lunedì 30 aprile 2012

Risotto paradiso!

Che meraviglia!  Rischio di essere blasfema ma è così che mi immagino il mio pranzo se meriterò di arrivarci:
riso, asparagi, prosciutto crudo e taleggio in un'unica portata!
Mi è nato così, senza premeditazione. Avevo degli asparagi freschi, il pezzo di prosciutto in frigorifero non manca mai, avevo acquistato un poco di taleggio...e come potevo legarli se non con il riso, che adoro?
Il piatto è risultato degno delle mie aspettative e mi ha pure risollevato il morale.
Le quantità sono indicative, molto ad occhio.

Risotto paradiso

 60 gr riso per persona
un mazzo asparagi
due fette prosciutto per persona
100 gr taleggio
brodo di carne
cipolla
burro

Fare soffriggere la cipolla in un poco di burro, poi aggiungervi  gli asparagi puliti e tagliati a dadini e il riso, quindi  fare tostare. Bagnare con poco brodo e portare a cottura rimescolando spesso a fuoco basso, aggiungendo liquido man mano che si asciuga. Una volta cotto aggiungere fuori dal fuoco il taleggio tagliato a dadini. Rivestire un pirottino mono porzione con due fette di prosciutto e riempire di riso. Capovolgere sul piatto da portata e servire subito.

sabato 28 aprile 2012

Gelato stelle e strisce


Perché si chiami così non lo so.) E' una ricetta che ho preso dalla prima raccolta a fascicoli che feci da ragazzina, ogni tanto lo rispolvero. ieri ha compiuto gli anni mia sorella e ho voluto fare questo dolce che è pure di stagione visto che ora ci sono le fragole fresche. Posso dire che è piaciuto, l'unica cosa che io con i gelati e i semifreddi devo averci litigato da piccola, perché prima, quando li devo decorare sembra che corrano da ogni parte, poi quando sono da mangiare invece si presentano come dei mattoni...ma la sfida continua!:-) E' un dolce che è anche molto veloce da fare il che torna sempre comodo.

Gelato stelle e strisce 

Ingredienti 
x 6 persone

4 uova
250 gr zucchero
1/2 l latte
1 bastoncino vaniglia
4 dl panna
1 limone
250 gr fragole
18 fragoloni
150 gr zucchero a velo
una tazza di panna montata

Per il gelato alla crema lavorare i tuorli con lo zucchero, fino a renderli spumosi, quindi unire il latte bollito con un bastoncino di vaniglia e poi filtrato: fare cuocere il composto a bagnomaria per 15 minuti circa, sempre mescolando e facendo attenzione che l'acqua non bolla; quindi una volta tolto il recipiente dal fuoco, continuare a mescolare affinché non si formi il velo in superficie.
Per il gelato alla fragola, unire alle fragole frullate con il succo di limone  lo zucchero a velo e mescolare con un cucchiaio di legno, aggiungere al composto la panna, che si sarà montata a parte, continuare a rimestare fino a quando il tutto assumerà un aspetto omogeneo. Prendere due stampi uguali, oppure congelare un composto alla volta nello stesso stampo e versarvi ogni composto singolarmente e mettere in freezer. Quando il gelato si sarà solidificato, toglierlo dai recipienti, che si immergeranno per un attimo in acqua calda e sovrapporre le forme ottenute alternando i colori. Guarnire il gelato con i fragoloni e la panna montata e conservare in freezer fino al consumo.


martedì 24 aprile 2012

Torta Cresima


Nei prossimi giorni il mio nipotino Matteo si appresta a ricevere la Cresima. Inevitabilmente ho pensato a quanto grande ormai sia anche lui e al fatto che mi sembra ieri che doveva passare la mia peste e invece sono già trascorsi due anni. Per la sua festa non organizzai tanto in realtà, feci la torta che poi venimmo a mangiare dopo il ristorante. Credo sia la torta più bella e migliore che abbia mai fatta. Vale sicuramente la pena di riproporla per chi non la conoscesse e avesse voglia di provarla. Non rimarrà deluso.
Questa torta mi ha regalato una grandissima soddisfazione nel farla e presentarla.
In realtà l'avevo pensata con tante roselline bianche sfumate in rosso ai bordi, però , la fioraia che le aveva ordinate, ha avuto la sorpresa che della mancata consegna. Decisa ad averle a tutti i costi ho fatto tutti i negozi di fiori del circondario, ma nessuno aveva boccioli di roselline. Ho dovuto quindi ovviare così, ma sono rimasta soddisfatta ugualmente.
Si è rivelata una torta squisita, delicata e con un tocco diverso dal solito, dovuto alle pesche sciroppate (per altre squisite, erano pesche che mi aveva donato la mia amica Carla e che io avevo conservato sotto vetro).
Grazie miei tesori!

Torta Anna di Pinella


Ingredienti

440 gr di uova intere
50 gr di tuorli
g. 275 zucchero
g. 250 farina
75 gr di fecola
g. 50 burro
scorza grattugiata di un limone
mezza bacca di vaniglia

Montare le uova ed i tuorli con lo zucchero in una ciotola posta su un bagno-maria caldo ma non
bollente. Arrivare fino alla temperatura di 37°C, quindi togliere la ciotola, versare il contenuto in
quella della planetaria , aggiungere la scorza del limone e l'interno della bacca di vaniglia e montare fino a quando il composto “scrive”. In alternativa, utilizzare un normale ma buon frullino. Setacciare la farina con la fecola e aggiungerla all’impasto, a mano, lavorando dall’alto verso il basso. Far sciogliere il burro, aggiungerlo ad una cucchiaiata di impasto e amalgamare il tutto. Travasare questo composto al principale, con attenzione. Imburrare ed infarinare una teglia da circa 30 cm di diametro. Versare il contenuto ed infornare a 160°C, in forno ventilato con lo sportello leggermente socchiuso con un mestolo di legno fino a completa cottura.
Crema pasticciera

Ingredienti

500 ml di latte intero
400 gr di panna fresca
100 ml di limoncello
4 uova intere
200 gr di zucchero
120 gr di farina 00
scorza di due limoni
2 fogli di gelatina da 2 gr l'uno

Far reidratare la gelatina in acqua ghiacciata. Portare fino al bollore il latte e la panna. Aggiungere la scorza dei limoni e lasciare in infusione per almeno 30 minuti. Montare le uova con lo zucchero, aggiungere la farina setacciata e amalgamare bene. Versare poi il latte e la panna caldi tutto di un colpo, aggiungere il limoncello e cuocere finchè la crema è densa. Aggiungere la gelatina e mescolare bene. Eliminare la scorza del limone e setacciare la crema. Coprire con pellicola per alimenti, a contatto.


Bagna al limoncello a 30°B

Ingredienti
270 gr di zucchero semolato
200 gr d'acqua
limoncello qb

Sciogliere lo zucchero nell'acqua. Portare a bollore finchè lo zucchero è completamente dissolto.
Spegnere e far raffreddare lo sciroppo. Profumare con limoncello a piacere.

Pesche sciroppate

Utilizzare delle buone pesche sciroppate.Tagliarle in dadini regolari e sistemarle in un setaccio fino all'utilizzo. Composizione del dolce Utilizzare come base la stessa teglia usata per la cottura. Inumidire l'interno e rivestire lo stampo con della pellicola in modo niforme. Ritagliare un disco di genoise di circa 1/2 cm e inumidirlo molto bene con lo sciroppo. Velare il disco con la crema ad un'altezza di almeno 1 cm. Porre il dolce in frigo per circa 10 minuti. Toglierlo dal frigo e deporre uno strato di dadini di frutta sciroppata. Proseguire allo stesso modo con un altro disco di genoise ed ultimare con il terzo disco.Inumidire ancora con lo sciroppo. Ricoprire con la pellicola e far raffreddare in frigo per un'intera notte.

Panna fresca gelatinata

Ingredienti

500 gr di panna fresca
2 fogli di gelatina da 2 gr l'uno.

Far reidratare la gelatina in acqua ghiacciata. Monate leggermente la panna togliendone almeno 3 cucchiai che serviranno per sciogliere la gelatina. A metà lavorazione versare a filo la gelatina
sciolta nella panna calda e proseguire la lavorazione finchè si ottiene una montata abbastanza ferma. Inserire la panna in una sac à poche con beccuccio a stella e procedere nella decorazione.
Decorazione

Capovolgere la torta sul piatto prescelto. Circondare il dolce con una striscia di acetato. Decorare
con la panna. Riporre in frigo. All'ultimo momento, far aderire all'acetato un nastro di raso oppure seta del colore prescelto. Chiudere l'apertura con un rametto di fiori freschi. Proteggere il mazzolino delle rose con della carta argentata ed inserire i fiori al centro della torta. Eventualmente, completare la decorazione con dei dischetti di cioccolato bianco.

sabato 21 aprile 2012

21 aprile anniversario liberazione Bologna: racconti di guerra

Ieri ascoltando zia Franca, ho imparato tante cose sulla guerra a Granarolo che non conoscevo. L'ho filmata mentre lei raccontava, le sue espressioni sono eloquenti quanto le sue parole. Peccato però che la sua voce giunga appena in registrazione; perchè non andasse perso quel tesoro di racconto ho dovuto ascoltare il tutto con cuffie per poterlo annotare. E' un peccato disperdere queste notizie. Magari non saranno fedelissime nei nomi e nelle date, il tempo potrebbe avere confuso qualche appunto, ma vale la pena di conservarle gelosamente e  perchè no, di diffonderle, in modo che il nostro sapere si arricchisca anche delle sensazioni di chi durante il secondo conflitto mondiale c'era.
Riporto quanto da lei detto, con nomi e date,che alla maggior parte delle persone non diranno assolutamente nulla, però sono personaggi realmente vissuti che hanno contribuito in qualche modo ad arrivare ai giorni nostri.
Comunque, saltando tutte le varie spiegazioni il racconto non perderà della propria efficacia.
Non sarà in un italiano perfetto, perchè ho cercato di tradurre fedelmente dall'espressione bolognese, ma il significato è comunque molto bene comprensibile.
Si inizia da racconti di vita quotidiana del tempo per finire con la liberazione.
Grazie zia Franca!
"Con l'arrivo del fascio, noi bambine dobbiamo vestirci da piccola italiana. L'abbigliamento era costituito da una gonnellina nera a pieghe con le bretelline uguali, la camicetta con il collettino tondo in piquet bianco.
Diceva mia zia, poveretta:"se ti andasse bene la camicia da sposo di tuo padre! Io prendo il davanti e il di dietro buono, faccio un poco alla meglio (però sapeva fare anche, lei!)..." niente da fare. Voleva di piquet! se non era di piquet...e il nastrino bello nel collettino, poi pettinate...ma insomma! una cosa che per mia mamma era un'agitazione!
Il nastrino era azzurro o blu a seconda delle classi.
Mi ricordo che mia zia dovette andare a Budrio a prendere la stoffa perchè ci voleva assolutamente per quella data. Come era preoccupata!
Di solito i conigli si vendevano quando raggiungevano il peso di due chili -due chili e duecento grammi, altimenti erano tutte ossa e niente carne; portarono via sette o otto conigli a Budrio che non erano il peso e li dovettero vendere per poter comperare questo pezzo nero di piquet per fare la gonna che  poi  fece ,poveretta, in casa, come era capace , ma era bona a sé ( era buona abbastanza).
I maschi invece erano vestiti con pantaloni al ginocchio sempre neri e sopra la camicia nera con il colletto orlato di bianco.
A casa mia per colpa della guerra sono successe delle cose!!
Cinque uomini ci portarono via: del 19 mio zio, del 14 mio zio, dell'1 mio padre, lo zio Amedeo del 98, il padre dell'Aurora, che era stato mandato nei carabinieri con la prima guerra mondiale, e mio padre l'ha fatto subito dopo la fine della prima guerra come leva; lo fecero per scansarsi il fronte, che non era roba da poco, quindi andarono nelle retrovie visto che erano iscritti nei carabinieri.
Nella seconda guerra vennero chiamati in servizio dai fascisti qui a Bologna  per tenere l'ordine, per andare ad arrestare tutti i comunisti.
Mio babbo mi ha sempre raccontato che arresto Scoccimarro su a Belvedere in una capanna di un pastore in mezzo al bosco, lui era a Camugnana a fare un servizio, gli toccò di andarci loro e andarono ad arrestare il compagno che poi diventò il capo del Partito comunista...
Di cinque uomini era rimasto a casa solo Bruno, mio cugino, che era del 25. Avevamo 95 tornature di campo da lavorare e 22 bestie nella stalla, sai cosa vuol dire? Allora, in primavera incominciavano i lavori nel campo; a potare prendemmo due uomini, i fratelli Morari, Marino e Mario, che abitavano dietro al comune.
Quando incominciarono i lavori grossi, il nonno cieco, che era cieco dal 40, disse con mia mamma e mia zia: "adesso  al dou ragazoli (le due ragazzine), la Franca e l'Aurora (io 12 anni, l'Aurora 13), vengono nella stalla con me e ci pensiamo noi alla stalla ". Però non c'era solo da vuotare la stalla e governare le bestie, da portarle all'aib (abbeveratoio), c'era da segare la spagna al mattino per dare da mangiare. Allora con la falciatrice, andavamo a segare la spagna.
L'Aurora che aveva una passione per le mucche e avendo un anno in più si sentiva grande, prese la Bellaria con la Colomba, che erano due mucche giovani, che andavano forte . Una teneva le redini e l'altra la cavezza: per noi era un divertimento!
Siamo andate bene fino al mese di agosto.
Nel mese di agosto c'era anche il problema di come fare ad affondare la canapa. Era un lavoro! Avevamo dei sassi!
Andava giù un postone, un zatterone grande grande, di canapa con 300 fasci di canapa sopra legati e affondava solo se mettevi tre fila di sassi, ma dei sassoni da 5,5 - 6 kg l'uno!
Allora il nonno disse: "Voi non contate le ragazze. Prendiamo due operai di Granarolo dal collocamento, perchè altrimenti si piegano la schiena."
Ti arrivavano questi sassi e ti piegavi giù, se non eri bello robusto, tamugno...e lì andammo bene.
Una volta a segare la spagna dietro la casa di Generali, al polo (chiamavamo così un pezzo di terra che il padrone Bassi la diede quando il primo italiano arrivò al Polo nord), un pezzo di terra di sette campi  alla traversa(nella pianura un campo alla traversa misura 20 mt, un campo normale mt 100x20), dal macero ad andare in là.
Insomma dritto alla casa di via Marsiglia dove ci stava Bonini e più in giù ci stava Canè, la famiglia del pugile Dante Canè, dietro là c'era tutto il nostro campo che era un chilometro arrivare alla San Donato. Andammo a segare la spagna al polo. A casa vedevano che non tornavamo e si domandano dove fossimo finite. Lo zio viene a cercarci nella cavedania e vede di là dal macero le bestie legate con la corda, attaccate ad un albero, ma noi non ci vede. Fece una corsa che l'ho ancora in mente: gli volò via il cappello da in testa, ma non si fermò a raccoglierlo. Lui ci aveva già visto con i piedi segati, che avessimo avuto un brutto incidente. Arriva là e ci domanda cosa abbiamo fatto, come è che...e al posto di guardarci nella faccia ci guardava nei piedi (risata!). Che paura che passò anche lui! Non ci siamo fatte niente zio. solo che nel fare l'ultimo giro il pettine era dalla parte del fosso, nella cavedania che divideva la terra di Canè e la nostra, che aveva una siepe con delle radici sporgenti grandi. La punta prese nella siepe e si spaccò il pettine. Facemmo un pianto e nessuna delle due voleva la colpa.Ci alternavamo un giro a testa a tenere la corda e Aurora mi disse "stai attenta, perchè lo sai che la Bellaria quando vede la cavedania si ferma, dalle una gran frustata. Dò una bella frustata alla bestia e loro di corsa...il pettine si ruppe e le bestie scapparono e io non fui buona di tenerle.
Lo zio disse due bestemmie, prende il pettine lo mette alla lunga del timone e ci porta a casa a mangiare.
Là c'erano già tutti i lavoranti del macero, andiamo a tavola con tutta questa gente, il nonno capotavola dice: "bè, come è che c'è tutto questo silenzio?". Lo zio: "si papà è successa una cosa..le ragazze hanno rotto il pettine" "si sono fatte male?""no" "bè allora è andata bene va là! l'hai già portata ad aggiustare?" "si l'ho portata da Bruno e ha detto che ci voglio 120 lire" "bè insomma...ho dispiacere perchè avevo detto che le pagavo un paltò alle ragazze.."
Ci andò male anche quella volta lì. Ce l'ho sempre in mente, fu una tragedia per noi quel giorno lì.
Queste cose sono capitate per colpa della guerra e del fascismo: se avessimo avuto i nostri uomini a casa non succedevano.
...
Il nonno è sempre stato attaccato al pozzo, in piedi appoggiato al pozzo. Aveva già riempito l'abbeveratoio, i vitellini avevano già finito, lui prende il suo bastone e attaccato al muro si siede sul suo seggiolino nella stalla. Partono questi cinque vitelli, si mettono intorno all'abbeveratoio, bè il piccolo invece di fermarsi là, va e si ferma davanti al pozzo.Io non potevo saltare l'abbeveratoio, prendo la frusta, la nascondo dietro alla schiena e poi, piano piano, gli vado vicino. Appena gli sono dietro mette i piedi sul pozzo e gli salta dentro! Un grido! Fece un verso che non mi fece dormire per due notti.
Bruno voleva tirarlo su lui, ma il nonno mi manda a chiamare Romeo Grazia, che è successo anche a lui l'anno scorso. Sono corsa là senza nemmeno guardare se passava la littorina. Non riuscivo a parlare dall'agitazione, balbettavo "ba ba ba", tanto che mi prese in giro per degli anni. " Vengo Franca, stai tranquilla, non muore".
Arrivati a casa mi dice di tirar fuori la "souga" (una corda fatta di canapa grossa che serviva per legare il fieno nel carro) più grossa che avete. La infilammo nell'anello della carrucola, lui se la lega in cintura, poi mettemmo la scala da foglia, quella con 22 pioli, che toccava l'acqua del pozzo , poi piano piano andò giù (era legata anche la scala), con un'altra corda legò stretto stretto tra le gambe nella pancia il vitello e venne su. Quando fu su , sfilammo la sua corda dalla carrucola e mettemmo quella del vitello. Facemmo tanto bene! Dopo un'ora era già su anche il vitello e non patì di nulla.
...
10 Gugno 1940
Il Duce da Roma parla forte agli italiani dichiarando che siamo in guerra e con la radio e gli altoparlanti la sua voce viene diffusa in tutta Italia. Corrado era già via, era del 18, partì per la leva in gennaio. Dalla radio si sentiva che la gente applaudiva il duce. Lo zio esclama: "sì, sbattono le mani, questi cretini! Noi che abbiamo un figlio là, adesso va in guerra".
Tutti  a Granarolo sbattevano le mani, ma di noi non andò nessuno in piazza a sbatterle.
Aprirono le finestre per sentire bene quello che diceva il duce.
A casa di Pini, un contadino che stava attaccato al Savena, avevano sei sette figli. A guerra già scoppiata nacquero  tre gemellini, una è la moglie di Fausto Gardini, il fratello di Italo. Una festa fece il fascio di Granarolo! Il Duce voleva le famiglie numerose, la gente doveva andare al fronte. Venne personalmente a casa dai Pini e gli fece un regalo.
Dopo un anno morì il figlio più grande, Carlo, al fronte. Però lì , il Duce, non venne ad accompagnarlo...
...

220! Avevamo fatto un rifugio nell'angolo del cortile. Il rifugio era formato da un corridoio non largo e dritto, ma stretto e a zig zag, in modo che, se ci fosse  uno spostamento d'aria dovuto ad una bomba scoppiata poco lontana, non ti prendesse. Il corridoio era largo come un balla di fieno rettangolare, che veniva messa per terra come letto e si posizionavano due tubi da stufa per far passare l'aria, venivano messi uno da una parte e l'altro dall'altra del rifugio.
Almeno così ci avevano insegnato a costruirli.
Io stavo male dentro ai rifugi, per cui mi fermavo sui tre scalini che portavano giù e avevo solo la testa che sporgeva fuori. Arrivarono dei bombardieri in formazione da 12 alla volta 6+6, li contavo tutti, ne passarono 220! dopo un'ora, una di quelle formazioni girò verso Bologna e la bombardarono. Fu uno dei primi bombardamenti (nota mia. Il primo bombardamento di Bologna avvenne in via Agucchi il 16 luglio 1943. Mio babbo racconta che mia nonna lo portò sotto al ponte del Reno, il Pontelungo, che fra l'altro era un obiettivo, coperti da una coperta di lana in modo che se fossero arrivate delle schegge li avrebbe salvati).
Ce ne furono altri, fa cui quello del 25 settembre e quello del 12 ottobre 1944, dove morì la zia Ermelinda, la mamma dei Brighenti; la moglie di Attilio Brighenti, il fratello più vecchio di tutti i Brighenti di Granarolo. Lei era la figlia più grande di tutti i Franchini: era del 94, del 96 lo zio Armando del 98 lo zio Amedeo, dell'1 il babbo, del 2 la zia Corina, la madre di Romano Rubini, dell'8 la zia Emma, la mamma della Marisa Armaroli di Quarto, Zio Fredo del 14.
Quel giorno lì bombardarono anche Genova, la disfarono tutta. Si sentì tremare la terra sotto dei rifugi fin qui e da qui a là ce ne è di strada .
Quante ne abbiamo passate! La Romanina (mia suocera, che era del 1940) mi stringeva al collo e mi abbracciava e mi domandava se erano andati via i bombardieri.
Nel 1943, oltre al rifugio in cortile ne costruimmo un altro nel campo perchè tornò Arrigo, un mio cugino, fratello di Corrado. Era già a Pesaro di leva.. L'8 settembre 1943 l'esercito venne sciolto, il comandante disse ai soldati di andare a casa perchè non comandavamo più noi, il nostro esercito non esisteva più, erano arrivati gli americani. Dopo quattro giorni a piedi arrivò a casa.
Noi avevamo due tedeschi a dormire nel fienile. Uno era qui con il suo camion che trasportava munizioni da Minerbio al fronte, che era a Cassino. Stava via tre giorni e quando tornava nascondeva il camion sotto al portico della stalla, in modo che se passasse "Pippo" non lo vedesse.
Dormivano nel fienile, non disturbavano.
Mi ricordo che una volta venne a casa con 7-8 anatre belle grosse. Disse con mia mamma: "ho trovato tante kachna  kachna!"
Franz, così si chiamava, era cecoslovacco nato a Praga, arruolato tra i tedeschi ma non lo era come linea politica. Diceva poche parole in italiano, ma ci fece capire che  voleva le anatre cotte e così facemmo. "Quando io partire, mio  kachna qui, sotto braccio indicava, io luki luki. Pippo? Oh ciao amico (con segno di saluto della mano)!. E poi via kachna kachna via campo."
Lasciava il camion sulla strada e scappava nel campo con l'anatra, così se fosse scoppiato  il camion con le munizioni lui era salvo. Non ci dava fastidio questa persona.
Arrivò a casa Arrigo, di notte: sentiamo bussare al vetro. La zia Maria , felicissima, perchè era preoccupata non avendo notizie da tempo, lo portò subito nel suo letto. Però era preoccupata nel caso l'avessero visto.  Noi non dicemmo nulla e Franz pure e facemmo finta di niente.
Però lo zio Amedeo, con lo zio Alfredo, che venne a casa in licenza, dice: "adesso facciamo un rifugio" Non si poteva tenere in casa, perchè se fosse arrivato un tedesco e fosse andato su e dicesse "via questa camera la tengo io", ti fucilava.
Ecco perchè facemmo il rifugio nel campo.  C'era un bel pero grande, mettemmo per terra delle assi grandi con sopra delle cassette di terra dove era stato seminato del grano, in modo che non si vedesse nulla, nemmeno la botola per scendere. Tutte le sera la zia e lo zio portavano là la minestra calda, dell'affettato, del prosciutto. Essendo noi contadini non abbiamo mai patito la fame.
Non se ne fece mai parola con nessuno. Stette là due mesi, poi verso l'inverno si ammalò, quindi lo presero in casa per due o tre notti, poi lo riportarono là e ci stette per molto tempo.
Nel '44, c'erano già le SS al fronte, lui stette molto male. La zia Maria lo prese a casa dicendo che succedesse quel che doveva succedere. Sembrava un cadavere, tutto bianco bianco, stando sempre al buio (usciva solo di sera quando tutti i contadini erano già andati via dal campo) non aveva colore. Eravamo nel 44, ci avvicinavamo alla liberazione: arrivarono a casa nostra le SS.
Vediamo affiggere il cartello delle SS, entrano e vanno su di corsa.
La zia Maria, che aveva preso mio cugino a letto con lei per poterlo curare, mentre lo zio era andato a dormire nel letto dei giovani, scoppio a piangere dicendo che suo figlio stava per morire.
Allora le venne detto di stare buona: "mamma, non piangere." Erano due tenenti dell'esercito tedesco e loro, il tenente lo chiamavano Mutter, era la "mamma"della compagnia. Allora noi imparammo che mutter voleva dire mamma e siccome erano due, uno buono e uno cattivo, li chiamavamo "mama bona" (mamma buona) e "mama cativa" (mamma cattiva). 
La "mama bona" diceva  alla sera: "adesso andiamo a letto, buona notte a tutti buona famiglia".
La zia gli fece compassione e allora lui  le disse "adesso tuo figlio viene con me in cucina (avevano la cucina sotto al portico della stalla, c'era un camion della cucina e tutti i soldati venivano a prendere da mangiare).
Ha la febbre?" "no" Gliela provarono e non l'aveva.
Gli disse allora: "domani vieni con me a pelare le patate".
Lo prese nel camion sotto la sua protezione e lui ne fu contento. Mangiando si riprese pian piano.
Dopo due o tre settimane vediamo passare Franz per la strada, che nel frattempo si era spostato più su, perchè man mano che il fronte avanzava i tedeschi si spostavano. Lo vediamo arrivare a piedi  attraverso i campi.
"Mamma c'è Franz!" "che Franz?" "Mamma, Franz quello di Praga (così lo chiamavamo, non al tudasc, il tedesco). Arriva con i capelli dritti, avete le SS!"
 "Mamma porta via le ragazze a Bologna, perchè arrivano i neo zelandesi e te le rovinano!" 
Aveva lasciato il camion da Vanzetti, la famiglia dietro di noi e poi era venuto per la cavedania per avvisarci. 
"mi raccomando!"
La mamma lo tranquillizzò: "abbiamo già le mucche a Bologna , dentro la caserma della 3° Artiglieria in via Castel Fidardo"
Nessuna azione di guerra doveva essere compiuta dentro le mura della città;  allora i contadini di Bassi, andorono a Bologna, in due per famiglia,  per accudirle (bisognava portare la spagna e il mangiare )da Granarolo a Bologna e mungere il latte.
Poi guarda mia zia e le domanda: " e tuo figlio come sta?"
Siamo rimaste gelate tutte. Ci siamo guardate nella faccia e mia zia inizia a piangere e dice "si, Franz, sta bene".
"hai fatto bene, poverino! Dove ce l'avevi, dimmelo mò"
Lui non è mai andato nel campo a controllare,  però dalla stalla vedeva che mia zia tutte le sere portava qualcosa da mangiare nel campo. 
Franz non l'abbiamo più visto , poi ci giunse notizia che era morto in fondo al Po.
Mio babbo racconta che i tedeschi, quelli della base (che erano spaventati anche loro), raccontavano che"quando noi nel Po, noi Kaputt!"

Pippo era un ricognitore che perlustrava tutte le strade dell'anti fronte. Faceva un rumore particolare, i nostri non lo facevamo, ma in ogni caso dei nostri non ce ne era più nessuno, erano stati tutti tirati giù. Si sentiva : "senti senti, c'è Pippo che arriva, corri in casa corri in casa".
Se vedeva una luce, segnalava e si veniva bombardati. In picchiata mitragliavano e bombardavano, in modo da far tremare la terra  e sganciavano delle piccole bombe, dei spezzoni che scoppiavano sopra terra, non affondavano. 
La guerra era tremenda, non solo per quelli al fronte ma anche per quelli a casa. 
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venerdì 20 aprile 2012

Crostata

Oggi ho avuto due laboratori sul pane e come merenda per i bambini ho deciso di fare la crostata, in realtà ne ho fatte due, convinta che non venisse mangiata. Infatti, mia figlia stamattina me ne ha domandato una fetta da portare a scuola, che ovviamente non le ho dato, perchè non potevo servire la crostata  inziiata, rassicurandola che tanto l'avrebbe ritrovata al rientro...invece...Brutta era brutta, anche perchè l'ho fatta ieri sera in gran fretta intanto che preparavo il laboratorio, ma evidentemente era buona. Ho fatto il primo giro e ne hanno presa giù si e no una decina di bambini su trentaquattro, poi mi sono allontanata per andare a fare il caffè da offrire agli insegnanti...e mi hanno portato i piatti vuori!! se  la sono litigata!
Ovviamente la cosa mi ha fatto piacere, anche se non ho potuto assaggiarla, ma mi fido:-)
E' una ricetta che mi insegnarono in seconda media durante la lezione di applicazioni tecnica e me la sono sempre tenuta carissima.

Crostata scuola

Ingredienti

500 gr farina
200 gr zucchero a velo
250 gr margarina
2 uova
1 tuorlo
lievito per 1/2 kg da gr 15
200 gr mostarda
1 buccia di limone
marsala

Esecuzione: rendere il burro pastoso lavorandolo con le mani bagnate. Fare un impasto con mani leggere, completando se necessario con marsala (quanto basta). Frullare le uova prima di metterle in impasto (tenere il rosso per dorare la crostata). Cuocere per 15-20 minuti a fuoco vivo in forno già caldo, finire la cottura per altri 15-20 minuti a mezza fiamma.

martedì 17 aprile 2012

Involtini di pancetta

Tanto semplici quanto buoni. Anzi, forse ancora di più:-)! Li ho fatti sempre per la cena di compleanno di mia figlia e purtroppo, nonostante ne avessi fatti almeno 4 per commensale, c'è chi è rimasto senza. Come si dice? Beati gli ultimi..:-) Quindi ho promesso di rifarli e mi sa che mi toccherà fare una scorta industriale di pancetta.
Sono velocissimi che di più non si può. Adatti anche da servire ad un buffet o come antipasto.

Involtini di pancetta

Ingredienti 

fette di pancetta fresca
bocconcini di mozzarella

Io ho messo i bocconcini di mozzarella in freezer per qualche ora, volendo si può omettere, però così rimangono sodi e non si sciolgono subito al caldo della padella. Avvolgerli con le fette di pancetta e metterli nella padella bel calda. Non ho aggiunto olio perchè la pancetta sciogliendosi fa comunque dell'unto. Quando belli croccanti toglierli. Volendoli utilizzare come antipasto si possono infilare due involtini in uno spiedino magari mettendoci in mezzo un'oliva.

domenica 15 aprile 2012

Crespelle a sorpresa

Queste crespelle le avevo fatte per il compleanno della mia peste, sono molto buone. Semrbano più veloci a farsi di quello che risultano realmente, però sono buone e belle da presentare.Un piatto da tenere sicuramente presente. La ricetta l'ho vista sulla rivista Alice, io l'ho modificata mettendo l'uovo cotto, perchè le ho congelate, crudo avevo paura bagnasse troppo la pasta in scongelamento.

Crespelle a sorpresa

Ingredienti
(x 4 p.)

1/2 l latte
3 uova
175 gr farina 
burro

per il ripieno 
300 gr di ricotta
100 gr parmiggiano grattugiato
12 uova quaglia
1 mazzetto di cuori di ortiche scottati e tritati
besciamella
1 porro
sale pepe

Per le crespelle rompere le uova in una ciotola, aggiungere la farina setacciata, il latte e mescolare con una frusta fino ad ottenere una pastella liscia. Imburrare un padellino con una noce di burro mettere sul fuoco e fare scaldare. Versare un mestolino della pastella, inclinare il tegamino per distribuire il composto in modo uniforme e cuocere da un lato. Girare la crespella. 

Quando cotta, levare e tenerle da parte. Proseguire fino ad esaurimento della pastella.
Preparare il ripieno: pulire e lessare le ortiche

mettere nel mixer la ricotta, il parmiggiano e le ortiche. Frullare e regolare di sale e pepe. Cuocere le uova di quaglia (se volete potete inserirle sul ripieno da crudo)


sistemare su una carta forno
Farcire le crespelle con il ripieno ottenuto
Chiudere a pacchetto ripiegando su se stesso i lati

ritagliare dei fili dal porro e legare
e metterle in una pirofila dove si sarà messo sul fondo della besciamella
Velare con la besciamella rimasta e porre in forno a gratinare per 15 minuti.

sabato 14 aprile 2012

Quarant'ore!

Oggi pomeriggio alle 16 sono terminate le Quarant'ore con la Messa e l'Unzione degli infermi. Poi il tutto è proseguito con la benedizione delle opere parrocchiale e poteva mancare il rinfresco? Assolutamente no: dopo che le signore di Viadagola giovedì avevano preparato dei signori biscotti da offrire, non si poteva mancare!
Mi ripeto ma è sempre piacevole trascorrere questi momenti in compagna, un ottimo modo per socializzare oltre a far si che  nessuno abbia a patire la fame:-).E divertente prima preparare, ascoltare tutte le varie storie che vengono raccontate in cucina, vedere come sono super organizzate, come collaborano...non mi stancherò mai di fare i complimenti.
Alcuni momenti: anche il tempo ha voluto benedire la giornata con la sua abbondante acqua, che in questo momento ci vuole per i campi

dietro"le quinte":-)
E anche le Quarant'ore sono state onorate all'usanza Viadagolese :-) anche quest'anno!
Grazie!

venerdì 13 aprile 2012

Quarant'ore a Viadagola! si inizia

Fra i vari appuntamenti che segnano il cammino della nostra parrocchia un posto di rilievo è costituito dall’annuale esposizione, che viene denominata “Quarant’ore”. È occasione per celebrare, adorare e meditare con  il Mistero Eucaristico. Per la giornata di oggi  ci sarà sempre qualcuno a vegliare per terminare questa sera con i vespri. Una volta era festa grande, ne ho sempre sentito parlare da mia suocera come una festa sentita, le si illuminavano gli occhi quando dicevano: "ci sono le Quarant'ore, siamo di festa".
Don Cleto Mazzanti racconta che era una occasione per invitare alla Messa domenicale tutti i parenti per poi proseguire la festa con un bel pranzo insieme.
Oggi giorno si è un poco persa questa usanza, purtroppo come tante altre, che ci fanno trascorrere i giorni tutti uguali, di corsa e senza tempo da dedicare a noi. A Granarolo si ossevano la domenica di carnevale fino al martedì grasso, a Viadagola invece il venerdì dopo Pasqua.
Riporto quanto riportare da un articolo del 2005 di e. Picucci sulle quarant'ore.
"Tra le manifestazioni del culto eucaristico, restano ancora attuali le Quarantore, una volta così diffuse e così solenni da costituire un tempo di rinnovamento spirituale e sociale, di preghiera e di penitenza, di comunione tra il clero e il popolo, tra ricchi e poveri, tra superiori e sudditi. La storia dice che, durante i giorni della solenne esposizione, le città cambiavano fisionomia: i negozi chiudevano; i lavori dei campi erano sospesi; le barriere sociali cadevano e la fede rifioriva nel cuore della gente che imparava a pregare e a meditare. L'adorazione coinvolgeva tutte le categorie di persone che, giorno e notte, si avvicendavano in preghiera, spesso in modo inventivo e spontaneo, per quaranta ore davanti a Gesù Eucaristia. Per tre giorni si stabiliva quasi una tregua Dei perché «i violenti diventavano mansueti; i ladri restituivano il maltolto; i falsari diventavano onesti; i nemici si riconciliavano; la gioventù si innamorava di Dio e i sacerdoti non si allontanavano dall'altare e dai confessionali».
E questo perché le Quarantore pian piano acquistarono lo stile, l'importanza e l'efficacia di una vera missione popolare, affidata a predicatori che le ritenevano un ottimo mezzo per preparare la predicazione più impegnativa, quella quaresimale, immancabile in tutte le chiese. Un tempo di grazia, quindi, che rinnovò la vita cristiana.
Poi vennero le rivoluzioni politiche e sociali, con gli inevitabili cambiamenti: le città divennero più grandi e meno accoglienti; più industriali e meno religiose; più ricche materialmente e più povere di rapporti umani e di amicizia cristiana; più intellettuali, ma religiosamente meno preparate. La ragione, sublimata oltre misura, cominciò a dubitare della fede e a criticarla, tanto che si affievolì, facendo calare molte pratiche religiose, comprese le Quarantore, che incisero sempre meno nella vita individuale e sociale.
Resta comunque il fatto che, per oltre due secoli, questa devozione è stata al centro del culto eucaristico e un argine potente ed eccezionale per fronteggiare tempi di calamità, di divisioni e di lotte.
A chi si deve questo movimento così benefico? Gli storici dicono che le radici dell'adorazione affondano nella consuetudine cristiana del digiuno e dell'astinenza praticati negli ultimi giorni della Settimana Santa, con l'adorazione della Croce e poi del Crocifisso da parte del Vescovo, del clero e dei fedeli: pratiche a cui si aggiunsero pian piano veglie di preghiera che iniziavano la sera del Giovedì Santo e si concludevano a mezzogiorno del sabato, nel triste pensiero del Sepolcro in cui Gesù, secondo il computo fatto da s. Agostino, rimase Quarantore.
Il passaggio da questa forma liturgico-devozionale locale e particolare alla nota e classica forma dell'adorazione che lentamente assunse un carattere più popolare e universale con l'ininterrotta esposizione per Quarantore del Sacramento, avvenne a Milano nel decennio 1527-1537. Il cambiamento fu possibile innanzitutto per la religiosa disponibilità dei milanesi e poi per lo zelo di uomini che portarono contributi che si fusero e si arricchirono a vicenda, fino ad assumere la fisionomia che, salvo alcune particolarità, dura fino ad oggi.
Il protagonista delle Quarantore fu il sacerdote ravennate Antonio Bellotti che, nel 1527 (l'anno del disastroso Sacco di Roma), obbligò i devoti della scuola da lui fondata nella chiesa del Santo Sepolcro, a celebrare ogni anno le Quarantore non solo durante il triduo della Settimana Santa, ma anche a Pentecoste, all'Assunta e a Natale. Iniziativa che si estese anche ad altre chiese milanesi dopo la sua morte (1528) e che il domenicano spagnolo Tommaso Nieto associò alle processioni che egli indisse nel 1529 per scongiurare la guerra e la peste che minacciavano la città.
A questo punto entra in scena Fra Buono da Cremona, un eremita amico dei barnabiti e soprattutto di s. Antonio Maria Zaccaria, loro fondatore. Nel 1534 egli chiese al duca di Milano Francesco II Sforza e al Vicario Generale Ghillino Ghillini, Vescovo di Comacchio, l'autorizzazione a poter esporre il Santissimo sopra l'altare per un'adorazione di quaranta ore ininterrotte. Pare, comunque, che la sua attività si confonda e confluisca nelle iniziative dell'amico s. Antonio Maria Zaccaria, dei suoi barnabiti e del cappuccino p. Giuseppe Piantanida da Ferno.
Una cronaca del tempo racconta che nel 1537 alcuni homeni - i primi barnabiti e il loro fondatore - proposero di allestire un altare nell'abside del Duomo per esporvi «el Corpus Domini de continuo», idea caldeggiata dal predicatore quaresimalista e vivamente raccomandata al popolo. La proposta fu accolta, e le Quarantore si fecero a turno in tutte le chiese della città, cominciando da quella di Porta Orientale e terminando con quella di Porta Vercellina.
È certo che gli homeni di cui parla il cronista sono i barnabiti; certo anche, grazie a un'accurata indagine del gesuita Angelo De Santi, che il predicatore fosse davvero p. Giuseppe, per cui sembra giusto affermare con p. De Santi che «le circostanze storiche sembrano affratellare il santo fondatore dei barnabiti, i suoi religiosi compagni, l'eremita fra Buono e p. Giuseppe da Ferno... Tutti ebbero una parte veramente precipua nell'introduzione del turno incessante delle Quarantore a Milano nel 1537: lo Zaccaria come primo ispiratore; i suoi religiosi e fra Buono come esecutori attivi della rotazione delle chiese per il pio esercizio; p. Giuseppe come instancabile propagatore».
Accertato questo, c'è da ammettere che le Quarantore sarebbero rimaste nei piccoli orizzonti cittadini se zelanti confratelli di p. Giuseppe non ne avessero fatto un evento prima italiano e poi europeo, divulgandole nelle loro predicazioni quaresimali, come riconosce lo stesso p. De Santi. «A p. Giuseppe da Ferno - egli scrisse - va data la gloria incontrastata di essere stato il primo a spargere per le città d'Italia la pia devozione, cominciando quell'anno stesso a Pavia; ed ai suoi compagni e discepoli e a tutto l'ordine dei Cappuccini deve riconoscersi il vanto d'esser stati, dopo di lui, i più ferventi, i più efficaci e i più fortunati promotori delle Quarantore».
A loro, nella seconda metà del sec. XVI, si unirono i Gesuiti, cioè un altro istituto che si dedicava alla predicazione: i Barnabiti, votati all'educazione della gioventù, non potevano impegnarsi come un Ordine che faceva della predicazione itinerante un aspetto qualificante dei suo stile di vita.
L'espansione cominciò non appena Paolo III approvò la «pia pratica» con un Breve del 28 agosto 1537 in cui, sorvolando sulla genesi della pratica, evidenzia l'elemento popolare e gli impellenti motivi di attualità.
Le prime regioni in cui si organizzarono le Quarantore furono l'Emilia (1546 a Bologna); le Marche (1542 a Recanati) e il Lazio (1548 a Roma). Tra i diffusori si distinsero p. Francesco da Soriano nel Cimino (VT), che migliorò l'organizzazione e il cerimoniale e le diffuse in mezza Italia, rappacificando la gente, divisa da lotte fratricide; P Fulvio Androsio; p. Giovanni Battista d'Este († 1644) e p. Mattia Bellintani da Salò († 1611), che le introdusse in Francia e in Boemia, mentre p. Giuseppe de Rocabertí da Barcellona († 1584) le introdusse in Spagna.
Altri religiosi le diffusero in Germania e nei Paesi Bassi, dove la gente le chiamava le «perdonanze dei Cappuccini»; poi in Svizzera, in modo che in poco più di un secolo si coprì tutta l'Europa, per passare l'oceano nella metà del sec. XIX, allorché il Vescovo Neuman le introdusse nella diocesi di Philadelphia. Il secondo Concilio di Baltimora le introdusse poi ufficialmente in tutti gli Stati Uniti, dove divennero «una preghiera universale notissima tra i cattolici».
Alla metà del 500 si inserirono nella predicazione delle Quarantore i Gesuiti con una novità che fece epoca. Nel 1556 a Macerata essi contrapposero al carnevale profano un «carnevale santificato» con le Quarantore che si svolsero in modo fastoso, attirando molta gente. Fu l'inizio di una nuova impostazione che a Roma affascinò anche il Papa, immancabile nell'oratorio del Caravita l'ultimo giorno del triduo. Si trattava di Paolo III, colui che rilasciò il primo documento pontificio di cui si è parlato. Successive approvazioni vennero da Giulio III; Pio IV; San Pio V e Clemente VIII il quale, angustiato per le guerre di religione in Francia, con una sofferta Enciclica Graves et diuturnae del 25 dicembre 1592, esortò il popolo romano e il clero alla preghiera e volle che si celebrasse pubblicamente in tutte le chiese della città «l'orazione perpetua sine intermissione» delle Quarantore.
Altre approvazioni e direttive vennero da Paolo V, da Urbano VIII, da Benedetto XIII, da Innocenzo XI e da altri Pontefici: si tratta di un coro di approvazioni, di incoraggiamenti e di concessioni di indulgenze per una pratica in cui la meditazione si alternava con la preghiera vocale, alimentando una religiosità che rivitalizzò le confraternite, ne fece sorgere di nuove, impegnate nell'insegnamento del catechismo, nella diffusione del culto eucaristico, nel promuovere rappacificazioni generali che in genere avvenivano in chiesa, «tra il pianto e la commozione di tutti».
Si deve alle Quarantore la nascita di alcune manifestazioni di fede e di arte che segnarono un'epoca. Da loro nacquero, infatti, processioni significative; forme di penitenza praticate per secoli; un'arte religiosa - il barocco - che iniziò a Roma con Sisto V verso la fine del 500 e che divenne subito popolare perché interpretò ed espresse una nuova sensibilità: esaltare il Cristo Eucaristico presente come Re nella Chiesa. Esse favorirono anche una produzione letteraria religiosa che ebbe nei Gesuiti la massima espressione, perché essi volevano che i testi esprimessero una drammaticità e un movimento simili a quello che utilizzarono nell'architettura delle loro chiese.
Oggi le Quarantore vengono collegate alla Parola di Dio e alla Santa Messa, cioè stanno tornando a quell'esigenza di interiorità, di spiritualità, di adorazione e di semplicità che sta all'origine della stessa devozione. Il Vaticano II nell'Eucharisticum mysterium dettò alcune norme per questa devozione, soprattutto nel senso che l'esposizione deve apparire in rapporto con la Celebrazione Eucaristica che «racchiude in modo più perfetto quella comunione intera alla quale l'esposizione vuole condurre i fedeli».
Il compianto Giovanni Paolo II nella Lettera Dominicae Cenae del Giovedì Santo 1980, affermò: «L'animazione e l'approfondimento del culto eucaristico sono prova di quell'autentico rinnovamento che il Concilio si è posto come fine, e ne sono il punto centrale... La Chiesa e il mondo hanno grande bisogno del culto eucaristico. Gesù ci aspetta in questo Sacramento d'amore. Non risparmiamo il nostro tempo per andarlo a incontrare nell'adorazione, nella contemplazione piena di fede e pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo. Non cessi mai la nostra adorazione!».

Egidio Picucci


giovedì 12 aprile 2012

Semplice ma sempre ottimo: pane biove delle Sorelle Simili


Era da un po' di tempo che avevo tralasciato questo pane, per provare altre ricette, per cambiare un po'. Poi , la settimana scorsa, per questione di tempo, l'ho rispolverata e...è da una settimana che lo faccio tutti i giorni. Sempre buono, veloce e si mantiene bene per anche due giorni. La prima volta mia figlia si è sbagliata ed ha messo il doppio del lievito di birra, però è venuto eccezionale ugualemnte. Per chi l'avesse perso:

Pane biove delle Sorelle Simili

Ingredienti

1 kg farina (anche manitoba)
35 gr lievito di birra
18 gr sale
40 gr strutto (o burro)
10 gr malto

600 gr circa acqua

disporre la farina a fontana e al centro mettere il lievito, il malto, lo strutto, parte dell'acqua, il sale in una buchina fatta nella corona di farina (loro la chiamano la casina del sale) -andrà aggiunto solo dopo aver stemperato gli ingredienti ed aver sciolto il lievito totalmente, aggiungere tanta acqua quanta ne basta per ottenere un impasto omegeneo e compatto.Lavorare l'impasto ottenuto per una decina di minuti fino a renderlo elastico.Dividere l'impasto in 8 pezzi e farlo riposare coperto a campana per 25 minuti prendere una  ad una le palline e la tirarla fino ad avere un lungo cilindro tirare in una sfoglia sottile lunghissima arrotolare su se stessa  cercando di non fare punte



mettere un fermo, sopra un canovaccio infarinato adagiare i cilindri ben distanziati con un bordo a battere contro il fermo piegare il canovaccio verso i cilindri in modo da formare una parete e adagiare gli altri cilindri e così via fino ad esaurirli . Coprire con il canovaccio e lievitare per 35-45 minuti
dividere nel senso della lunghezza ogni cilindro in due parti con l'aiuto o di un coltello e adagiare sulla teglia da forno

Dagli otto cilindretti si otterranno 16 panini. Infornare a 200 gradi per circa 40 minuti.

mercoledì 11 aprile 2012

Nuovo pizzo primaverile per dispensa

Avevo voglia di vestire la "stalla" in versione Pasqua. Il pizzo rosso è sempre carino, anche non in stagione natalizia, però avevo voglia di un poco di primavera, complici forse le giornate calde che abbiamo avuto.
Volevo fare delle marghertie, non ho proprio trovato quello che cercavo, però poi, navigando in internet, ho visto questo pizzo che ha attirato la mia attenzione, in più è anche molto veloce da eseguire...ed eccolo qui, ce l'ho fatta, ho fatto il cambio di stagione anche al pizzo:-).

Pizzo primaverile per dispensa

occorrente

filo bianco
filo giallo
uncinetto 1,25

Eseguire 15 catenelle e chiuderle in cerchio.
1- Nell'anello fare una catenella poi 36 maglie basse. Chiudere
2- Tre catenelle e due punti alti sui successivi punti bassi e chiudere la nocciolina di tre punti insieme. 4      catenelle e proseguire per tutto il giro. Si otterranno 12 noccioline Staccare il filo e prendere quello bianco.
3-* sul punto di unione iniziare fare un punto basso. Dentro alle catenelle eseguire: un punto mezzo alto, un punto alto, due catenelle un punto alto, un punto mezzo basso* ripetere per tutto il giro
4- portarsi al centro delle catenelle con un punto bassissimo e fare *un punto basso, 6 catenelle*. ripetere
5- nell'archetto di catenelle fare 8 punti bassi. Ripetere per tutti gli archi. Staccare il fino e chiudere il lavoro.



Enjoy yourself!

lunedì 9 aprile 2012

Uovo portafiori: un carinissimo dono pasquale.


Ho visto questo oggettino su Casa facile e mi ha colpito subito: Nella rivista erano appesi ai pomelli dei mobili, ma è molto carino anche appeso. E' facile da fare e veloce. Ne farò sicuramente altri sbizzarrendomi con le uova, magari utilizzando anche quelle finte di plastica che dovrebbero risultare meno delicate. Molto molto carino, da tenere presente anche per eventuali presenti pasquali.

Uovo portafiori

Occorrente

6 candele di cera bianca
guscio di uovo
corda

Prendere le candele e scioglierle a bagno maria in un pentolino. Nel frattempo foderare con carta forno uno stampo rettangolare o della forma scelta (io ho usato una cerniera rettangolare per dolci, ne ho ricavati due)
e fissarlo con del nastro adesivo in modo che non fuori esca la cera versata
versarvi la cera
e inserire i gusci facendoli affondare nella cera
fare raffreddare e solidificare
una volta indurita togliere lo stampo
io poi con una lama di coltello calda ho tagliato nel mezzo del rettangolo. Quindi prendere un uncinetto o un filo di ferro e scaldare la punta per praticare i fori da appendere

inserire la corda della lunghezza preferita e il portafiori è pronto.

domenica 8 aprile 2012

Colomba pasquale: davvero buona!!

Negli anni ho provato diverse ricette, devo dire che questa è davvero buona! L'ho trovata su una enciclopedia che fece la mia nonna materna credo intorno agli anni 60. Ho avuto modo di realizzarne altre di altro tipo e non ne ha mai sbagliata una. Ho voluto tentare con questa e anche questa volta ha fatto centro.
Se proprio devo trovare un difetto non è troppo dolce, ma dei due la preferisco.
Credo che adotterò anche per gli anni futuri questa ricetta. Volendo si può variare con cioccolato al posto dei canditi e dell'uvetta e sarei pronta a scommetterci che prima o poi l'assaggerò.-).
Ho raddoppiato la dose e mi sono venute 10 colombine da 160 gr.

Colomba pasquale

Ingredienti e dosi
(x 4 p.)

300 gr farina
100 gr burro
100 gr zucchero
20 gr lievito di birra
2 uova intere
2 tuorli 
80 gr scorza di arancia candita
80 gr uvetta
raschiatura di una arancia
un puntina di sale
qualche cucchiaio di latte

Fare un panetto con 60 gr di farina e il lievito sciolto con il latte tiepido e lasciarlo lievitare per circa un'ora. Unire al panetto già lievitato ancora un ettogrammo circa di farina e, aggiungendo un po' di acqua tiepida, formare un secondo impasto, che lascerete lievitare ancora per un'ora. Unirete allora a questo impasto lievitato il resto della farina, i tuorli, le uova intere, il burro morbido a pezzetti e lo zucchero, lavorando molto bene la pasta e sbattendola alla fine con forza sulla spianatoia. Aggiungete anche la scorza di arancia candita tagliata a dadetti, la raschiatura dell'arancia e l'uvetta ammollata in acqua tiepida, scolata e asciugata. Lavorate ancora la pasta in modo che gli ultimi ingredienti si amalgamino bene. Riunite la pasta in una palla che metterete in un terrina coperta, lasciandola lievitare almeno per 6 o sette ore. E' quindi meglio preparare la pasta della colomba la sera, per cuocerla la mattina dopo.
Questo l'impasto che ho trovato al mattino:
Terminata la lievitatura, lavorate ancora un po' la pasta sulla spianatoia per sgonfiarla, e datele, aiutandovi con le mani  e un coltello  la tradizionale forma di colomba.
Io ho riempito gli stampini di carta mettendone 160 gr per stampo, però la prossima volta non oltrapasserò i 130 gr ognuno perchè è risultato essere troppa la pasta messa.
Lasciare lievitare ancora la colomba nella sua forma definitiva per qualche ora 
e infine passarla in forno a calore moderato per tre quarti d'ora circa.Per guarnire la colomba potrete spennellarla di latte quando incomincia a colorirsi e cospargerla di graniglia di zucchero e di mandorle. Oppure rivestitela, a cottura terminata, con una glassa bianca o al cioccolato e completare la guarnizione con confettini d'argento o ovetti di cioccolato.Se avrete usato la glassa di cioccolato, potrete, con la siringa da dolci ripiena di glassa bianca, tracciare sul cioccolato filettature e disegni, quindi arricchire la decorazione con confettini  d'argento.

Buona Pasqua!

Che giornate intense! Ieri pomeriggio mi sono recata in parrocchia per confessarmi e non ho mai trovato tante persone e pure giovani davanti a me che attendevano anche loro. In più c'era una signora anziana, molto anziana, accompagnata perchè non troppo sicura nel camminare, che mi ha fatto una tenerezza enorme. Poteva essere una mia nonna, vederla avvicinarsi alla confessione in quel modo che non riesco a spiegare, mi ha riempito il cuore di un sentimento così dolce! Chissà mai cosa poteva avere fatto, però lei nonostante gli anni, nonostante le sue difficoltà non ha voluto mancare a questo appuntamento. Che bello! Poi c'è stata la Veglia Pasquale, anche quella sempre molto suggestiva: prima l'accensione del cero, poi la processione in Chiesa al buio, il passaggio della luce dal cero benedetto, la Chiesa piena di fiammelle traballanti che ricordano, almeno a me, la nostra fede, accesa ma a volte non sempre così sicura...immortalerei questo momento. Poi il passaggio alla luce e quindi le campane che tornano a suonare a festa dopo tre giorni...per non parlare poi del momento goliardico alla fine della funzione dove ci si augura la Buona Pasqua  in compagnia...ovviamente nelle migliori delle tradizioni, mangiando qualcosina giusto per non smentirsi:-).
E poi la mattina di Pasqua, piena di appuntamenti anche quella. Il salame da assaggiare, le uova benedette da mangiare non prima di essersi lavato il viso nell'acqua benedetta come da tradizione... a proposito di tradizioni e di  uova, a casa di mio cognato, a Pianoro, usa ancora mangiare un uovo crudo e uno sodo come faceva la sua nonna.
Si tengono le uova del venerdì santo per gli uomini e quelle del sabato santo per le donne, che risultano benedette proprio perchè deposte nei giorni santi e si bevono crude: questo rito si dice che salvi dagli incidenti. Quindi poi si mangiano le uova benedette sode come nelle migliori usanze.
La mia mamma invece, mi raccontava che quando venivano slegate le campane il sabato mattina (La veglia pasquale era stata spostata al sabato mattina, sempre più anticipata per terminare il digiuno quaresimale il prima possibile, e alle 12.00 del sabato si scioglievano le campane. Chi era nei campi, al suono delle campane, si lavava gli occhi. Era l'ultimo segno della antica veglia pasquale che si era conservato nonostante tutto: un rito battesimale con l'acqua del battesimo che illumina. In antico 18 secoli fa! i battezzati erano chiamati illuminati, coloro che vedono) mia nonna faceva lavare a tutti con l'acqua gli occhi, perchè preservava la vista. Fosse piovuto era ancora meglio lavarseli con l'acqua piovana.
A Forlì, invece, la mia amica Carla mi raccontava che si  usava mangiare la prima "brazadella" (ciambella) lievitata dall'inizio della quaresima.
Mantenere queste tradizioni sarebbe bello, uno sguardo al passato per il futuro....
Auguro  che questa Pasqua regali a tutti tanto amore da illuminare le nostre vite.
Buona Pasqua!