domenica 31 luglio 2011

Grandi lavori al via la canapa!



Oggi, negli anni '40-50 oggi sarebbe stato l'ultimo giorno di "riposo"...si fa per dire, si sarebbero mangiati i tortellini (la prima domenica di agosto, nel nostro caso sarebbe stata sostituita con il 31 luglio.) e questa domenica segnava l'inizio dei lavori pesanti, ovvero la raccolta della canapa.
 L'ultima settimana di luglio veniva dedicata per i primi tre giorni al bucato, in quanto,  per quaranta giorni non si sarebbe più potuto lavare, al rammendo dei vecchi "sacconi" grossi (da indossare per proteggersi dall'infiorescenza che urtando la pianta cadeva e provocava un grande prurito), alla preparazione degli attrezzi, e poi, con il primo lunedì di agosto si partiva con la lavorazione della canapa.
Questa pianta che alla semina si presentava come dei chicchi di pepe, veniva seminata il primo di aprile e raggiungeva notevoli altezze, oltre i 2 metri. Generalmente se ne seminavano tredici o quattordici tornature  (ogni tornatura misura circa 2020 metri quadri), questi campi prendevano il nome di "canvèr". Veniva raccolta  con la falce e appoggiandole al braccio si formavano "al brazè" le bracciate della canapa, che equivalevano a mezzo fascio. Poi si lasciava seccare e si scuoteva via la foglia secca sbattendole, poi si raccoglievano a cono formando una capannina (la prélla)



si facevano seccare per 3-4 giorni, poi si facevano "al manèli" le mannelle. Si sdraiava la canapa su di un cavalletto, si battevano i piedi della canapa con un legno per pareggiarle  



e si tirava prendendo le bacchette più lunghe afferrandole per la cima e quelle della stessa lunghezza si legavano insieme con altri righetti di canapa che si erano tenuti a bagno nell'acqua perchè fossero ben malleabili. Si disponevano 6 mannelle da una parte e 6 dall'altra. La cima sottile si tagliava e veniva tenuta da parte da bruciare. Si portavano al macero e si formavano i "postòn", venivano legati con una fune che formavano tipo una zattera(ce ne stavano 600!),


poi sopra vi venivano messi dei sassi da macero affinchè andassero tutti a bagno. Quando si immergeva il primo postone venivano a galla tutti i pesci che erano presenti nel macero, perchè non sopportavano l'odore che emavanava la canapa e per tutti era festa grande, in quanto si raccoglievano e si faceva tutti insieme una bella mangiata di pesce. La lavorazione per i postoni avveniva intorno al 20 di agosto. Intanto che la canapa si macerava,  ci si "riposava" otto giorni . Terminata la settimana di macerazione, una catena di uomini e donne si passavano i sassi appoggiati sopra alla canapa e li posizionavano,  ai bordi del macero.
Altre persone liberavano le mannelle e le sbattevano nel macero per farle diventare bianche, dopodichè venivano lanciate a riva con grande fatica in quanto pesanti per l'acqua che si era intrisa. Si levava un gran cattivo odore di acqua marcia. Lasciate sulla riva a sgocciolare o trainate legate ai carri trasportate lungo la cavedania per asciugarle. Poi si passava alla "scavzadòura"scavezzatura, che un tempo veniva praticata a mano, poi con macchine a vapore, con la quale si otteneva la fibra che veniva poi scardazè ovvero pettinata con pettini larghi in legno.  Con altri passaggi con pettini più sottili e fini si otteneva al garzòl ovvero il gargiolo, il filo con cui si ottenevano i vari teli di canapa. Con lo scarto si otteneva la stoppa, oppure si facevano delle corde.
Il prodotto ottenuto veniva per la maggior parte venduto alle industrie che ricavavano cordame per i bastimenti.
Non era un lavoro che dava grosse soddisfazioni nel guadagno, ovvero bisognava attendere l'inverno per vedere quanto si era guadagnato.
Nell'autunno venivano prese le mannelle, si sceglievano quelle di uguale lunghezza, poi venivano pettinate, lucidate e legate due a due piegate a metà e lasciando fuori la testa lucida e bianca. Più era bianca e pettinata bene, più aveva valore di mercato. Si formavano la "mazola": questa era formata da 12 rotoli formati ognuno, da due mannelle. Queste mazolè venivano poi riposte nel camaròn (camerone) con la testa lucida riposta in modo che si vedesse e coperta bene da un telo, in attesa che in gennaio venissero i canapini a comperarla. Questi decidevano il prezzo in base alla lavorazione e alla lucidatura. Il padrone incassava, veniva segnato l'importo nel libretto e a questo punto si facevano le somme e si vedeva quanto si era guadagnato nell'anno.
Questi erano i soldi che venivano poi gestiti dal capofamiglia per la gestione famigliare. Dice zia Franca che bisognava essere molto accorti perchè le persone erano tante e si faceva presto a finirli.
Con il grano veniva assegnato 3 quintali per persona componente la famiglia e pian piano si portavano i sacchi al mulino per venderli e ricavare quanto necessario per il mangiare, poi alle donne venivano date 4 matrici di coniglio in modo che potessero farle riprodurre e portare i conigli al mercato, il cui ricavato serviva ad acquistare la biancheria intima, i calzini, per la famiglia (il capo famiglia provvedeva solo agli abiti o ai cappotti)...insomma c'era da badare li...
Durante la lavorazione della canapa, precisamente quando la si lavava al macero, si usava friggere le crescentine sul posto, come colazione. Questa era diversa da quella di oggi: al mattino prestissimo poco prima di mungere le vacche, si beveva il caffèlatte con il pane raffermo se ne era avanzato,  poi alle 8 si tornava a bere qualcosa ed infine alle 10 venivano servite le crescentine.La lavorazione della canapa occupava diverse persone, tanto è che le famiglie contadine dovevano rivolgersi ad altre famiglie per riuscire ad avere la mano d'opera necessaria. Un lavoraccio! Certo è che i capi ottenuti sono industruttibili!
Insomma la canapa occupava in estate e anche in inverno, quando le donne dovevano tesserla e ricavare i corredi per loro e per i fratelli maschi...e quando qualcuna si lamentava perchè dovevano cucire e tessere anche per loro, la mamma prontamente diceva: "quando va nella vigna e ti porta a casa il vino, lo bevi anche tu!".-)
Nonno Giuseppe, diceva sempre: "l'è na brotta bistia la canva, la vol sampar esèr abrazé" (è una brutta bestia la canapa, per tutte le sue lavorazioni, vuole essere abbracciata)..e abbracciare la canapa non era così gradevole..
Ringrazio Zia Franca per tutte le informazioni preziose che mi ha dato. Le foto sono state prese dal sito della Provincia di Bologna e dalla città di Molinella.

4 commenti:

  1. E quando le ragazze filavano la canapa inumidendosi le dita, dopo tanto lavoro, finivano ebbre per via dei cannabinoidi contenuti nella pianta.
    I ragazzi lo sapevano e capitava "facessero la punta" alle ragazze finito il lavoro, da li' il termine filarino per definire un moroso/fidanzato.
    Ho scoperto solo ora il tuo blog, mi fa piacere trovare un'altra bolognese amante delle tradizioni sul web!
    Ammetto di aver declinato, per colpa del marito, verso la Romagna ma in fondo tutto fa brodo!
    Ciao!
    Claudia

    RispondiElimina
  2. Grazie Claudia!! Adoro questo tipo di informazioni!
    Tutto fa brodo? ma se i romagnoli sono simpaticissimi!! Meglio! così mi potrai raccontare, se vorrai, anche qualche usanza romagnola!!
    Quando hai voglia di passare a trovarmi io sono qui.
    Ciaoo
    Tiziana

    RispondiElimina
  3. Mi piace Tiziana quando tieni vivo, anche solo con il ricordo, queste tradizioni.
    ciao
    Sabrina

    RispondiElimina