domenica 21 aprile 2013

21 Aprile: liberazione di Bologna. Da KZ lager parte 1

In questi giorni sono venuta in possesso di KZ-LAGER, un libro  antologia della deportazione scritto dal mio mitico maestro delle elementari Oralndo Pezzoli. Per ricordare la liberazione di Bologna, ho scelto di riportare un capitolo di questo libro. Meriterebbe di essere scritto tutto, ma sarebbe un poco lungo.
 
Santa Viola, Anzola Emilia, Mauthausen e...ritorno
di Osvaldo Corazza
 
Osvaldo Corazza, il "Dado giovane" (di "Dado" a Santa Viola ne abbiamo tre e tutti, guarda caso, energici combattenti antifascisti) da anni attivo consigliere di S.Viola, conosciuto in tutta la provincia, perennemente impegnato nelle più svariate attività democratiche e civili, ha dovuto compiere una triste, dolorosa esperienza: internato politico nei campi nazisti di sterminio.
Con la sua serena modestia ci ha riportato quanto riportiamo, sicuri che parecchi cittadini del nostro Quartiere troveranno momenti da loro stessi vissuti e sofferti.
"Poco prima dell'8 settembre '43, non ricordo la data, Bologna subì una incursione aerea alleata ed alcune bombe caddero nella nostra zona. Anche la mia famiglia decise di "sfollare" e trovammo ospitalità presso uno zio a S. Giacomo del Martignone. Il trasloco delle cose indispensabili e del materiale strettamente necessario lo facemmo con un furgoncino a pedali.
La mia famiglia era allora numerosa e bisognava sfamarla; io, mio padre e una sorella rimanemmo in Berretta Rossa, poichè ancora eravamo a lavorare. Alla fine di settembre però, dopo il bombardamento del 25, ci portammo tutti a S. Giacomo; per altri mesi mio padre continuò a prestare servizio alla Ducati.
La casa dello zio era vicina la stazione e i due ponti sul Samoggia; quello della strada provinciale e l'altro della linea ferroviaria Bologna- Verona. Nell'ultimo periodo invernale e poi con l'inizio della primavera del '44, incominciarono le visite del famoso "Pippo" e dei cacciabombardieri americani; ogni giorno naturalmente piovevano bombe e spezzoni; abbandonammo perciò quella casa e ci trasferimmo in un'altra più all'interno, isolata nella campagna. Qui convivevano: la famiglia del contadino, la mia, quello dello zio ed altre sfollate dal piccolo centro di S. Giacomo.
La vita dello sfollamento aveva una caratteristica fondamentale: arrangiarsi alla meglio; io lavoravo col contadino e ciò mi permetteva di consumare con lui l'abbondante colazione mattutina; era già un invidiabile stato: con le sole tessere del razionamento, è noto, non si poteva vivere. Mia mamma andava a legna nei campi e lungo il Samoggia; più spesso recuperava semplici bruscoli; raccoglieva anche le rimanenze dei prodotti agricoli: "spigolava" tutto quello che si poteva. Questa era la vita: si tirava avanti, sperando che la guerra finisse presto.
All'inizio della primavera erano già nate le prime formazioni armate della pianura: il movimento partigiano; si notavano varie persone che andavano da una parte e dall'altra; erano staffette e commissari che prendevano contatti con la popolazione per creare le basi di un vasto movimento popolare e sorreggere  e dare spazio alle formazioni armate.Lavorando costantemente in campagna, vedevo tutti i "giri" che avvenivano. La mia famiglia non era nel Movimento della Resistenza, ma essendo lì notavamo e capivamo cosa stava accadendo. Da noi passarono e a volte si fermarono, Nannetti, Bolognini, Casarini, il "Dado piccolo"; spesso erano in macchina e consegnavano al contadino materiale recuperato: indumenti, armi, viveri.
Anch'io cominciai ad aiutare: ogni settimana pulivamo le armi che erano sistemate nel fienile, mantenevamo le altre cose in ordine e di tanto in tanto, loro venivano a prelevare i pezzi per distribuirli alle varie basi; i contatti erano tenuti dal figlio del contadino; un certo Guermandi Gaetano. Suo padre, poi, raccoglieva i vitelli che noi chiamavamo "sbandati"; erano quelli non denunciati che i contadini consegnavano al Movimento. Li squartavamo, li pulivamo, facevamo i pezzi e dentro sacchi di tela juta, li portavamo in bicicletta alle basi più numerose.
Di sera, dopo che le donne e i bambini erano saliti nelle stanze, in quattro o cinque ci mettevamo all'angolo della grande cucina ad ascoltare Radio Londra; avevamo però sempre la guardia fuori della porta per essere certi non arrivasse qualcuno improvvisamente. Ci colpivano tutte quelle famose frasi, tante volte ripetute, alle quali non potevamo dare una interpretazione, capivamo però che erano rivolte alle "bande partigiane". Spesso venivano ragazzi delle formazioni con prigionieri  e noi li mettevamo in una camera impegnandoci a fare in modo che nessuno li vedesse: rimanvevano alcuni giorni. Capitò più volte dopo la battaglia di Porta Lame.
Giunse così il dicembre del '44; non pienamente consapevole del "giro" nel quale ero entrato, facevo tutto con semplicità; e con entusiasmo;  mio padre spesso avvertiva di usare prudenza, precauzione e una più attenta vigilanza. Il 2 del mese, alla sera, arrivarono sei o sette partigiani, tra loro c'era Bolognini, molto conosciuto a S.Viola, Borgo ed in tutte le campagne dalla Bazzanese al Persicetano; si era messo assai in vista ed i fascisti e nazisti lo ricercavano con insistenza. Dissero che sarebbero rimasti l'intera notte e si sistemarono nella stalla.
A quei tempi, col buio, calava un silenzio opprimente; alle due o due e mezza fummo improvvisamente svegliati dal rumore di diversi autocarri; erano i paracadutisti tedeschi che circondarono la casa.  Io mi trovavo in una camera con mia madre e due sorelle.
Bisogna ricordare che in ottobre il Samoggia ruppe l'argine a San Giacomo ed allagò le campagne; da noi l'acqua arrivò ad 80 cm di altezza, in altre zone raggiunse i due metri.
Quella notte l'acqua non c'era più, ma la terra rimaneva ancora coperta da uno strato più o meno alto di fanghiglia e melma ed in campagna si girava male, con fatica. Noi pensavamo che ciò potesse garantirci da sgradite visite ed invece fu proprio il contrario.
Quando Bolognini e i suoi sentirono gli autocarri, uscirono dalla stalla ed andarono dietro il fienile dove era stato costruito un rifugio antirastrellamento: una specie di stanza tra le balle di paglia con robuste travi e l'entrata chiusa da altra balla in modo che non si potesse vedere. Il figlio del contadino con il fratello Adamo ed un certo Bruno Baiesi, che verrà poi ucciso il 21 Aprile in Piazza ad Anzola dai nazisti in fuga, quando sentirono i tedeschi tentarono di scappare attraverso una porticina posteriore e raggiungere il vicino argine del fiume dove, nella curva, avevamo costruito un altro rifugio; una stanza di circa due metri per tre. Si entrava dalla stretta botola, protetta da un grosso coperchio sul quale era stata messa terra e vegetazione del fiume; quando era chiusa non si vedeva nulla.
Appena aperta la porticina, videro i tedeschi appostati e dovettero richiudere in fretta; si sistemarono all'interno in un piccolo locale, dove erano ammucchiate le fascine di biancospino che usavamo per scaldare il forno e cuocere il pane. Sollevarono le fascine e si nascosero sotto.
Al momento dell'arrivo dei tedeschi capimmo benissimo che la cosa era molto pericolosa, perchè sapevamo che c'erano i partigiani nella stalla.
I paracadutisti entrarono, perquisirono dappertutto e fecero scendere in cucina gli uomini che trovarono; tutti in fila contro il muro e le mani alzate.
Verso mattina, prima che venisse la luce, visto che l'accerchiamento non si allentava, Bolognini ed i suoi con alcune fucilate e colpi di pistola si fecero strada e dal rifugio tra la paglia, passorono dietro il fienile fiancheggiando la letamaia, si gettarono tra gli alberi di ciliegio riuscendo a romperre l'accerchiamento e scapparono in mezzo alla campagna.
Intanto portarono in casa Augusto Baiesi, uno di  Anzola, che da molto viveva lì con noi ed assieme lavoravamo in campagna. Quella sera volle andare a dormire nella stalla con i partigiani, forse anche per  prendere accordi: al momento della fuga non riuscì a seguire gli altri e fu costretto ad attraversare l'aia e rifugiarsi nell'orto sotto i cavoli, lo videro nascondersi e fu catturato. Davanti a noi lo bastonarono e picchiarono in modo disastroso; faceva sangue da tutte le parti, aveva le labbra e i denti spaccati, lo minacciavano con la pistola sbattendogliela sotto il mento e chiedendogli continuamente  dove era andato Bolognini. Augusto Baiesi verrà fucilato ai colli di Sabbiuno.
I tedeschi avevano trovato nella stalla indumenti e stivaletti, certamente capirono a chi appartenevano.
Erano stati guidati lì da un certo Hans, militare della Wehrmacht che aveva disertato per entrare nelle formazioni partigiane; lui e un altro vennero catturati durante un rastrellamento nella zona di Amola. Sotto la tortura lo fecero parlare e se ne servirono per perquisire e rastrellare tutte le cascine che l'avevano ospitato. Questo soldato che non era riucito a resistere e sopportare le torture, era fasciato e teneva un fazzoletto davanti al viso, si vedevano però chiaramente gonfiori e lividi nel volto.
Tentarono di strappare parole di confessione al Baiesi ed anche a noi; tutti rispondemmo che di formazioni non sapevamo nulla. Ci legarono le mani dietro la schiena e con una lunga corda cinsero il collo di ognuno con tanti capestri e fummo portati via su un autocarro coperto.
Capimmo che oltre Bolognini, cercavano il figlio del contadino; invece non lo trovarono poichè, insieme agli altri, rimase per tre giorni e tre notti nel ripostiglio sotto le fascine. I tedeschi infatti stettero  lì tutto quel tempo, poi abbandonarono la casa senza bruciarla; fu una grossa fortuna, non solo per quelli nascosti, ma anche per le altre trentacinque persone: donne e bambini che non avevano potuto allontanarsi.
L'autocarro si fermò al cimitero di S. Giacomo; parlavano in tedesco e non capivamo nulla, eravamo convinti che ci volessero fucilare subito; dopo un certo tempo ripartirono e fummo portati nella piazza centrale di S. Giovanni in Persiceto alla sede della polizia. Qui ci fecero un primo interrogatorio con minacce e botte, poi ci trasferirono alla ex caserma dei carabinieri dove rimanemmo due giorni senza essere interrogati; di tanto in tanto un tedesco apriva lo spioncino e diceva:
- Domani tutti kaput.
Dopo due giorni, era fra il 4 e il 5, ci caricarono su un camion, vigilati all'interno del cassone delle S.S. con i mitra, presero la strada per Bologna. Il camion si fermò di fronte a Via Agucchi; alcuni soldati scesero parlottando in tedesco; io ero sicuro che ci trovavamo lì, perchè, guardando poco prima dalle fessure, avevo visto le sirene del Pontelungo. Dopo un po' ripartimmo; mi ricordo bene: passammo dal Meloncello e girammo sulle colline; girammo molto, molto. Si fermarono avanti un pezzo e poi fecero marcia indietro contro l'entrata di una villa e sullo sfondo si vedevano delle piante rampicanti.
 
continua...


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