si sia un poco spenta, ovvero   sì esiste, ma in modo molto meno sentito.
Il covone del rione Mercato è quello a cono toscano, perchè un anno cadde il pagliaio e pagliaio che cade significa perdita, quindi da allora iniziarono a farlo a cono. Ha un raggio circa di 8 metri, alto una ventina e sale subito a punta. Mentre quello del rione Borgo è a forma romagnola, ovvero fino circa a metà va su largo poi si stringe dopo.
Quando si perdeva la gara, c'erano persone anziane del luogo che stavano anche tre quattro giorni senza farsi vedere in giro.
Prima dell'inizio della competizione, vengono portate le torce in chiesa per farle benedire.
Anche questo gesto trovava discordi gli abitanti, perchè molti sostenevano che la festa non è una festa pagana, ma ormai è diventata tradizione anche questa.
Si dispongono diverse persone intorno al covone, presso il sasso corrispondente. Ci sono tre scoppi, il primo si preparano le torce, al secondo si accendono al terzo si strofinano sul covone. Il primo covone che la fiamma raggiunge la cima ha vinto.
Mi raccontava che molto fa la corrente del fiume, essendo fatto in prossimità di un ponte. Il primo covone che incendia, ruba aria all'altro, che quindi fatica sempre di più ad accendersi.
Io credevo che una competizione fosse sentita, ma mai immaginavo una cosa così. Devo dire che ho anche avuto un poco di paura:).
Passo alle foto che meritano davvero tanto!
Gli addobbi del quartiere Borgo




quelli del Mercato




i carri per la sfilata



la festa in piazza



gli ultimi preparativi


il pagliaio del Mercato a forma toscana




quello del borgo a forma romagnola





i fuochi pronti per essere sparati





il Montone in onore del fiume


l'inizio della gara







ha vinto il Mercato








venerdì 5 aprile 2013

Pabassinas

Mi scuseranno le amiche sarde se non sono belli come i loro, squisiti lo erano, poi dovrò andare ad assaggiare gli originali per capire se effettivamente dovevano risultare così:).
La ricetta è di Stefania Puxeddu, io ho aggiunto solo il burro perchè non sapevo se ci andava.

Pabassinas

Ingredienti

300 gr farina
150 gr zucchero
150 gr burro
3 tuorli d'uovo
1 limone
100 gr gherigli di noce
100 gr mandorle
200 gr uvetta sultanina
zucchero


Il nome di questi dolci deriva dalla presenza dell'uva sultanina, detta appunto in sardo 'pabassa'. Sono presenti in tutte le piu' importanti feste dell'anno. Preparate una normale pasta frolla con 300 g di farina, 150 g di zucchero, 3 tuorli d'uovo e la scorza di 1 limone. Impastate i vari ingredienti e senza tropp lavorare la pasta, unire 100 g di gherigli di noce e 100 g di mandorle spellate, entrambi ben sminuzzati. In ultimo aggiungete 200 g di uvetta sultanina. Stendete la pasta dello spessore di un dito e ricavatene delle forme a piacere. I pabassindas piu' comuni in tutta la Sardegna hanno la forma di piccoli rombi. Cuoceteli in forno a temperatura moderata per circa 300 minuti. Preparate la glassa facendo sciogliere sulla fiamma 5 o 6 cucchiai di zucchero in poca acqua. Immergete i pabassinas nella glassa bollente e quindi passateli di nuovo in forno appena caldo per pochi minuti.

mercoledì 3 aprile 2013

Pigne di Pasqua


La ricetta è di Roberto Potito pubblicata sul gruppo di Universocucina in facebook. Sono molto carine come dono pasquale. Ecco la sua ricetta:

Pigne pasquali

Ingredienti

1 kg di farina di forza 1 pizzico di sale
15 grammi di lievito di birra in cubetto 
450 grammi di zucchero semolato
80 grammi circa di uova intere
scorza di un limone e di una arancia grattugiati
2 bicchierini di liquore molto aromatico
due cucchiaini di estratto di vaniglia
qualche cucchiaiata di latte intero
250 grammi di burro a temperatura ambiente ben morbido


Qualche ora prima preparate una biga con 200 grammi di farina, il lievito e 130 grammi di acqua a temperatura ambiente.Ponete a lievitare in una ciotola al coperto per circa tre o quattro ore.Inserite la biga nella rimanente farina assieme allo zucchero, il sale e alle uova intere. Iniziate ad intridere gli ingredienti assieme ad un po' di latte ed unite una piccola parte di burro, incorporandolo poco a poco fino a quando non sarà terminato.A questo punto, aggiungete gli aromi, e nel caso in cui l'impasto si presentasse troppo consistente, potete unire ancora del latte.
Fate riposare fino al raddoppio e successivamente, stendete pezzi di impasto in un cordone che intreccerete a mò di torcione e chiuderete con una pressione decisa, sistemate un uovo nel centro di questo nido e chiudetelo con due pezzettini di pasta stesi sottilmente ed intrecciati a croce sull'uovo.Spennellate con uovo e latte e fate nuovamente riposare per circa 35 minuti prima di infornare a 180 gradi fino a cottura ultimata.Una volta raffreddate, potrete guarnire le pigne con una glassa a base di limone e decorazioni varie.

martedì 2 aprile 2013

Buon compleanno Stellina :-)!

Oggi compie 14 anni la mia peste! ormai non è più piccola, quindi lo ometto :-). E' stata organizzata la festa stile "Masterchef". Si è trovata con i suoi cugini e alcuni amici e si sono divisi in due squadre, una maschile e una femminile, ovviamente una contro l'altra e hanno preparato la cena che è stata giudicata da noi genitori. Ovviamente è finita in pareggio, ma non scontato. Diciamo che la squadra maschile ha saputo gestirsi in modo più furbo  e organizzarsi meglio con portate meno elaborate, mentre quella femminile ha curato più i dettagli a scapito qualche volta del sapore. Ma sono stati davvero bravi questi ragazzi! E spero proprio abbiano trascorso una bella giornata. Auguri  ex piccola!!

Alcuni momenti e portate della festa:

la spesa
la preparazione dei piatti







fettine al vino, tanto tanto vino :-)


qualche portata

antipasti squadra femminile



antipasto squadra maschile


i primi


ora non rimane che riassettare:-). Buon compleanno!

lunedì 1 aprile 2013

La mia Pasqua

La giornata di Pasqua è iniziata con il tradizionale lavaggio del viso con l'acqua benedetta dove sono state bollite le uova. Poi prosegue con la abbondante colazione composta da uovo sodo, salame nuovo, colomba e apertura delle uova di cioccolato.
Quest'anno per la Messa della Veglia ho preparato dei pabassinas, che però non ho portato perchè non ce l'ho fatta ad assistere, ero sfinita.

e ho preparato anche le pigne di Roberto Potito da regalare ai parenti più stretti


certo non sono belle come le sue, ma il risultato è comunque soddisfacente.
E come avevo anticipato le mie uova decorate con pasta di zucchero.


e quelle tipo "coccoi"