Stavo sfogliando un vecchio giornale che acquistai tempo fa "La vispa Teresa" che risale al 1940 circa e vi ho trovato questa leggenda, che mi è molto piaciuta. La trascrivo, dovesse mai interessarvi .
La leggenda del vischio
A primavera il regno del Norico, nel cuore delle Alpi, era tutto in festa, perchè con l'ultimo sfiorire dei meli e col primo fiorire delle rose, era nato un bimbo ai sovrani non più giovani, e la reggia, dopo tanti anni di silenzio e di vana attesa, risuonava di un vagito.
Cavalieri, marchesani e sapienti andavano a psso felpato sin presso il trono, per congratularsi col re, e per porgergli auguri pel principino Bardo, nato robusto e bellissimo, con la testolina coperta di peluria bionda, e con gli occhi aperti che promettevano diventare d'un azzurro cielo. Un vecchio mago, fedelissimo al sovrano, ed esultante al pari di lui, volle offrire un suo dono singolare:
- Sire, io incontrerò i sassi, gli animali, le piante e tutte le cose perchè non possano mai recare danno al principino.
- Grazie, Hermo.
Il vegliardo veglià molte notti, per compiere quella magia, e quando Bardo venne portato all'aria e al sole, quando cominciò a muovere i primi passi, quando seppe giocare tra le aiuole del giardino, si accorse con grande conforto, che nè il vento, nè i sassolini in cui inciampava, nè le spine delle rose potevano fargli male: Bardo cresceva leggiadro e vigoroso, nell'areola dei suo capelli d'oro, nell'azzurrità degli occhi ridenti, nella grazia del volto rosato; ed era anche nobile e generoso, così da prevedere che il suo sarebbe stato un regno felice, anche perchè i sudditi già l'adoravano. Ma, durante l'inverno il re e la regina, per consiglio di Hermo, trattenevano il principe nella reggia, o gli concedevano soltanto di attraversare le città, vietandogli di salire al monte o di entrare nei boschi.
- Mestà - aveva avvertito il vergliardo - ho fatto incantesimo di primavera , quindi il vischio non cresce, ed è questo il solo cespuglio capace di ferire l'erede.
Il divieto non garbava a Bardo il Norico, e gli piacque ancora meno quando crebbe, toccando i venti anni: durante le diffuse nevicate invernali, egli volgeva gli occhi verso le selve di pini e di abeti, meravigliose sotto biaccoli argentati, e che apparivano incantate quando il cielo si rasserenava, stagliate, così nell'azzurro.
Un giorno, eludendo la vigilanza della guardia del corpo, si inerpicò solo per il sentiero che saliva verso la foresta; e non vi era giunto, quando vide uscire una fanciulla, vestita d'ermellino, più bionda di lui, ma con gli occhi bruni, marezzati d'oro, come l'ombra della selva.
- Chi sei?
- Stellaria dei conti di Lariceto.
Egli, conosceva il nome di quel castello, e si dolse che la giovinetta non fosse mai intervenuta alle feste invernali della reggia; e più tardi ne parlò a sua madre.
- Inviteremo la contessina, ma tu non arrischiarti più sin ai boschi durante l'inverno.
I giovani si rividero molte volte durante conviti, danze, eleganti conversari, ma il sentimento id Bardo si fece talmente profondo da desiderare divedere la fanciulla anche nel castello di Lariceto annidato tra i boschi. E oblioso degli ordini paterni, dopo una nevicata che aveva ovattato tutte le montagne, egli inforcò il suo cavallo bianco, e se ne andò al piccolo trotto verso la selva, e vi entrò, subitamente commosso dalla bellezza fantastica di quel paesaggio, dove gli alberi sempreverdi lucevano ingioiellati di fiocchi, di diaccioli, di festoni sotto un raggio di sole che si scioglieva dalle nuvole.
- Stellaria abita davvero in un plaga di sogno.
Poi si accorse che era partito dalla reggia senza portarle neppure un gioiello, neppure un fiore, e perplesso, volse lo sguardo intorno: ed ecco là, sopra un vecchio larice un cespuglio d'una grazia incomparabile, con le piccole foglie oblunghe, ma tondeggianti nell'orlo, sparse di neve: era un ciuffo di vischio, a quei tempi privo delle perline bianche che lo rende tanto pittoresco.
Tuttavia piacque al principe Bardo per la grazia del fogliame e volle offrirne un grosso cespo alla sua fanciulla; si reclinò sulla sella sporgendosi verso l'albero per afferrare il fusto del vischio con la mano sinistra, e sentendolo tenace, sguainò la spada con la destra e lo recise alla base.
Se lo pose davanti sul collo del cavallo, ma l'umore colloso , che defluiva dal ramo reciso, gli scivolò nel palmo, dandogli un brivido, un sussulto: e si reclinò inerte con le mani immote sulla briglia allentata.Tuttavia, l'intelligente animale non si impennò, e dopo aver fiutato l'aria con un lungo nitrito, si volse, e ripercorse piano piano la strada verso la reggia.
- Altezza!
- Principe!
- Bardo!
Nessuno voleva credere ai propri occhi, quando lo tirarono giù di sella, senza vita, col ceppo verde quasi attaccato alle mani e al giustacuore.
- ah! Il vischio!
Hermo, il sapiente si disperò, ed invano aperse tutti i suoi libri prodigiosi, invano consultò le stelle: non gli giungevano che il singhiozzo disperato del re, e la voce della regina che, pur senza pianto, non cessava di pronunciare con ineffabile strazio il nome del figlio:
- Bardo...Bardo...Bardo...
Nelle piazze, nelle vie il popolo si assiepava, impietrito, scostandosi solo per far ala agli araldi, mandati per tutto il Norico ad annunciare la morte del principe, e il decreto del sovrano che voleva deposti in un'urna, nella camera ardente, tutti i gioielli della corona, perchè ormai nessuno li avrebbe più portati.
Quando la notizia giunse nel castello di Lariceto, Stellaria scolorò tutta,e, nel suo chiuso dolore, non alzò neppure un lamento, m si avvolse dalla testa ai piedi in velo candido, e uscì tacita oltre il ponte levatoio, oltre le selve, sin ad infilare un sentiero che conduceva alla misteriosa dimora di Manato, il messaggero della morte, che conduce i defunti nell'oltretomba.
Ella aveva veduto in sogno quella via, e la forza prodigiosa del dolore gliela fece ritrovare senza eccessiva difficoltà.
Vi giunse al tramonto, e la porta vietata ai vivi pareva anche più oscura e paurosa.; ma Stellaria alzò l'esile mano e vibrò venti colpi, quanti erano gli occhi del principe.
Menato, che vedeva anche oltre le porte chiuse, chiese in un soffio:
- Che vuoi Stellaria?
- Offrirti la mia vita per quella del principe Bardo.
- Non posso accettare.
Ella implorò:
- Non portarlo con te! Fa che si ridesti dal sonno nella camera ardente: ti darò i miei capelli, i miei occhi, la mia giovinezza; andrò cieca e avizzita per il mondo, purchè tu lasci Bardo al suo popolo.
Manato alitò:
- Reca ai poveri gli inutili gioielli della corona chiusi nell'urna e fa in modo che tutti piangano di sincero affetto per lui: solo allora potrà ridestarsi. Affrettati!
Stellaria corse via: sentieri, selve, monti, la videro saettare su alla reggia, dove entrò d'impeto, scostando le guardie, sin ai piedi della regina che non si discostava dalla salma del figlio, che non si volse neppure a guardarla.
Eppure l'ascoltò, e con tremula mano aperse l'urna preziosa:
- Prendili, fanciulla: un sorriso di Bardo vale più di tutti i tesori del mondo.
Allora Stellaria, scese tra il popolo, seguita da due saggi che reggevano l'urna colma di gioie: si avvicinò ad un povero e gli pose nel palmo un rubino; diede ad un altro uno zaffiro, ad una mendicante carica di figli una collana di perle; e cercò altri sventurati nelle case più povere, ed a tutti diceva:
. Questo è un dono di Bardo.
Poi volle che Hermo inviasse offerte ad altri infelici di città e borgate più lontane, e fece sciamare gli araldi nelle casipole disperse, e promise la costruzione di ospedali, di ricoveri di scuole.
- E' il principe Bardo che vi desidera felici.
Una commozione profonda si diffondeva fra il popolo: per prime le madri lasciarono scorrere lacrime di nostalgia, poi i bimbi pregarono coi lucciconi agli occhi, ed i vecchi, gli uomini non seppero trattenere il pianto.
E passavano così in una sfilata interminabile nella camera ardente dove il principe giaceva: lì ai suoi piedi v'era il gran ceppo di vischiao che egli aveva voluto cogliere per Stellaria: e le lacrime della folla cadevano sopra costellandolo di innumerevoli perline opalescenti: e quando ne fu tutto pieno, le lunghe ciglia di Bardo ebbero un fremito, e si alzarono a poco a poco sugli occhi azzurri. Egli guardò sua madre, suo padre, e quando scorse la fanciulla, sorrise e si mosse.
- Ora sì posso offrirti il vischio come promessa di nozze.
E da quei tempi i cespi furono sempre cosparsi di perle chiare.
A primavera il regno del Norico, nel cuore delle Alpi, era tutto in festa, perchè con l'ultimo sfiorire dei meli e col primo fiorire delle rose, era nato un bimbo ai sovrani non più giovani, e la reggia, dopo tanti anni di silenzio e di vana attesa, risuonava di un vagito.
Cavalieri, marchesani e sapienti andavano a psso felpato sin presso il trono, per congratularsi col re, e per porgergli auguri pel principino Bardo, nato robusto e bellissimo, con la testolina coperta di peluria bionda, e con gli occhi aperti che promettevano diventare d'un azzurro cielo. Un vecchio mago, fedelissimo al sovrano, ed esultante al pari di lui, volle offrire un suo dono singolare:
- Sire, io incontrerò i sassi, gli animali, le piante e tutte le cose perchè non possano mai recare danno al principino.
- Grazie, Hermo.
Il vegliardo veglià molte notti, per compiere quella magia, e quando Bardo venne portato all'aria e al sole, quando cominciò a muovere i primi passi, quando seppe giocare tra le aiuole del giardino, si accorse con grande conforto, che nè il vento, nè i sassolini in cui inciampava, nè le spine delle rose potevano fargli male: Bardo cresceva leggiadro e vigoroso, nell'areola dei suo capelli d'oro, nell'azzurrità degli occhi ridenti, nella grazia del volto rosato; ed era anche nobile e generoso, così da prevedere che il suo sarebbe stato un regno felice, anche perchè i sudditi già l'adoravano. Ma, durante l'inverno il re e la regina, per consiglio di Hermo, trattenevano il principe nella reggia, o gli concedevano soltanto di attraversare le città, vietandogli di salire al monte o di entrare nei boschi.
- Mestà - aveva avvertito il vergliardo - ho fatto incantesimo di primavera , quindi il vischio non cresce, ed è questo il solo cespuglio capace di ferire l'erede.
Il divieto non garbava a Bardo il Norico, e gli piacque ancora meno quando crebbe, toccando i venti anni: durante le diffuse nevicate invernali, egli volgeva gli occhi verso le selve di pini e di abeti, meravigliose sotto biaccoli argentati, e che apparivano incantate quando il cielo si rasserenava, stagliate, così nell'azzurro.
Un giorno, eludendo la vigilanza della guardia del corpo, si inerpicò solo per il sentiero che saliva verso la foresta; e non vi era giunto, quando vide uscire una fanciulla, vestita d'ermellino, più bionda di lui, ma con gli occhi bruni, marezzati d'oro, come l'ombra della selva.
- Chi sei?
- Stellaria dei conti di Lariceto.
Egli, conosceva il nome di quel castello, e si dolse che la giovinetta non fosse mai intervenuta alle feste invernali della reggia; e più tardi ne parlò a sua madre.
- Inviteremo la contessina, ma tu non arrischiarti più sin ai boschi durante l'inverno.
I giovani si rividero molte volte durante conviti, danze, eleganti conversari, ma il sentimento id Bardo si fece talmente profondo da desiderare divedere la fanciulla anche nel castello di Lariceto annidato tra i boschi. E oblioso degli ordini paterni, dopo una nevicata che aveva ovattato tutte le montagne, egli inforcò il suo cavallo bianco, e se ne andò al piccolo trotto verso la selva, e vi entrò, subitamente commosso dalla bellezza fantastica di quel paesaggio, dove gli alberi sempreverdi lucevano ingioiellati di fiocchi, di diaccioli, di festoni sotto un raggio di sole che si scioglieva dalle nuvole.
- Stellaria abita davvero in un plaga di sogno.
Poi si accorse che era partito dalla reggia senza portarle neppure un gioiello, neppure un fiore, e perplesso, volse lo sguardo intorno: ed ecco là, sopra un vecchio larice un cespuglio d'una grazia incomparabile, con le piccole foglie oblunghe, ma tondeggianti nell'orlo, sparse di neve: era un ciuffo di vischio, a quei tempi privo delle perline bianche che lo rende tanto pittoresco.
Tuttavia piacque al principe Bardo per la grazia del fogliame e volle offrirne un grosso cespo alla sua fanciulla; si reclinò sulla sella sporgendosi verso l'albero per afferrare il fusto del vischio con la mano sinistra, e sentendolo tenace, sguainò la spada con la destra e lo recise alla base.
Se lo pose davanti sul collo del cavallo, ma l'umore colloso , che defluiva dal ramo reciso, gli scivolò nel palmo, dandogli un brivido, un sussulto: e si reclinò inerte con le mani immote sulla briglia allentata.Tuttavia, l'intelligente animale non si impennò, e dopo aver fiutato l'aria con un lungo nitrito, si volse, e ripercorse piano piano la strada verso la reggia.
- Altezza!
- Principe!
- Bardo!
Nessuno voleva credere ai propri occhi, quando lo tirarono giù di sella, senza vita, col ceppo verde quasi attaccato alle mani e al giustacuore.
- ah! Il vischio!
Hermo, il sapiente si disperò, ed invano aperse tutti i suoi libri prodigiosi, invano consultò le stelle: non gli giungevano che il singhiozzo disperato del re, e la voce della regina che, pur senza pianto, non cessava di pronunciare con ineffabile strazio il nome del figlio:
- Bardo...Bardo...Bardo...
Nelle piazze, nelle vie il popolo si assiepava, impietrito, scostandosi solo per far ala agli araldi, mandati per tutto il Norico ad annunciare la morte del principe, e il decreto del sovrano che voleva deposti in un'urna, nella camera ardente, tutti i gioielli della corona, perchè ormai nessuno li avrebbe più portati.
Quando la notizia giunse nel castello di Lariceto, Stellaria scolorò tutta,e, nel suo chiuso dolore, non alzò neppure un lamento, m si avvolse dalla testa ai piedi in velo candido, e uscì tacita oltre il ponte levatoio, oltre le selve, sin ad infilare un sentiero che conduceva alla misteriosa dimora di Manato, il messaggero della morte, che conduce i defunti nell'oltretomba.
Ella aveva veduto in sogno quella via, e la forza prodigiosa del dolore gliela fece ritrovare senza eccessiva difficoltà.
Vi giunse al tramonto, e la porta vietata ai vivi pareva anche più oscura e paurosa.; ma Stellaria alzò l'esile mano e vibrò venti colpi, quanti erano gli occhi del principe.
Menato, che vedeva anche oltre le porte chiuse, chiese in un soffio:
- Che vuoi Stellaria?
- Offrirti la mia vita per quella del principe Bardo.
- Non posso accettare.
Ella implorò:
- Non portarlo con te! Fa che si ridesti dal sonno nella camera ardente: ti darò i miei capelli, i miei occhi, la mia giovinezza; andrò cieca e avizzita per il mondo, purchè tu lasci Bardo al suo popolo.
Manato alitò:
- Reca ai poveri gli inutili gioielli della corona chiusi nell'urna e fa in modo che tutti piangano di sincero affetto per lui: solo allora potrà ridestarsi. Affrettati!
Stellaria corse via: sentieri, selve, monti, la videro saettare su alla reggia, dove entrò d'impeto, scostando le guardie, sin ai piedi della regina che non si discostava dalla salma del figlio, che non si volse neppure a guardarla.
Eppure l'ascoltò, e con tremula mano aperse l'urna preziosa:
- Prendili, fanciulla: un sorriso di Bardo vale più di tutti i tesori del mondo.
Allora Stellaria, scese tra il popolo, seguita da due saggi che reggevano l'urna colma di gioie: si avvicinò ad un povero e gli pose nel palmo un rubino; diede ad un altro uno zaffiro, ad una mendicante carica di figli una collana di perle; e cercò altri sventurati nelle case più povere, ed a tutti diceva:
. Questo è un dono di Bardo.
Poi volle che Hermo inviasse offerte ad altri infelici di città e borgate più lontane, e fece sciamare gli araldi nelle casipole disperse, e promise la costruzione di ospedali, di ricoveri di scuole.
- E' il principe Bardo che vi desidera felici.
Una commozione profonda si diffondeva fra il popolo: per prime le madri lasciarono scorrere lacrime di nostalgia, poi i bimbi pregarono coi lucciconi agli occhi, ed i vecchi, gli uomini non seppero trattenere il pianto.
E passavano così in una sfilata interminabile nella camera ardente dove il principe giaceva: lì ai suoi piedi v'era il gran ceppo di vischiao che egli aveva voluto cogliere per Stellaria: e le lacrime della folla cadevano sopra costellandolo di innumerevoli perline opalescenti: e quando ne fu tutto pieno, le lunghe ciglia di Bardo ebbero un fremito, e si alzarono a poco a poco sugli occhi azzurri. Egli guardò sua madre, suo padre, e quando scorse la fanciulla, sorrise e si mosse.
- Ora sì posso offrirti il vischio come promessa di nozze.
E da quei tempi i cespi furono sempre cosparsi di perle chiare.
E' troppo lunga ma tornerò a leggerla bene.
RispondiEliminaBuon pomeriggio
Mandi