Ieri ascoltando zia Franca, ho imparato tante cose sulla guerra a Granarolo che non conoscevo. L'ho filmata mentre lei raccontava, le sue espressioni sono eloquenti quanto le sue parole. Peccato però che la sua voce giunga appena in registrazione; perchè non andasse perso quel tesoro di racconto ho dovuto ascoltare il tutto con cuffie per poterlo annotare. E' un peccato disperdere queste notizie. Magari non saranno fedelissime nei nomi e nelle date, il tempo potrebbe avere confuso qualche appunto, ma vale la pena di conservarle gelosamente e perchè no, di diffonderle, in modo che il nostro sapere si arricchisca anche delle sensazioni di chi durante il secondo conflitto mondiale c'era.
Riporto quanto da lei detto, con nomi e date,che alla maggior parte delle persone non diranno assolutamente nulla, però sono personaggi realmente vissuti che hanno contribuito in qualche modo ad arrivare ai giorni nostri.
Comunque, saltando tutte le varie spiegazioni il racconto non perderà della propria efficacia.
Non sarà in un italiano perfetto, perchè ho cercato di tradurre fedelmente dall'espressione bolognese, ma il significato è comunque molto bene comprensibile.
Si inizia da racconti di vita quotidiana del tempo per finire con la liberazione.
Grazie zia Franca!
"Con l'arrivo del fascio, noi bambine dobbiamo vestirci da piccola italiana. L'abbigliamento era costituito da una gonnellina nera a pieghe con le bretelline uguali, la camicetta con il collettino tondo in piquet bianco.
Diceva mia zia, poveretta:"se ti andasse bene la camicia da sposo di tuo padre! Io prendo il davanti e il di dietro buono, faccio un poco alla meglio (però sapeva fare anche, lei!)..." niente da fare. Voleva di piquet! se non era di piquet...e il nastrino bello nel collettino, poi pettinate...ma insomma! una cosa che per mia mamma era un'agitazione!
Il nastrino era azzurro o blu a seconda delle classi.
Mi ricordo che mia zia dovette andare a Budrio a prendere la stoffa perchè ci voleva assolutamente per quella data. Come era preoccupata!
Di solito i conigli si vendevano quando raggiungevano il peso di due chili -due chili e duecento grammi, altimenti erano tutte ossa e niente carne; portarono via sette o otto conigli a Budrio che non erano il peso e li dovettero vendere per poter comperare questo pezzo nero di piquet per fare la gonna che poi fece ,poveretta, in casa, come era capace , ma era bona a sé ( era buona abbastanza).
I maschi invece erano vestiti con pantaloni al ginocchio sempre neri e sopra la camicia nera con il colletto orlato di bianco.
A casa mia per colpa della guerra sono successe delle cose!!
Cinque uomini ci portarono via: del 19 mio zio, del 14 mio zio, dell'1 mio padre, lo zio Amedeo del 98, il padre dell'Aurora, che era stato mandato nei carabinieri con la prima guerra mondiale, e mio padre l'ha fatto subito dopo la fine della prima guerra come leva; lo fecero per scansarsi il fronte, che non era roba da poco, quindi andarono nelle retrovie visto che erano iscritti nei carabinieri.
Nella seconda guerra vennero chiamati in servizio dai fascisti qui a Bologna per tenere l'ordine, per andare ad arrestare tutti i comunisti.
Mio babbo mi ha sempre raccontato che arresto Scoccimarro su a Belvedere in una capanna di un pastore in mezzo al bosco, lui era a Camugnana a fare un servizio, gli toccò di andarci loro e andarono ad arrestare il compagno che poi diventò il capo del Partito comunista...
Di cinque uomini era rimasto a casa solo Bruno, mio cugino, che era del 25. Avevamo 95 tornature di campo da lavorare e 22 bestie nella stalla, sai cosa vuol dire? Allora, in primavera incominciavano i lavori nel campo; a potare prendemmo due uomini, i fratelli Morari, Marino e Mario, che abitavano dietro al comune.
Quando incominciarono i lavori grossi, il nonno cieco, che era cieco dal 40, disse con mia mamma e mia zia: "adesso al dou ragazoli (le due ragazzine), la Franca e l'Aurora (io 12 anni, l'Aurora 13), vengono nella stalla con me e ci pensiamo noi alla stalla ". Però non c'era solo da vuotare la stalla e governare le bestie, da portarle all'aib (abbeveratoio), c'era da segare la spagna al mattino per dare da mangiare. Allora con la falciatrice, andavamo a segare la spagna.
L'Aurora che aveva una passione per le mucche e avendo un anno in più si sentiva grande, prese la Bellaria con la Colomba, che erano due mucche giovani, che andavano forte . Una teneva le redini e l'altra la cavezza: per noi era un divertimento!
Siamo andate bene fino al mese di agosto.
Nel mese di agosto c'era anche il problema di come fare ad affondare la canapa. Era un lavoro! Avevamo dei sassi!
Andava giù un postone, un zatterone grande grande, di canapa con 300 fasci di canapa sopra legati e affondava solo se mettevi tre fila di sassi, ma dei sassoni da 5,5 - 6 kg l'uno!
Allora il nonno disse: "Voi non contate le ragazze. Prendiamo due operai di Granarolo dal collocamento, perchè altrimenti si piegano la schiena."
Ti arrivavano questi sassi e ti piegavi giù, se non eri bello robusto, tamugno...e lì andammo bene.
Una volta a segare la spagna dietro la casa di Generali, al polo (chiamavamo così un pezzo di terra che il padrone Bassi la diede quando il primo italiano arrivò al Polo nord), un pezzo di terra di sette campi alla traversa(nella pianura un campo alla traversa misura 20 mt, un campo normale mt 100x20), dal macero ad andare in là.
Insomma dritto alla casa di via Marsiglia dove ci stava Bonini e più in giù ci stava Canè, la famiglia del pugile Dante Canè, dietro là c'era tutto il nostro campo che era un chilometro arrivare alla San Donato. Andammo a segare la spagna al polo. A casa vedevano che non tornavamo e si domandano dove fossimo finite. Lo zio viene a cercarci nella cavedania e vede di là dal macero le bestie legate con la corda, attaccate ad un albero, ma noi non ci vede. Fece una corsa che l'ho ancora in mente: gli volò via il cappello da in testa, ma non si fermò a raccoglierlo. Lui ci aveva già visto con i piedi segati, che avessimo avuto un brutto incidente. Arriva là e ci domanda cosa abbiamo fatto, come è che...e al posto di guardarci nella faccia ci guardava nei piedi (risata!). Che paura che passò anche lui! Non ci siamo fatte niente zio. solo che nel fare l'ultimo giro il pettine era dalla parte del fosso, nella cavedania che divideva la terra di Canè e la nostra, che aveva una siepe con delle radici sporgenti grandi. La punta prese nella siepe e si spaccò il pettine. Facemmo un pianto e nessuna delle due voleva la colpa.Ci alternavamo un giro a testa a tenere la corda e Aurora mi disse "stai attenta, perchè lo sai che la Bellaria quando vede la cavedania si ferma, dalle una gran frustata. Dò una bella frustata alla bestia e loro di corsa...il pettine si ruppe e le bestie scapparono e io non fui buona di tenerle.
Lo zio disse due bestemmie, prende il pettine lo mette alla lunga del timone e ci porta a casa a mangiare.
Là c'erano già tutti i lavoranti del macero, andiamo a tavola con tutta questa gente, il nonno capotavola dice: "bè, come è che c'è tutto questo silenzio?". Lo zio: "si papà è successa una cosa..le ragazze hanno rotto il pettine" "si sono fatte male?""no" "bè allora è andata bene va là! l'hai già portata ad aggiustare?" "si l'ho portata da Bruno e ha detto che ci voglio 120 lire" "bè insomma...ho dispiacere perchè avevo detto che le pagavo un paltò alle ragazze.."
Ci andò male anche quella volta lì. Ce l'ho sempre in mente, fu una tragedia per noi quel giorno lì.
Queste cose sono capitate per colpa della guerra e del fascismo: se avessimo avuto i nostri uomini a casa non succedevano.
...
Il nonno è sempre stato attaccato al pozzo, in piedi appoggiato al pozzo. Aveva già riempito l'abbeveratoio, i vitellini avevano già finito, lui prende il suo bastone e attaccato al muro si siede sul suo seggiolino nella stalla. Partono questi cinque vitelli, si mettono intorno all'abbeveratoio, bè il piccolo invece di fermarsi là, va e si ferma davanti al pozzo.Io non potevo saltare l'abbeveratoio, prendo la frusta, la nascondo dietro alla schiena e poi, piano piano, gli vado vicino. Appena gli sono dietro mette i piedi sul pozzo e gli salta dentro! Un grido! Fece un verso che non mi fece dormire per due notti.
Bruno voleva tirarlo su lui, ma il nonno mi manda a chiamare Romeo Grazia, che è successo anche a lui l'anno scorso. Sono corsa là senza nemmeno guardare se passava la littorina. Non riuscivo a parlare dall'agitazione, balbettavo "ba ba ba", tanto che mi prese in giro per degli anni. " Vengo Franca, stai tranquilla, non muore".
Arrivati a casa mi dice di tirar fuori la "souga" (una corda fatta di canapa grossa che serviva per legare il fieno nel carro) più grossa che avete. La infilammo nell'anello della carrucola, lui se la lega in cintura, poi mettemmo la scala da foglia, quella con 22 pioli, che toccava l'acqua del pozzo , poi piano piano andò giù (era legata anche la scala), con un'altra corda legò stretto stretto tra le gambe nella pancia il vitello e venne su. Quando fu su , sfilammo la sua corda dalla carrucola e mettemmo quella del vitello. Facemmo tanto bene! Dopo un'ora era già su anche il vitello e non patì di nulla.
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10 Gugno 1940
Il Duce da Roma parla forte agli italiani dichiarando che siamo in guerra e con la radio e gli altoparlanti la sua voce viene diffusa in tutta Italia. Corrado era già via, era del 18, partì per la leva in gennaio. Dalla radio si sentiva che la gente applaudiva il duce. Lo zio esclama: "sì, sbattono le mani, questi cretini! Noi che abbiamo un figlio là, adesso va in guerra".
Tutti a Granarolo sbattevano le mani, ma di noi non andò nessuno in piazza a sbatterle.
Aprirono le finestre per sentire bene quello che diceva il duce.
A casa di Pini, un contadino che stava attaccato al Savena, avevano sei sette figli. A guerra già scoppiata nacquero tre gemellini, una è la moglie di Fausto Gardini, il fratello di Italo. Una festa fece il fascio di Granarolo! Il Duce voleva le famiglie numerose, la gente doveva andare al fronte. Venne personalmente a casa dai Pini e gli fece un regalo.
Dopo un anno morì il figlio più grande, Carlo, al fronte. Però lì , il Duce, non venne ad accompagnarlo...
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220! Avevamo fatto un rifugio nell'angolo del cortile. Il rifugio era formato da un corridoio non largo e dritto, ma stretto e a zig zag, in modo che, se ci fosse uno spostamento d'aria dovuto ad una bomba scoppiata poco lontana, non ti prendesse. Il corridoio era largo come un balla di fieno rettangolare, che veniva messa per terra come letto e si posizionavano due tubi da stufa per far passare l'aria, venivano messi uno da una parte e l'altro dall'altra del rifugio.
Almeno così ci avevano insegnato a costruirli.
Io stavo male dentro ai rifugi, per cui mi fermavo sui tre scalini che portavano giù e avevo solo la testa che sporgeva fuori. Arrivarono dei bombardieri in formazione da 12 alla volta 6+6, li contavo tutti, ne passarono 220! dopo un'ora, una di quelle formazioni girò verso Bologna e la bombardarono. Fu uno dei primi bombardamenti (nota mia. Il primo bombardamento di Bologna avvenne in via Agucchi il 16 luglio 1943. Mio babbo racconta che mia nonna lo portò sotto al ponte del Reno, il Pontelungo, che fra l'altro era un obiettivo, coperti da una coperta di lana in modo che se fossero arrivate delle schegge li avrebbe salvati).
Ce ne furono altri, fa cui quello del 25 settembre e quello del 12 ottobre 1944, dove morì la zia Ermelinda, la mamma dei Brighenti; la moglie di Attilio Brighenti, il fratello più vecchio di tutti i Brighenti di Granarolo. Lei era la figlia più grande di tutti i Franchini: era del 94, del 96 lo zio Armando del 98 lo zio Amedeo, dell'1 il babbo, del 2 la zia Corina, la madre di Romano Rubini, dell'8 la zia Emma, la mamma della Marisa Armaroli di Quarto, Zio Fredo del 14.
Quel giorno lì bombardarono anche Genova, la disfarono tutta. Si sentì tremare la terra sotto dei rifugi fin qui e da qui a là ce ne è di strada .
Quante ne abbiamo passate! La Romanina (mia suocera, che era del 1940) mi stringeva al collo e mi abbracciava e mi domandava se erano andati via i bombardieri.
Nel 1943, oltre al rifugio in cortile ne costruimmo un altro nel campo perchè tornò Arrigo, un mio cugino, fratello di Corrado. Era già a Pesaro di leva.. L'8 settembre 1943 l'esercito venne sciolto, il comandante disse ai soldati di andare a casa perchè non comandavamo più noi, il nostro esercito non esisteva più, erano arrivati gli americani. Dopo quattro giorni a piedi arrivò a casa.
Noi avevamo due tedeschi a dormire nel fienile. Uno era qui con il suo camion che trasportava munizioni da Minerbio al fronte, che era a Cassino. Stava via tre giorni e quando tornava nascondeva il camion sotto al portico della stalla, in modo che se passasse "Pippo" non lo vedesse.
Dormivano nel fienile, non disturbavano.
Mi ricordo che una volta venne a casa con 7-8 anatre belle grosse. Disse con mia mamma: "ho trovato tante kachna kachna!"
Franz, così si chiamava, era cecoslovacco nato a Praga, arruolato tra i tedeschi ma non lo era come linea politica. Diceva poche parole in italiano, ma ci fece capire che voleva le anatre cotte e così facemmo. "Quando io partire, mio kachna qui, sotto braccio indicava, io luki luki. Pippo? Oh ciao amico (con segno di saluto della mano)!. E poi via kachna kachna via campo."
Lasciava il camion sulla strada e scappava nel campo con l'anatra, così se fosse scoppiato il camion con le munizioni lui era salvo. Non ci dava fastidio questa persona.
Arrivò a casa Arrigo, di notte: sentiamo bussare al vetro. La zia Maria , felicissima, perchè era preoccupata non avendo notizie da tempo, lo portò subito nel suo letto. Però era preoccupata nel caso l'avessero visto. Noi non dicemmo nulla e Franz pure e facemmo finta di niente.
Però lo zio Amedeo, con lo zio Alfredo, che venne a casa in licenza, dice: "adesso facciamo un rifugio" Non si poteva tenere in casa, perchè se fosse arrivato un tedesco e fosse andato su e dicesse "via questa camera la tengo io", ti fucilava.
Ecco perchè facemmo il rifugio nel campo. C'era un bel pero grande, mettemmo per terra delle assi grandi con sopra delle cassette di terra dove era stato seminato del grano, in modo che non si vedesse nulla, nemmeno la botola per scendere. Tutte le sera la zia e lo zio portavano là la minestra calda, dell'affettato, del prosciutto. Essendo noi contadini non abbiamo mai patito la fame.
Non se ne fece mai parola con nessuno. Stette là due mesi, poi verso l'inverno si ammalò, quindi lo presero in casa per due o tre notti, poi lo riportarono là e ci stette per molto tempo.
Nel '44, c'erano già le SS al fronte, lui stette molto male. La zia Maria lo prese a casa dicendo che succedesse quel che doveva succedere. Sembrava un cadavere, tutto bianco bianco, stando sempre al buio (usciva solo di sera quando tutti i contadini erano già andati via dal campo) non aveva colore. Eravamo nel 44, ci avvicinavamo alla liberazione: arrivarono a casa nostra le SS.
Vediamo affiggere il cartello delle SS, entrano e vanno su di corsa.
La zia Maria, che aveva preso mio cugino a letto con lei per poterlo curare, mentre lo zio era andato a dormire nel letto dei giovani, scoppio a piangere dicendo che suo figlio stava per morire.
Allora le venne detto di stare buona: "mamma, non piangere." Erano due tenenti dell'esercito tedesco e loro, il tenente lo chiamavano Mutter, era la "mamma"della compagnia. Allora noi imparammo che mutter voleva dire mamma e siccome erano due, uno buono e uno cattivo, li chiamavamo "mama bona" (mamma buona) e "mama cativa" (mamma cattiva).
La "mama bona" diceva alla sera: "adesso andiamo a letto, buona notte a tutti buona famiglia".
La zia gli fece compassione e allora lui le disse "adesso tuo figlio viene con me in cucina (avevano la cucina sotto al portico della stalla, c'era un camion della cucina e tutti i soldati venivano a prendere da mangiare).
Ha la febbre?" "no" Gliela provarono e non l'aveva.
Gli disse allora: "domani vieni con me a pelare le patate".
Lo prese nel camion sotto la sua protezione e lui ne fu contento. Mangiando si riprese pian piano.
Dopo due o tre settimane vediamo passare Franz per la strada, che nel frattempo si era spostato più su, perchè man mano che il fronte avanzava i tedeschi si spostavano. Lo vediamo arrivare a piedi attraverso i campi.
"Mamma c'è Franz!" "che Franz?" "Mamma, Franz quello di Praga (così lo chiamavamo, non al tudasc, il tedesco). Arriva con i capelli dritti, avete le SS!"
"Mamma porta via le ragazze a Bologna, perchè arrivano i neo zelandesi e te le rovinano!"
Aveva lasciato il camion da Vanzetti, la famiglia dietro di noi e poi era venuto per la cavedania per avvisarci.
"mi raccomando!"
La mamma lo tranquillizzò: "abbiamo già le mucche a Bologna , dentro la caserma della 3° Artiglieria in via Castel Fidardo"
Nessuna azione di guerra doveva essere compiuta dentro le mura della città; allora i contadini di Bassi, andorono a Bologna, in due per famiglia, per accudirle (bisognava portare la spagna e il mangiare )da Granarolo a Bologna e mungere il latte.
Poi guarda mia zia e le domanda: " e tuo figlio come sta?"
Siamo rimaste gelate tutte. Ci siamo guardate nella faccia e mia zia inizia a piangere e dice "si, Franz, sta bene".
"hai fatto bene, poverino! Dove ce l'avevi, dimmelo mò"
Lui non è mai andato nel campo a controllare, però dalla stalla vedeva che mia zia tutte le sere portava qualcosa da mangiare nel campo.
Franz non l'abbiamo più visto , poi ci giunse notizia che era morto in fondo al Po.
Mio babbo racconta che i tedeschi, quelli della base (che erano spaventati anche loro), raccontavano che"quando noi nel Po, noi Kaputt!"
Pippo era un ricognitore che perlustrava tutte le strade dell'anti fronte. Faceva un rumore particolare, i nostri non lo facevamo, ma in ogni caso dei nostri non ce ne era più nessuno, erano stati tutti tirati giù. Si sentiva : "senti senti, c'è Pippo che arriva, corri in casa corri in casa".
Se vedeva una luce, segnalava e si veniva bombardati. In picchiata mitragliavano e bombardavano, in modo da far tremare la terra e sganciavano delle piccole bombe, dei spezzoni che scoppiavano sopra terra, non affondavano.
La guerra era tremenda, non solo per quelli al fronte ma anche per quelli a casa.
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