Il Resto del Carlino, quotidiano bolognese, ha ripreso una pubblicazione che aveva fatto anche in passato, sempre curata dal Dottor Marco Poli: l'alfabeto di Bologna. Un'opera che, a mio parere, è semplicemente fantastica.
Implemento quindi quanto già pubblicato fino ad ora. Si riparte con la lettera A di acque.
"Con quasi 70 chilometri di canalizzazioni di superficie o sotterranee, una cinquantina di ponti, Bologna divenne la città europea più ricca di infrastrutture idrauliche".
Quando la città era delimitata dalle mura del Mille, Bologna poteva contare su un solo corso d'acqua naturale, il torrente Aposa.
Nell'arco di mezzo secolo, a partire dal 1176, Bologna accolse le acque del Savena e del Reno attraverso la realizzazione di chiuse che deviarono le acque verso la città: da San Rufillo, quelle del Savena, da Casalecchio, quelle del Reno.
Queste acque inizialmente servirono a muovere le ruote dei mulini da grano, a riempire i fossati delle mura, ad abbeverare gli animali, a irrigare gli orti, a lavare i panni e per altri usi domestici, ad alimentare i vivai dei pesci, a rendere più igienica la città.
La consapevolezza che l'acqua potesse fornire energia portò ad un suo utilizzo per varie lavorazioni; ma la svolta principale avvenne nel 1341, quando un immigrato da Lucca, Bolognino del fu Borghesano, impiantò il primo telaio meccanico da seta.
Nei due secoli successivi, con la costruzione dei condotti sotterranei, l'acqua fu portata nelle cantine e la sua energia fu sfruttata per varie lavorazioni, fu costruito il Navile per il trasporto di merci e persone, fu realizzato il porto. Insomma, un vero e proprio sistema "integrato": dall'arrivo della materia prima, alla produzione di prodotti, al loro commercio e al loro trasporto.
Con quasi 70 chilometri di canalizzazioni di superficie o sotterranee, una cinquantina di ponti, Bologna divenne la città europea più ricca di infrastutture idrauliche con la maggiore concentrazione produttiva all'interno delle mura: alla fine del Seicento, erano attivi 130 opifici e 400 ruote che davano lavoro a oltre 20.000 persone.
A partire dall'Ottocento il grande sistema delle acque fu gradualmente abbandonato: i canali (di Reno e del Savena) furono coperti, i condotti sotterranei furono utilizzati come fognature e il porto rimase inutilizzato. Rimase attivo il canale Navile per il trasporto di merci e persone. Le ultime coperture furono attuate negli anni '50 del Novecento e culminarono con la tombatura del Canale di Reno in via Riva Reno.
La "Bologna delle acque" è ancora nel cuore di molti cittadini, ma troppo spesso si dà di quell'immagine pittoresca, la stessa che si osserva guardando dalla famosa finestrella di via Piella. Forse per questo c'è chi auspica una parziale riapertura dei canali, soprattutto del canale di Reno. Ma la "Bologna delle acque" non voleva essere "pittoresca", bensì creare quel magnifico sistema idraulico per dare pane e lavoro a migliaia di cittadini.
Implemento quindi quanto già pubblicato fino ad ora. Si riparte con la lettera A di acque.
"Con quasi 70 chilometri di canalizzazioni di superficie o sotterranee, una cinquantina di ponti, Bologna divenne la città europea più ricca di infrastrutture idrauliche".
Quando la città era delimitata dalle mura del Mille, Bologna poteva contare su un solo corso d'acqua naturale, il torrente Aposa.
Nell'arco di mezzo secolo, a partire dal 1176, Bologna accolse le acque del Savena e del Reno attraverso la realizzazione di chiuse che deviarono le acque verso la città: da San Rufillo, quelle del Savena, da Casalecchio, quelle del Reno.
Queste acque inizialmente servirono a muovere le ruote dei mulini da grano, a riempire i fossati delle mura, ad abbeverare gli animali, a irrigare gli orti, a lavare i panni e per altri usi domestici, ad alimentare i vivai dei pesci, a rendere più igienica la città.
La consapevolezza che l'acqua potesse fornire energia portò ad un suo utilizzo per varie lavorazioni; ma la svolta principale avvenne nel 1341, quando un immigrato da Lucca, Bolognino del fu Borghesano, impiantò il primo telaio meccanico da seta.
Nei due secoli successivi, con la costruzione dei condotti sotterranei, l'acqua fu portata nelle cantine e la sua energia fu sfruttata per varie lavorazioni, fu costruito il Navile per il trasporto di merci e persone, fu realizzato il porto. Insomma, un vero e proprio sistema "integrato": dall'arrivo della materia prima, alla produzione di prodotti, al loro commercio e al loro trasporto.
Con quasi 70 chilometri di canalizzazioni di superficie o sotterranee, una cinquantina di ponti, Bologna divenne la città europea più ricca di infrastutture idrauliche con la maggiore concentrazione produttiva all'interno delle mura: alla fine del Seicento, erano attivi 130 opifici e 400 ruote che davano lavoro a oltre 20.000 persone.
A partire dall'Ottocento il grande sistema delle acque fu gradualmente abbandonato: i canali (di Reno e del Savena) furono coperti, i condotti sotterranei furono utilizzati come fognature e il porto rimase inutilizzato. Rimase attivo il canale Navile per il trasporto di merci e persone. Le ultime coperture furono attuate negli anni '50 del Novecento e culminarono con la tombatura del Canale di Reno in via Riva Reno.
La "Bologna delle acque" è ancora nel cuore di molti cittadini, ma troppo spesso si dà di quell'immagine pittoresca, la stessa che si osserva guardando dalla famosa finestrella di via Piella. Forse per questo c'è chi auspica una parziale riapertura dei canali, soprattutto del canale di Reno. Ma la "Bologna delle acque" non voleva essere "pittoresca", bensì creare quel magnifico sistema idraulico per dare pane e lavoro a migliaia di cittadini.
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