sabato 28 gennaio 2023

Argelato

 



Appunti di storia

Argelato fu feudo fortificato di Matilde di Canossa. L'autorevole presenza di beni della con- tessa è comprovata da almeno due documenti. Con il primo, datato 9 luglio 1105, Matilde fa dono al capitolo della cattedrale di Bologna della Chiesa di San Michele di Argelata unitamente ad una parte rilevante della Massa di Torano, ora corrispondente a San Giorgio di Piano. Con il secondo, risalente al 1108, rinnova una concessione enfiteutica di un terreno ad uso agricolo posto nel borgo di Argelata a favore di Natalia e Giovanni Marzola (o, secondo altri, Mazzola). La località fu soggetta a frequenti e notevoli inondazioni del vicino fiume Reno (si rammentano, tra le altre, quelle del 1220 e del 1269), nonchè ad altrettanto frequenti incursioni e devastazioni da parte di soldatesche. Scrive l'abate Serafino Calindri che il territorio e castello di Argelata soggiacquero al saccheggio e all'incendio «a cui dovetter soggiacere tanti altri Castelli del territorio dopo la famosa rotta di Zappolino nel 1325». Nuovi danni ebbe ancora a patire, trent'anni più tardi, dall'esercito di Matteo Visconti. Tali devastazioni portarono ad una progressiva e inevitabile decadenza della località, tanto che il Calindri nel 1785 annotava: «dell'antico popolato suo Castello, o Terra, già feudo circa il mille della celebre Contessa Matilde, tante volte contrastato tra l'Impero e la Chiesa, nulla vi rimane di più che una elevata e quadrilunga motta di terra, o dicasi promontorio o piccol monticello, e l'orma di una larga fossa a poca distanza dalla medesima».

La chiesa parrocchiale di Argelato, dedicata a San Michele Arcangelo, risulta già nominata nella sopra richiamata donazione del 1105 e venne pressochè completamente riedificata negli anni 1462 e 1753. Il campanile fu edificato nel 1812 e successivamente restaurato nel 1839. La costituzione del Comune di Argelato risale al 1826. Sono da annoverarsi, infine, tra le principali istituzioni post-unitarie, la Società Operaia di Mutuo Soccorso, organizzatasi nel 1882 e la Cassa Rurale, fondata nel 1906. Con decreto prefettizio datato 31 marzo 1891 venne istituita ad Argelato un'annuale fiera di bestiami in concomitanza con la festa patronale di San Miche- le, cadente il 29 settembre. Tale fiera costituì per decenni un preciso punto di riferimento per l'economia locale.


Barcaròl, psiv'gnir a pasèrum?" ovverola storia dell'ultimo passatore del Reno 
Gasperini Attilio, classe 1908, è stato l'ultimo passatore del Reno della zona di Argelato Castello d'Argile. 1 Gasperini da generazioni e generazioni erano i traghettatori al Passo del Savignano (detto anche della Frattina), che collegava i territori sud-occidentali di Argelato e Argile con quelli di Padulle e Sala Bolognese.
Una zona assai popolata, un'economia legata strettamente all'agricoltura e al piccolo artigianato facevano del Passo del Savignano uno dei più importanti punti d'incontro delle genti qua e di là dal Reno almeno fino alla fine del secolo scorso; poi con la costruzione del ponte di Bagno (1880) e di quello di Buonconvento (1937) e l'avvento della motorizzazione anche l'antico mestiere del passatore è scomparso. Mestiere di famiglia dunque, ma anche se uno solo della famiglia era preposto a traghettare  tutti alla bisogna prestavano tale servizio, e Attilio Gasperini già a otto anni era stato messo sotto a tirare la barca. II Reno allora era molto più largo e al Savignano aveva uno specchio d'acqua di 60-70 metri; la barca veniva impiegata a traghettare dall'autunno alla primavera inoltrata mentre d'estate, dato il basso livello dell'acqua veniva montata una passerella in legno. Singolare  era il sistema di trasbordo da una sponda all'altra: una fune di acciaio lunga 150 metri attraversava il fiume ancorata da una parte a un grosso albero e dall'altra a un mulinello, tramite il quale la si teneva sempre a circa un metro sopra il livello d'acqua; la barca, di legno di quercia (en lunga sei metri e larga tre, alta 90 cm., con un pescaggio di soli 20 cm.), aveva un palo nel mezzo del quale vi erano due rulli ruotanti su di un perno attraverso cui scorreva la detta fune di acciaio che così teneva in guida la barca. Facendo presa con le mani sulla fune e tirando, il passator spostava la barca trasferendola dall'una all'altra sponda. Il servizio era dall'alba al tramonto veniva sospeso di notte; era un'attività utile a soli pedoni e biciclette e veniva retribuita con pocho soldi a persona (10 o 15 centesimi).
La domenica, le feste e i giorni di mercato erano quelli di maggiore traffico, ma certo che con questo mestiere non si campava e i Gasperini erano anche falegnami; riparavano carri e birocci e attrezzi agricoli, costruivano madie, tavole e armadi nella modesta bottega della casa del passatore.
I nuovi ponti sul Reno, la guerra, i clienti sempre più radi fecero sì che nel 1940 il servizi fosse sospeso: oggi nella golena al Savignano restano la vecchia casa dei Gasperini, una piccola cappella dedicata alla Madonna, e alcuni dei pali in rovere della passerella e delle rampe di accesso; il Reno in questo punto è molto più profondo e più stretto di una volta e una fitta vegetazione di alberi e arbusti impedisce addirittura di avvicinarsi a quello che fu uno dei più importanti traghetti sul Reno dei secoli passati, il passo del Savignano.

                            il traghetto al passo del Savignano, nei pressi di Argelato negli anni '30


Preghiere

A lèt a lèt a vói andèr, tótt i sânt a vói ciamèr, trị da cô e tri da pi, tótt i sânt i én mî fradî; la Madona l'è mî mèder, San Jusèf l'é mî pèder, San Lurènz l'é mî parènt, a pòs durmir sicurament. 

A letto a letto voglio andare, tutti i santi voglio chiamare tre da capo e tre da piedi, tutti i santi sono miei fratelli; la Madonna è mia madre, San Giuseppe è mio padre, San Lorenzo è mio parente, posso dormire sicuro.

Sant'Antòni dal campanén, s'an gn'é pân e s'an gn'é vén, s'an gn'é lègna in dal granèr, Sant'Antòni, cm'òja da fèr?

Sant'Antonio dal campanello, se non c'è pane e non c'è vino, se non c'è legna nel granaio; Sant'Antonio come devo fare?

Strofette di questua

Av sèn gnó a dèr al bòn cấp dân, ch'a campéssi zènt ân, zènt ân e un dé, la bóna màn la um véin a mê.

Son venuto a darvi il buon capo d'anno, che compiste cento anni, cento anno e un giorno, la fortuna venga a me.

'Zdoura, 'zdurátta, guardè in dla cassatta ch'ai é un pèz ed panzàtta, s'a num la darî, al gât av la purtarà vî.

Zdoura, zdouretta, guardate nella cassetta che c'è un pezzo di pancetta, se non me la darai il gatto ve la p

'Zdoura, a sèn par cranvèl, brasûla o fritèl, un quèl a vlen magnèr. Guardê in dla spaltûra s'ai è un pèz ed brasûla, guardê in dal casson s'ai è un pèz ed panon, guardê d'dòp a l'óss s'ai é un pèz ed parsótt, guardê in dla cassatta s'ai è un pèz ed panzàtta, anch s'l'à al peil am n'importa, basta ch'la stâga in dla mi sporta.

Zdoura, siamo per carnevale, fritelle, qualcosa vogliamo mangiare. Guardate nella spaltura se c'è un pezzo di brasula, guardate nel cassone se c'è un pezzo di panone, guardate dietro all'uscio se c'è un pezzo di prosciutto guardate nella cassetta se c'è un pezzo di pancetta anche se ha il pelo non importa, basta che stia nella mia sporta.

(Le prime due zirudelle avevano spesso lo scopo di vivacizzare gli incontri invernali nelle stalle «a trabb», le altre venivano recitate durante i matrimoni «i spusalézzi»).

 Al zirudèl d'la tradizion

Zirudèla stê a 'scultèr che un bèl chès av voi cuntèr: l'ètra sîra andand a trabb in d'la stâla d'Michelatt a' îra 'na dona fté da òmen ch'la pareva un galantomen, còn 'na zigaratta in bocca, guai a chi la tòcca. Al la tuché al fiôl d'Baravèla tich-u-dài la zirudèla.

Zuridèla d’cô di cópp di quaión ai n'é da par tótt ai n'é anch in mèz a l'èra toch e dài la zirudèla.

Zirudèla i mî parént, da magnèr an gn'é pió gnînt, ai n'é di drétt, ai n'é di gûb, a fèn un éviva ai spûs!

Zirudèla i mî aprént, da magnèr an gn'é pió gnînt, an gn'é gnanch 'na fatta d'murtadela, tich-u-dài la zirudèla.

Filastrocche infantili


Mâma, papà,
cumprêm un s'ciuptén d'ander a la câzia
a' mazzer i limalén,
i limalén di Frânza, cich e ciách få al tamburén!
cus'èt in dla tô pânza? Ai ò di fasulén:
Cilubén paséva al fiómm, la só mama l'i féva lómm,
 la lomm la s'e 'smurze, cilubén al s'é 'cupè.

Sgnour Nicôla, a voi dla côla,
ed cla côla ch'la s'incôla
S'la n'é côla
ch'la s'incôla,
sgnour Nicôla
an tói pió côlaqué da vó.

Seiga butèiga
Dilen (o Zanén) con la Dileida, un butiglién da l'òli
pr'ander in purgatori, un butiglién ad vén
da dèr ai sô fradlén (opp.: da der al piò cineni)

Pîta, pitèlaù
color sei fén,
la bela pulinèla sô par la schèla,
color sei bèla, par San Martén, schèla scalón, panna d'pavòn, acqua del mare, re re, figlio d'un re, ti tocca proprio a...te!
belle città.
metti dentro questo pè:

Riteniamo utile riportare alcune brevi osservazioni sugli ultimi due testi pubblicati. Sega buteiga» era una filastrocca che accompagnava un gioco di abilità infantile che si effettuan mani e una cordicella. Quest'ultima, dopo alcuni «passaggi» da un dito all'altro, dava l'imp ne del movimento di una vecchia sega da boscaiolo. «Pîta pitèla» (o «Pessa piasaelas) citata durante un gioco che cosi viene descritto da due studiosi di folclore: «I bambini d fila, si mettono a sedere con le gambe stese ed a piè pari, mentre uno di essi, il capo giocp in piedi, e recita la filastrocca, toccando, ad ogni fin di verso, un piede dei suoi compagni i  quali debbono subito ritirarlo (O. Trebbi-G. Ungarelli, Costumanze e tradizioni del popolo bolognese, Bologna 1932, p. 224).







Un quâich pruvêrbi dla campagna

Quand al temp al fà la lèna, a piov dènter dla stmèna (Quando il tempo fa la «lana», piove entro la settimana).

Novel souvra la breina, aqua o nèiv cl'ètra matèina (Nuvole sopra la brina, acqua o neve la mattina successiva).

Temp lús, aqua prodûs (Tempo luminoso, acqua produce). 

Elba rossa, o ch'la péssa o ch'la sóppia (Alba rossa, o piove o tira vento). 

Quand ai tira al muntàn, o ch'al piov inců o ch'al piov admàn (Quando soffia il vento montano o piove oggi o piove domani).

Par Santa Crous, furment spigous (Per Santa Croce «3 maggio», frumento con la spiga). 

La louna sitimbréina, sèt lòun s'inchéina (Alla luna settembrina sette lune s'inchinano: la situazione meteorologica non subirà cambiamenti per sette successivi pleniluni). 

Par San Lócca, chi n'à sumnè bóffa (Per San Luca » 18 ottobre», chi non ha ancora seminato deve «sbuffare» ).

Par Santa Catiréina, la guâza la dvènta bréina (Per Santa Caterina «25 novembre», la rugiada si trasforma in brina).

Par Santa Catiréina, o ch'al nèiva o ch'al bréina o ch'ai bât la paciaréina brina o che batte la pioggerellina)

(Per Santa Caterina, o che nevica o che c'è la brina  

Da Santa Catiréina a Nadèl, un mèis uguel (Da Santa Caterina a Natale, un mese uguale). 

Santa Bibiena, quaranta dé e 'na stmèna (Santa Bibbiana «2 dicembre», quaranta giorni e una settimana: l'andamento mete quel giorno si ripeterà per quaranta giorni e una settimana).

Bel Nadel, rustézz a Pasqua (Bel tempo a Natale, fuoco acceso a Pasqua).


venerdì 27 gennaio 2023

Granarolo Emilia parte 3



(casa Carini anni '80)

 (dialetto locale)

Ricordi di Gualtiero Bonfiglioli e Laura Bassi, in parte ravvivati dal libro di Armide Broccoli, "Chiamavano pane il pane"

L'arzdour -  L'arzdour l'era al càp famàja ch'al curèva i interès, l'andèva al marchè, al s'mitèva d'acòrd caun chi ètr'arzdòur par i turan dla zèrla, al distribuiva al mansiaun secònd al dèt "vàdar, prevàdar, udìr, capir, intàndar". Al mumàint più bròt dl'an l'era dòp l'incàuntar coun al padroun par i count:  l'era narvàus e intratabil parchè al padràun par al cuntrat ed mézadri l'aveva l'esclusiva dla vàndita dal furmaint, dla canva, dl'ù e dal bisti, e quan a jera al rendicòunt al n'era mai vantaz dal contadein.

Come sàgn dal so cmand l'arzdòur al purtèva dau aneli int'agli uràc' e al s'in caveva òna par derla al fiòl ch'l'ereditèva al cmand;: quand l'arzdòur al murèva, al fiol l'erediteva anch la secònda anela.

L'arzdòura - L'arzdòura invezi la controleva al repert dla cusèina, dla cà in generel par vi dla biancari dla cura di amalè caun agli erb medicinel, e anch al repèrt dl'èra.  La stèva sàimper 'in cà e al masum l'andèva al marchè a Budri a vàndar agli ov o al galéin e sl'andeva a màsa prèma a la a la dmànga. Tanti volt la famàja patriarchèl l'era fata ed dimòndi fiu  caun al sàu spàusi, e spàs a fer da magner aj tuchèva propri al spàusi zàuvni, una stmena proun. Mo l'era sàimper l'arzdàura ch'la deva la raziaun quotidièna par la ragò ed suséza, panzàta, lèrd, ch'la tgnèva int'na sporta.

Al spetaqual piò bel l'era quand la deva da magner al galein e al li ciamèva caun al vers "còchi,, cò-chi"; alàura da tòti al pert agli arivevan ed càursa e al zarchèvan ed parer vi i cuncureint caun di coc' e spintoun. La castreva i galèt par fer i capoun, la controlèva se agli ov agli eran fecondè mitandli càuntr'un raz ed sàul ch'al paseva da una scarvaciè dla fnèstra.

Traduzione

Reggitore (conduttore) Il reggitore era il capo famiglia che curava gli interessi andava al mercato, si metteva d'accordo con gli altri conduttori per i turni della zerla (ossia lo scambio delle opere che pure si praticava fra contadini per molti lavori, come quelli della canapa e della spannocchiatura), distribuiva le mansioni secondo il detto "vedere, prevedere, udire, capire, intendere". Il momento più brutto dell'anno era dopo l'incontro con il padrone per i conti: era nervoso e intrattabile perchè il padrone per il contratto di mezzadria aveva l'esclusiva della vendita del frumento, della canapa, dell'uva e del bestiame, e quando c'era il rendiconto non era mai a  vantaggio  del contadino. Come segno del suo comando il reggitore portava due anelle nelle orecchie e se ne toglieva una per darla al figlio che  ereditava il comando; quando il conduttore moriva, il figlio ereditava anche la seconda anella

Reggitrice (conduttrice) La reggitrice invece controllava il reparto della cucina, della casa in generale per via della biancheria, della cura degli ammalati con le erbe medicinali e anche il reparto dell'aia. Stava sempre in casa e al massimo andava al mercato a Budrio a vendere le uova o le galline, e se andava a messa prima la domenica. Tante volte la famiglia patriarcale era fatta da parecchi figli con le sue spose, e spesso a far da mangiare toccava proprio alle spose giovani, una settimana per una. Ma era sempre la reggitrice che dava la razione quotidiana per il ragù di salsiccia, pancetta, lardo che teneva in un sacchetto.

Lo spettacolo più bello era quando dava da mangiare alle galline e le chiamava con il verso "co-chi co ch"; allora da tutte le parti arrivavano di corsa e cercavano di togliere i concorrenti con degli spintoni. Castrava i galletti per fare i capponi, controllava se le uova erano fecondate mettendole contro un raggio di solo che passava attraverso la finestra.


Al bioic

La stala l'era impurtanta par al lavurir di bû e dal vach int'i camp, par al lat, par l'aldame par al riscaldamaint d'inveren quand la famaja la feva al «tràp», e al biôich l'eveva al càumpit ed bader saul a la stala. Al cureva la pulizi dal bîsti caun la stragia e la bròsca, al li sugheva caun di sách quand al turnevan sudè dai camp, o sl'era piuvò maintr'al lavurevan, agli pasèva la sónza int'la capa par amorbidir i cal dal zò, agli tajèva agli óng' di pi caun al tanaj aposta, d'inveran agli miteva na cuêrta sauvra la schèina s'agli avevan d'ander föra a bovar e al mantneva la pulizi int'la gràpia, intl'aib (abbeveratoio), int'al suichèr e in tot i sit, parché l'igiene l'era in dispensabil par la salut dal bisti. L'era impgnè tót i dè, dal vôlt cumpràisa la dmanga, e da l'èlba al tramàunt.

Il bovaro
La stalla era importante per il lavoro dei buoi e delle vacche nei campi, per il latte, per il concime per il riscaldamento d'inverno quando la famiglia faceva il "trap" e il bovaro aveva il compito di badare solo alla stalla. Curava la pulizia degli animali con la spazzola di ferro e una spazzola con le setole e li asciugava con dei sacchi quando tornavano sudati dai campi, o se era piovuto mentre lavoravano gli passava il grasso nella coppa per ammorbidire i calli del giogo, gli tagliava le unghie dei piedi con le forbici apposta, d'inverno gli metteva una coperta sopra la schiena se dovevano andare fuori a bere e manteneva la pulizia nella mangiatoia, nell'abbeveratoio, nel canaletto e in tutti i posti perchè l'igiene era indispensabile per la salute degli animali. Era impegnato tutti i giorni, delle volte compreso la domenica, dall'alba al tramonto.

Al campagnol

Al campagnol l'era al responsabil ed tot i lavurir di camp, al prém a tachér e l'ultum a smetar, sainza pora dal fràd e dal chèld; i al ciamèvan «quàl ch'al tira al col ai èter», parché l'aveva sàimper la smania ed fer prest, parchè i lavurir i eran dimondi e al tàimp al n'era mai asè. Fra la preparaziàun dal train, la sàmna, al pudèr, l'argôlt, l'aveva da pinsèr anch a difàndar al prodot dal malatî e dai pasarein (e al prepareva i spuràc), mo anch dal rugh, ch'aj dèva la caza insam ai ragazû a forza ed pistút. Al feva anch l'ort, al tgneva indri al smàint par l'an dòp, al cureva i canvi e i fús par l'irrigaziàun e, insàma, al n'aveva mai un'aura dla bôna.

Il campagnolo

Il campagnolo era il responsabile di tutti i lavori dei campi, il primo a iniziare e l'ultimo a smettere, senza paura del freddo e del caldo, lo chiamavano "quello che tira il collo agli altri", perchè aveva sempre la smania di far presto perchè i lavori erano molti e il tempo non era mai abbastanza. Fra la preparazione del terreno, la semina, il potare, il raccolto aveva da pensare anche a difendere i prodotti dalle malattie e dagli uccellini ( preparava i spaventapasseri), ma anche dalle rughe che gli dava la caccia insieme ai bambini a forza di pestarle. Faceva anche l'orto, teneva dietro alle sementi per l'anno dopo, curava i canali e i fossi per l'irrigazione e insomma, non aveva mai un'ora buona.


Al cantinir

La cainteina, interè ed zinquanta zintemiter e esposta ad sáta (a Sud) l'era spàs protéta anch da l'ambra ed quàica pianta, come la vida, cla steva so par al mur esteren. Al cantinir l'era gelàus dla so atrezadura mo anch dal lochèl: an vleva che incióun l'andès in canteina caun dal pan, parchè anch sàul una brisla la pseva arviner na damigiena d'vein baun, opur ch'i purtésan alsi, savȧun, erb aromatich, ch'al psevan arviner al vein caun i udûr. Quand la lóuna l'era bona e an tireva brisa al vàint, al tramudèva o l'imbutiglieva. Mo al period piò impegnativ l'era al tàimp dla vendàmia e poch préma: l'aveva da preparér al sit, i tinaz, i bigónz, busèr al bót o stachèri caun delicatàza al tès (tartaro), controler al calâstar, s'aj manchèva quèch côsa, andèr a la fira di bigónz a San Lázar, indòv l'aveva anch l'ucasiàun ed scambiér un parair o un'esperiáinza caun i colega eccetera. E pò l'arivèva al mumàint ed muster, turcièr, sistemer toti al qualitè ed vein, da cal miòur, destinè a la vandita, al mez vein e al tarzanèl o puntalaun, destinè a la famaja. In particoler al puntèl l'era alzir e bròsch, che anch i ragazû i in psevan bovr a volonté.

Il cantiniere

La cantina interrata di cinquanta centimetri e esposta a Sud era spesso protetta anche dall'ombra di qualche pianta, come la vite, saliva sul muro esterno. Il cantiniere era geloso della sua attrezzatura ma anche del locale: non voleva che nessuno andasse in cantina con il pane, perchè anche solo una briciola poteva rovinare una damigiana di vino buono, oppure che portassero "alsi", sapone, erbe aromatiche, che potevano rovinare il vino con gli odori. Quando la luna era buona e non tirava il vento, travasava o imbottigliava. Ma il periodo più impegnativo era il tempo della vendemmia e poco prima; doveva preparare il posto, i tini, i bigongi, ingrossare le botti o staccare con delicatezza il tartaro , se mancava qualche cosa andare alla fiera dei bigonci a San Lazzaro dove aveva anche l'occasione di scambiare un parere o una esperienza con i collega. poi arrivava il momento di mostare, torchiare sistemare tutte le qualità di vino, dal migliore destinato alla vendita al mezzo vino e al terzo vino, destinato alla famiglia. In particolare il terzo vino era leggero e brusco che anche i ragazzi potevano berne a volontà-

ragazú

Quand in cà a i era di cino an se dscureva d'interes, e spezialmaint quand l'ariveva al padraun, guai i ragazû: o fora o a let. A proposit a m'arcôrd che i ragazû i mandevn a let al 6, e anzi i durmevan int'al stanziôl, una pert dla stala duv a si tgneva la roba pr'al bisti. Tanti volt, invezi ed durmir, i ragazû i stevan a zugher a bréscla, s'i ariuscivan a ruber una quàica candátla. Zerti famaj i fevan durmir i ragazû int'la loza, caun dal fila id let che ed not al «nuni al pasèva da tôt a fèri fer la pipi intl'urineri. A m'arcôrd l'àulum ed casa Marcovigi dóv nuètar ragazû ai zughèvan dàintar. Al tràunc l'era vûd e ai psevan steri fèna in 7.

I ragazzi

quando in casa c'erano dei bambini non si discuteva di interessi e specialmente quanto arrivava il padrone , guai i ragazzi, o fuori o a letto. A proposito mi ricordo che i ragazzi li mandavano a letto alle 6, e anzi dormivano  nel stanziol, una parte della stalla dove si teneva la roba per le bestie. Tante volte, invece di dormire, i ragazzi stavano a giocare a briscola, se riuscivano a rubare una qualche candela . Certe famiglie facevano dormire i bambini nella loggia, con una fila di letti  che di notte le "nonna passava da tutti a fare fare la pipi nel vasino. Mi ricordo l'olmo di casa Marcovigi dove noi ragazzi ci giocavamo dentro. Il tronco era vuoto e ci potevamo stare fino in 7.

Al ragázi antighi

Par completer la descriziàun dla famaja bisagna dir che spàs a jera anch la zièina o ragâza antiga, cioè zitěla. L'aveva dal mansiaun come na zavata ráta squêsi saimpar ed stopabûs e dal volt la vgneva anch maltraté, spezialmáint dal spausi.

Le ragazze antiche

per completare la descrizione della famiglia bisogna dire che spesso c'era anche la zia o ragazza antica, cioè zitella. Aveva delle mansione come una ciabatta rossa quasi sempre come tappabuchi e delle volte veniva anche maltrattata, specialmente dalle spose.

Al garzaun 

Zerti famaj da cuntadein agli avevan al garzàun, ch'l'era qual ch'al fèva i lavurir piò pesant e al vgnéva da famaj ed brazéint. Aj era di ragazû dai 8 ai 11 an ch'i andevan par garzàun saul pr'al magner, sainza pèga, magari par la stasàun estiva. Invezi dai 11-12 an in so spàs i stevan tot l'an: me (parla Gualtiero Bonfiglioli) dal 1938-39 a jó fat al garzàun par 100 scud a l'an, un quintel d'furmáint e un per d'schèrp: d'estè am liveva a mezanot par guarner al bisti e al 2 andeva arer fena al 10.

Il garzone

certe famiglia di contadini avevano il garzone, che era quello che faceva i lavori più pesanti e veniva da famiglia di braccianti. C'erano dei ragazzi dagli 8 agli 11 anni che andavano a fare i garzoni solo per il mangiare, senza paga, magari la stagione estiva. Invece dagli 11-12 anni in su spesso stavano tutto l'anno : io (parla Guartiero Bonfiglioli) dal 1938 -39 ho fatto il garzone per 100 lire all'anno, un quintale di frumento e un paio di scarpe: d'estate mi alzavo a mezzanotte per dar da mangiare alle bestie e alle 2 andavo ad arare fino alle 10.

I brazeint

Què a Granarol I brazéint, come int'agli èter cmóun, i eran quî da pió miseria. Int'al ghetto ed Santa Brigida a in steva dimóndi famaj e par arsparmier la brusàia i s'mitevan d'acord anch a fer al pan a turen. L'evasiàun da tanti misêri e tanti fadigh l'era al tràp, dov a s'zughèva a gufat, a masein o a novzàint (a la màur a s'zughèva piò che èter intl'ustari, par dagli aur, cau dal gran sfilarè d'butèli). I brazèint i fevan na quèch giurneda al tàmp dla canva, di furag', dal mêder o dla vindâmia; opur, quand l'anvèva dimondi, i andevan a Bulagna a scarghèr la naiv dal că, o dai binèri dla ferovi.

I stevan dimondi piz di cuntadein e i sbarchevan al lunèri anch a spighlèr al furmáint, i ga raví, i panucéin. Par scaldères i brusèvan di malghet, di biróc, di sprúch ed canva o dal braguel. I piò furtuné i tulevan da un cuntadein un pez ed tera da lavurer caun un cuntrat a vaus ciamé sal terz» (1 mitevan tota la man d'ôvra e i tgnevan un têrz).

I braccianti

Qui a Granarolo i braccianti, come negli altri comuni, erano quelli da più miseria. Nel ghetto di Santa Brigida ci stavano parecchie famiglie e per risparmiare la legna si mettevano d'accordo anche a fare il pane a turno. L'evasione da tanta misera e tante fatiche era il trap (il trap veniva chiamato , quando dopo cena, si ritrovavano in casa di uno o dell'altro davanti al camino a fare chiacchiere o giocare  si diceva va al trap(ndr nonna Giovanna), dove si giocava a gufetto, a massino o a novecento (a la morra si giocava più che altro nelle osterie, per delle ore, con delle gran file di bottiglie). I braccianti facevano qualche giornata al tempo della canapa, dei foraggi, della mietitura della vendemmia; oppure quando nevicava molto andavano a Bologna a scaricare la neve delle case, o dai binari della ferrovia.

Stavano molto peggio dei contadini e sbarcavano il lunario anche a spigolare il frumento,  le pannocchine. Per scaldarsi bruciavano i residui del mais, dei carretti, il fusto della canapa o delle cortecce. I più fortunati prendevano da un contadino un pezzo di terra da lavorare con un contratto a voce chiamato  "sal terz" (ci mettevano tutta la mano d'opera e tenevano un terzo)

giovedì 26 gennaio 2023

Granarolo Emilia parte 2


 Zirudella sul campanaro di Granarolo (dialetto locale)


Zirudella la mi zaint
as dis poc pensir e cor cuntaint
acsé av voi cunter
cussa i fen i campaner
e a val degh in dou parol
ch'ièn propri qui et Granarol.
- Al suzes ai quatar et febrer
cal fat què un po originel
in giurneta ed mercoledè
che i sunèn dou volt mezdé.
Quast al capita, ansò sai coi
quand a s'a chi trest arloi
che on s'abetua a deri di scandai
e l'aura esata on l'à sa mai.
- Par quast lour i s'eran regolè col vapurein
però si avessan guardè i mi cinein
cl'era da poc passé ongg'our
is sr'en acort d'incossa evitand l'erour
acse v'dand al treno i g'messan ed scampanzer
e al dogg d'al dè is messan a suner.
Mè a capè sobit in dal mumaint 
(a fevan al fos dal piantamaint)
e anch Gaitan al vès tott d'un fiè 
"ah! par zio, quast al n'è mezdé "
"mo t'an seint chi fan dòn, dòn
quindi la srà una comunion".
- dop però i turnèn a scampanzer
e Gaitan: " nò i sen sbagliè i campaner
parchè aveva di dobbi anca mè 
che al foss bèla arive mezde;
e que av dirò che a son passè da Castnesv
perciò a cgnoss i quaion a nes.
Infati da lè a un pot a sinten al canòn
qual sè cl'era mezdè propri da bon
e i campaner come on c'va alla colta 
i s'attachèn al campen un'etra volta.
- Mè an'i voi mega der tort anca a lour 
parché la coulpa l'e ste totta dal vapour 
che c'al de le al s'era mess al gamb in spàla
e l'andeva fort com dal stiop una bàla 
al pareva cl'aves magnè dal leòn 
invezi i fevan fugh con al carbòn.
L'è dimondi mei quanti drovan i stecc con al treno c'al s'incaglia 
contar ai radecc e cal fat che lè agl'à sanz étar ingassè parchè dou volt mezdé in l'avevan mai sunè.
- Però as capess che ander a rai l'era giunte un tran tran
come qual et paser asvein a l'ass dal pan
parchè oltre a cal sbali appana cunté
le piz quant in sonan brisa l'aimari dal dè.
Acsè quand un povar pisuneint 
l'a d'ander a lavurer par taimps 
al sta in urcia e al s'liva so in camisa 
mo l'aimari on la seint brisa e 
al smit al bregh tot instizè 
us d'un can quant l'é arabè 
- e po' al cmainza a biastmer 
"azzidaint a te e ai campaner
a causa ed lour a tein fer terd
e quant a son in l'ora ium tennen un quert.
Quast an la scap gnanc sai foss nostar Sgnour 
parchè a s'é bela livè al soul 
e anch par stavolta l'è andé acsé 
ma un'etra volta av prumett me 
che a un liv a lusour ed strela"
e que ai fines la zirudella.



mercoledì 25 gennaio 2023

Calende - previsioni 2023


 Premetto che oggi San Paolo non ha convertito perchè è nuvoloso, riporto comunque le previsioni dei mesi che indicativamente comunque dovrebbero indicare come sarà il tempo. Al massimo ci sbagliano 😂

Mese               prima quindicina         seconda quindicina

gennaio              bello                          variabile
febbraio              bello umido              brutto
marzo                 bello umido              brutto
aprile                  bello umido              brutto
maggio               bello                         bello
giugno                bello umidità             bello
luglio                  bello umidità             brutto
agosto                 variabile                    brutto
settembre           variabile
ottobre                bello                          umido
novembre           bello                           bello
dicembre            bello                           bello

Granarolo dell'Emilia


 Sfogliando una vecchia agenda ereditata dai miei suoceri, "Al liber ed quall ch'pega l'oli", ho trovato molte cose interessanti che ho deciso di riportare qui, perchè mi dispiace che vadano perse.

Chi partendo da Bologna lascia alle spalle Porta Zamboni e si inoltra verso nord, percorrendo Via San Donato, a undici chilometri dalla città, là dove la pianura si allarga all'infinito, trova Granarolo dell'Emilia. Certo non ci sono più le siepi di biancospino che delimitavano le singole unità poderali e offrivano a primavera uno spettacolo incantevole per la fioritura e l'intenso profumo, né le ampie distese di grano da cui Granarolo trasse il nome, o le verdi macchie di canapa, un tempo assai coltivata. Oggi la terra è riservata a una coltura intensiva. 

Granarolo è sede comunale da poco più di un secolo. Fino al 1876, la sede comunale fu Viadagola, ora la frazione più più piccola di Granarolo, ma ricca di storia e di insigni monumenti. Qualcuno vuole che da un amore di Re Enzo con una bella di Viadagola, ricordata anche dal Pascoli, nascesse nel 1252 il capostipite della famiglia Bentivoglio che dominò Bologna. Altre frazioni di Granarolo sono: Quarto, Cadriano, Lovoleto. Le chiese delle frazioni e del capoluogo conservano opera d'arte di grande valore come un coro in noce del seicento, un quadro del Guercino e due della Sirani a Granarolo. Un Guercino e un quadro del Francia a Cadriano con uno splendido mobilio in radica del seicento, nella sagrestia. A Quarto quadri del Carlvart, del Faccini e Tiarini.

Tipiche le antiche case coloniche, specie a Viadagola, risalenti al cinque-seicento, la villa già dei Pallavicini ed ora dei Sapori, Villa Mignani a Cadriano che fu già di Marco Minghetti. Un "Ospitale" del 1454 a Lovoleto. A Granarolo, la casa che ospitò l'esploratore africano Pellegrino Matteucci. 

Il nome di Granarolo è ricordato per la prima volta, negli atti ufficiali, nel 1129 quando negli atti della Sapienza bolognese fu scritto fra il numero dei notai un tale Ugolino di Giacobino di Domenico da Granarolo. L'amore per la libertà e l'indipendenza dei granarolesi non risale solo alla resistenza contro la dittatura fascista, ma è di antica data. Infatti nel 1362 quando i Visconti di Milano avevano steso la loro potenza fin sopra Bologna e i soldati viscontei si erano accampati presso la chiesa di Granarolo, i granarolesi si unirono ai bolognesi e sconfissero i soldati viscontei per cui molti granarolesi entrarono a far parte degli uomini che costituivano il consiglio dei 600 di Bologna.


Chiesa e municipio


Nel 1405 il distretto di Granarolo si trova in potere del conte Alberigo di Barbiano il quale, non rispettando i patti di una pace conclusa, ben presto viene estromesso e Granarolo è nuovamente libero.

Che popolazione poteva avere Granarolo a quei tempi? Nel 1573 l'animato della parrocchia di Granarolo, come risulta dai dati della visita pastorale di Mons. Ascanio Marchesini è di 455 e nel 1846 di 950, oggi passa i 3.000 (anno 1986 ndr).

Curiosità etimololiche. Se è chiaro  che il nome di Granarolo deriva da grano (i maligni dicono da "grane"). Quarto perchè sorto al quarto miglio da Bologna e Cadriano da una famiglia romana "Gens Caturia" (e che vi fossero ricche famiglie romane in loco, lo confermano le molte monete romane scoperte durante scavi nel 1822 e 1845) non è chiara l'etimologia di Lovoleto e Viadagola. 

Dice la storiella: alcuni mercanti avevano un asino da vendere e incominciarono le trattative. Se lo volete il prezzo è tanto...lo volete...lo volete e, cammin facendo, ormai stanchi della lunga trattativa, uno esclamò; "via, dagol!" onde Lovoleto ove iniziò la trattativa e Viadagola ove fu conclusa. Direbbe il Cellini: "Non so perché i dotti si affatichino tanto su l'etimologia di certi nomi che sono di così facile interpretazione":

Oggi Granarolo è conosciuto per il latte e ancor più per la squadra di basket "la Granarolo Felsinea" che ha vinto il campionato nel 1984. Granarolo è un paese prevalentemente industriale anche se conserva una parte di agricoltura intensiva. Se l'insediamento industriale avesse seguito il ritmo degli anni settanta, oggi, di grano, rimarrebbe quello delle spighe ornano lo stemma del comune.


Olmo gigante proprietà Marcovigi

Brighetti Carlo -Il contadino poeta di Granarolo Emilia

Carlo Brighetti un contadino nato ad Argelato nel 1874, si trasferì con la famiglia in un podere chiamato "La grolla" dietro il municipio di Granarolo Emilia, dove ora sorgono dei palazzi. Fu qui che il giovane sulla ventina riuscì ad ottenere la qualifica di "Massér", il massimo riconoscimento a cui poteva aspirare un rimatore come lui che si dilettava a scrivere Zirudelle su fatti di cronaca spicciola e paesana. Quel traguardo ambizioso venne conquistato dal giovane con l'impegno, la creatività, l'estro, le sfide in campo aperto con i Franchini (famiglia di cui faceva parte mia suocera, con mio grande onore), una prestigiosa dinastia di rimatori la fama dei quali, andava ben oltre i confini di Granarolo. Lui senza timori irreverenziali amava misurarsi con rivali davanti al pubblico, il giudice più competente e più severo, che scoprì in Brighetti oltre all'innato talento il grande cuore di un uomo onesto, amante della pace, della libertà e della giustizia. Tutti sentimenti che riusciva a trasmettere negli spettacoli come "il rogo della vecchia" e "la mascherata", scritti di suo pugno, che andava a ra84ppresentare nelle piazze dei paesi campagnoli, mentre sapeva mettere in burla fatterelli gustosi come quello dei campanari di Granarolo con la freschezza creativa della sua vena ironica. 
Bologna, giugno 1985                                                                      Armide Broccoli

                                                                      Scuole Comunali










martedì 24 gennaio 2023

Dialetto bolognese, coniugazione verbi: Tacere Toccare Urlare Usare Vedere Volere

 


VERBO TACERE=  TÈSER


1° persona singolare io taccio= mé a tès
2° persona singolare tu taci= té t tès
3° persona singolare lui tace= ló al tès
3° persona singolare quello tace= lu-là al tès
3° persona singolare egli tace= ló al tès
3° persona singolare lei tace= lî la tès
3° persona singolare quella tace= lî-là la tès
3° persona singolare essa tace= lî la tès
1° persona plurale noi taciamo= nó a tasän
1° persona plurale noi altri taciamo = nuéter a tasän
1° persona plurale noi altre taciamo = nuétri a tasän
2° persona plurale voi tacete = vó a tasî
2° persona plurale voi altri tacete = vuèter a tasî
2° persona plurale voi altre tacete = vuètri a tasî
3° persona plurale loro tacciono (maschile)=låur i tèsen
3° persona plurale loro tacciono (femminile)=låur äl tèsen

VERBO TOCCARE= TUCHÉR

indicativo presente

1° persona singolare io tocco= mé a tåcc
2° persona singolare tu tocchi = té t tåcc
3° persona singolare lui tocca= ló al tåcca
3° persona singolare quello tocca= lu-là al tåcca
3° persona singolare egli tocca= ló al tåcca
3° persona singolare lei tocca= lî la tåcca
3° persona singolare quella tocca= lî-là la tåcca
3° persona singolare essa tocca= lî la tåcca
1° persona plurale noi tocchiamo= nó a tucän
1° persona plurale noi altri tocchiamo = nuéter a tucän
1° persona plurale noi altre tocchiamo = nuétri a tucän
2° persona plurale voi toccate = vó a tuchè
2° persona plurale voi altri toccate = vuèter a tuchè
2° persona plurale voi altre toccate = vuètri a tuchè
3° persona plurale loro toccano (maschile)= låur i tåcchen
3° persona plurale loro toccano (femminile)= låur äl tåcchen
3° persona plurale loro dormono (femminile)=låur äl dormen

VERBO URLARE= SVARSLÈR


1° persona singolare io urlo= mé a svêrsel
2° persona singolare tu urli= té t svêrsel
3° persona singolare lui urla= ló al svêrsla
3° persona singolare quello urla= lu-là al svêrsla
3° persona singolare egli urla= ló al svêrsla
3° persona singolare lei urla = lî la svêrsla
3° persona singolare quella urla= lî-là la svêrsla
3° persona singolare essa urla= lî la svêrsla
1° persona plurale noi urliamo= nó a svarslän
1° persona plurale noi altri urliamo = nuéter a svarslän
1° persona plurale noi altre urliamo = nuétri a svarslän
2° persona plurale voi urlate = vó a svarslè
2° persona plurale voi altri urlate = vuèter a svarslè
2° persona plurale voi altre urlate = vuètri a svarslè
3° persona plurale loro urlano (maschile)= låur i svêrslen
3° persona plurale loro urlano (femminile)=låur äl svêrslen

USARE= (A)DRUVÈR
 (la A fra parentesi nel verbo all’infinito è praticamente muta, mentre figura in diverse persone della coniugazione. Non lo chiedete a me, perché in questo caso andrei a “occhio”.

1° persona singolare io uso= mé adrôv
2° persona singolare tu usi= té t adrôv
3° persona singolare lui usa= ló al adrôva
3° persona singolare quello usa= lu-là adrôva
3° persona singolare egli usa= ló l’ adrôva
3° persona singolare lei usa= lî l’ adrôva
3° persona singolare quella usa= lî-là l’ adrôva
3° persona singolare essa usa= lî l’adrôva
1° persona plurale noi usiamo= nó adruvän
1° persona plurale noi altri usiamo = nuéter adruvän
1° persona plurale noi altre usiamo = nuétri adruvän
2° persona plurale voi usate = vó adruvè
2° persona plurale voi altre usate  =  vuètri adruvè
3° persona plurale loro usano (maschile)= låur i adrôven
3° persona plurale loro usano (femminile)=låur äli adrôven

 VERBO VEDERE= VÀDDER

indicativo presente


1° persona singolare io vedo= mé a vadd
2° persona singolare tu vedi = té t vadd
3° persona singolare lui vede= ló al vadd
3° persona singolare quello vede= lu-là al vadd
3° persona singolare egli vede= ló al vadd
3° persona singolare lei vede= lî la vadd
3° persona singolare quella vede= lî-là la vadd
3° persona singolare essa vede= lî la vadd
1° persona plurale noi vediamo= nó a vdän
1° persona plurale noi altri vediamo = nuéter a vdän
1° persona plurale noi altre vediamo = nuétri a vdän
2° persona plurale voi vedete = vó a vdî
2° persona plurale voi altri vedete = vuèter a vdî
2° persona plurale voi altre vedete = vuètri a vdî
3° persona plurale loro vedono (maschile)= låur i vàdden
3° persona plurale loro vedono (femminile)= låur äl vàdden

VERBO VOLERE= VLAIR

indicativo presente

1° persona singolare io voglio= mé a vói

2° persona singolare tu vuoi = té t vû

3° persona singolare lui vuole= ló al vôl
3° persona singolare quello vuole= lu-là al vôl
3° persona singolare egli vuole= ló al vôl
3° persona singolare lei vuole= lî la vôl
3° persona singolare quella vuole= lî-là la vôl
3° persona singolare essa vuole= lî la vôl
1° persona plurale noi vogliamo= nó a vlän
1° persona plurale noi altri vogliamo = nuéter a vlän
1° persona plurale noi altre vogliamo = nuétri a vlän
2° persona plurale voi volete = vó a vlî
2° persona plurale voi altri volete = vuèter a vlî
2° persona plurale voi altre volete  =   vuètri a vlî
3° persona plurale loro vogliono (maschile)=låur i vôlen
3° persona plurale loro vogliono (femminile)=låur äl vôlen



lunedì 23 gennaio 2023

Dialetto bolognese, coniugazione verbi: parlare, salutare, sapere, sentire

 


PARLARE= DSCÅRRER



1° persona singolare io parlo= mé a dscårr
2° persona singolare tu parli = té t dscårr
3° persona singolare lui parla= ló al dscårr
3° persona singolare quello parla= lu-là al dscårr
3° persona singolare egli parla= ló al dscårr
3° persona singolare lei parla= lî la dscårr
3° persona singolare quella parla= lî-là la dscårr
3° persona singolare essa parla= lî la dscårr
1° persona plurale noi parliamo= nó a dscurän
1° persona plurale noi altri parliamo = nuéter a dscurän
1° persona plurale noi altre parliamo = nuétri a dscurän
2° persona plurale voi parlate = vó a dscurî
2° persona plurale voi altri parlate = vuèter dscurî
2° persona plurale voi altre parlate = vuètri a t dscurî
3° persona plurale loro parlano (maschile)= låur i dscårren
3° persona plurale loro parlano (femminile)= låur äl dscårren

VERBO SALUTARE=  SALUTÈR

1° persona singolare io saluto= mé a salût
2° persona singolare tu saluti= té t salût
3° persona singolare lui saluta= ló al salûta
3° persona singolare quello saluta= lu-là al salûta
3° persona singolare egli saluta= ló al salûta
3° persona singolare lei saluta= lî la salûta
3° persona singolare quella saluta= lî-là la salûta
3° persona singolare essa saluta= lî la salûta
1° persona plurale noi salutiamo= nó a salutän
1° persona plurale noi altri salutiamo = nuéter a salutän
1° persona plurale noi altre salutiamo =nuétri a salutän
2° persona plurale voi salutate = vó a salutè
2° persona plurale voi altri salutate = vuèter a salutè
2° persona plurale voi altre salutate = vuètri a salutè
3° persona plurale loro salutano (maschile)= låur i salûten
3° persona plurale loro salutano (femminile)=låur äl salûten

VERBO SAPERE= SAVAIR

indicativo presente


1° persona singolare io so= mé a sò
2° persona singolare tu sai= té t sè
3° persona singolare lui sa= ló al sà
3° persona singolare quello sa= lu-là al sà
3° persona singolare egli sa= ló al sà
3° persona singolare lei sa= lî la sà
3° persona singolare quella sa= lî-là sà
3° persona singolare essa sa= lî la sà
1° persona plurale noi sappiamo= nó a savän
1° persona plurale noi altri sappiamo = nuéter a savän
1° persona plurale noi altre sappiamo = nuétri a savän
2° persona plurale voi sapete = vó a savî
2° persona plurale voi altri sapete = vuèter a savî
2° persona plurale voi altre sapete = vuètri a savî
3° persona plurale loro sanno (maschile)= låur i san
3° persona plurale loro sanno (femminile)= låur äl san

VERBO SENTIRE= SÉNTER

indicativo presente

1° persona singolare io sento= mé a sént
2° persona singolare tu senti = té t sént
3° persona singolare lui sente= ló al sént
3° persona singolare quello sente= lu-là al sént
3° persona singolare egli sente= ló al sént
3° persona singolare lei sente= lî la sént
3° persona singolare quella sente= lî-là la sént
3° persona singolare essa sente= lî la sént
1° persona plurale noi sentiamo= nó a sintän
1° persona plurale noi altri sentiamo = nuéter a sintän
1° persona plurale noi altre sentiamo = nuétri a sintän
2° persona plurale voi sentite = vó a sintî
2° persona plurale voi altri sentite = vuèter a sintî
2° persona plurale voi altre sentite = vuètri a sintî

domenica 22 gennaio 2023

Dialetto bolognese, coniugazione verbi: dormire, fare, finire.


VERBO DORMIRE=  DURMÎR

1° persona singolare   io dormo= mé a  dôrum
2° persona singolare tu dormi=  té t dôrum
3° persona singolare lui dorme=  ló al dôrum
3° persona singolare quello dorme=  lu-là al dôrum
3° persona singolare egli dorme=  ló al dôrum
3° persona singolare lei dorme=  lî la dôrum
3° persona singolare quella dorme=  lî-là la dôrum
3° persona singolare essa dorme=  lî la dôrum
1° persona plurale      noi dormiamo= nó a durmän
1° persona plurale      noi altri dormiamo = nuéter a durmän
1 persona plurale      noi altre dormiamo = nuétri a durmän
2° persona plurale voi dormite  =  vó a durmî
2° persona plurale voi altri dormite  =  vuèter a durmî
2° persona plurale voi altre dormite  =   vuètri a durmî

VERBO FARE= FÈR

indicativo presente


1° persona singolare   io faccio= mé a fâg
2° persona singolare  tu fai=  té t fè
3° persona singolare lui fa=  ló al fà
3° persona singolare quello fa=  lu-là al fà
3° persona singolare egli fa=  ló al fà
3° persona singolare lei fa=  lî la  fà
3° persona singolare quella fa=  lî-là la fà
3° persona singolare essa fa=  lî la  fà
1° persona plurale      noi facciamo=   nó a fän
1° persona plurale      noi altri facciamo = nuéter  a  fän
1° persona plurale      noi altre facciamo = nuétri a  fän
2° persona plurale voi fate  =  vó a fè
2° persona plurale voi altri fate  =  vuèter a fè
2° persona plurale voi altre fate  =   vuètri a fè
3° persona plurale loro fanno (maschile)= låur i fan
3° persona plurale loro fanno (femminile)= låur äl fan

VERBO FINIRE= FINÎR


1° persona singolare io finisco= mé a finéss
2° persona singolare tu finisci= té t finéss
3° persona singolare lui finisce= ló al finéss
3° persona singolare quello finisce= lu-là al finéss
3° persona singolare egli finisce= ló al finéss
3° persona singolare lei finisce= lî la finéss
3° persona singolare quella finisce= lî-là la finéss
3° persona singolare essa finisce= lî la finéss
1° persona plurale noi finiamo= nó a finän
1° persona plurale noi altri finiamo = nuéter a finän
1° persona plurale noi altre finiamo = nuétri a finän
2° persona plurale voi sembrate = vó a finî
2° persona plurale voi altri finite = vuèter a finî
2° persona plurale voi altre finite = vuètri a finî
3° persona plurale loro finiscono (maschile)=låur i finéssen
3° persona plurale loro finiscono (femminile)=låur äl finéssen



 

sabato 21 gennaio 2023

Dialetto bolognese, coniugazione verbi: leggere, mandare, morire


 VERBO LEGGERE=   LÈZER



1° persona singolare io leggo= mé a lèz
2° persona singolare tu leggi= té t lèz
3° persona singolare lui legge= ló al lèz
3° persona singolare quello legge= lu-là al lèz
3° persona singolare egli legge= ló al lèz
3° persona singolare lei legge= lî la lèz
3° persona singolare quella legge= lî-là la lèz
3° persona singolare essa legge= lî la lèz
1° persona plurale noi iamo= nó a lizän
1° persona plurale noi altri leggiamo = nuéter a lizän
1° persona plurale noi altre leggiamo = nuétri a lizän
2° persona plurale voi leggete = vó a lizî
2° persona plurale voi altri legge te = vuèter a lizî
2° persona plurale voi altre legge te = vuètri a lizî
3° persona plurale loro leggono (maschile)= låur i lèzen
3° persona plurale loro leggono (femminile)=låur äl lèzen

MANDARE= MANDÈR

indicativo presente

1° persona singolare io mando= mé a mand
2° persona singolare tu mandi= té t mand
3° persona singolare lui manda= ló al manda
3° persona singolare quello manda=lu-là al manda
3° persona singolare egli manda= ló al manda
3° persona singolare lei manda= lî la manda
3° persona singolare quella manda=lî-là la manda
3° persona singolare essa manda= lî la manda
1° persona plurale noi mandiamo= nó a mandän
1° persona plurale noi altri mandiamo =nuéter a mandän
1° persona plurale noi altre mandiamo =nuétri a mandän
2° persona plurale voi mandate = vó a mandè
2° persona plurale voi altri mandate = vuèter a mandè
2° persona plurale voi altre mandate =vuètri a mandè
3° persona plurale loro mandano (maschile)=låur i mànden
3° persona plurale loro mandano (femminile)=låur äl mànden

VERBO MORIRE=  MURÎR

1° persona singolare io muoio= mé a môr
2° persona singolare tu muori= té t môr
3° persona singolare lui muore= ló al môr
3° persona singolare quello muore= lu-là môr
3° persona singolare egli muore= ló al môr
3° persona singolare lei muore= lî la môr
3° persona singolare quella muore= lî-là môr
3° persona singolare essa muore= lî la môr
1° persona plurale noi moriamo= nó a murän
1° persona plurale noi altri moriamo = nuéter a murän
1° persona plurale noi altre moriamo = nuétri a murän
2° persona plurale voi morite = vó a murî
2° persona plurale voi altri morite = vuèter a murî
2° persona plurale voi altre morite = vuètri a murî
3° persona plurale loro muoiono (maschile)= låur i môren
3° persona plurale loro muoiono (femminile)=låur äl môren



venerdì 20 gennaio 2023

Dialetto bolognese, coniugazione verbi: andare, cominciare, dire

 

VERBO ANDARE= ANDÈR

indicativo presente

1° persona singolare   io vado=  mé a vâg
2° persona singolare tu vai  =  té t vè
3° persona singolare lui va=  ló al và
3° persona singolare quello va=  lu-là al và
3° persona singolare egli va=  ló al và
3° persona singolare lei va=  lî la và
3° persona singolare quella va=  lî-là la và
3° persona singolare essa va=  lî la và
1° persona plurale      noi andiamo= nó andän
1° persona plurale      noi altri andiamo = nuéter  andän
1° persona plurale      noi altre abbiamo = nuétri andän
2° persona plurale voi andate  =  vó andè
2° persona plurale voi altri andate  =  vuèter andè
2° persona plurale voi altre andate  =   vuètri andè
3° persona plurale loro vanno (maschile)= låur i van
3° persona plurale loro vanno (femminile)=  låur äl van

VERBO COMINCIARE=  CMINZIPIÈR

1° persona singolare   io comincio= mé a  cminzéppi
2° persona singolare tu cominci=  té t cminzéppi
3° persona singolare lui comincia=  ló al cminzéppia
3° persona singolare quello comincia=  lu-là al cminzéppia
3° persona singolare egli comincia=  ló al cminzéppia
3° persona singolare lei comincia=  lî la cminzéppia
3° persona singolare quella comincia=  lî-là la cminzéppia
3° persona singolare essa comincia= lî la cminzéppia
1° persona plurale      noi cominciamo= nó a cminzipiän
1° persona plurale      noi altri cominciamo =nuéter a  cminzipiän
1° persona plurale      noi altre cominciamo =nuétri a  cminzipiän
2° persona plurale voi d cominciate  = vó a cminzipiè
2° persona plurale voi altri cominciate  = vuèter a cminzipiè
2° persona plurale voi altre cominciate  =vuètri a cminzipiè
3° persona plurale loro cominciano (maschile)=låur i cminzéppien
3° persona plurale   loro cominciano (femm.)=låur äl cminzéppien


VERBO DIRE= DÎR

indicativo presente

1° persona singolare    io dico=                         mé a dégg
2° persona singolare tu dici  =                           té t dî
3° persona singolare lui dice=                            ó al dîs
3° persona singolare quello dice=                      lu-là al dîs
3° persona singolare egli dice=                          ló al dîs
3° persona singolare lei dice=                            lî la dîs
3° persona singolare quella dice=                      lî-là la dîs
3° persona singolare essa dice=                         lî la  dîs
1° persona plurale      noi diciamo=                   nó a giän
1° persona plurale      noi altri diciamo =           nuéter  a   giän
1° persona plurale      noi altre diciamo =          nuétri a   giän
2° persona plurale voi dite  =                             vó a gî
2° persona plurale voi altri dite  =                     vuèter a gî
2° persona plurale voi altre dite  =                    vuètri a gî
3° persona plurale loro dicono (maschile)=      låur i dîsen
3° persona plurale loro dicono (femminile)=    låur äl dîsen



giovedì 19 gennaio 2023

Dialetto bolognese, coniugazione dei verbi: essere, avere


Tempo fa, su facebook, nel gruppo "Amanti del dialetto bolognese" il signor Claudio Balugani, ci fece un bellissimo regalo, pubblicò le coniugazioni dei verbi in bolognese. L'ho trovato talmente utile che me li sono ricopiati e che ora, anche se è passato del tempo, ho deciso di trascriverlo anche qui, per chi è amante, come me, del nostro dialetto, che oggigiorno si va sempre più perdendo, purtroppo.


VERBO ESSERE = éser

Indicativo presente


1° persona singolare io sono= mé a sån
2° persona singolare tu sei = té t î
3° persona singolare lui è= ló l é
3° persona singolare quello è= lu-là l é
3° persona singolare egli è= ló l é
3° persona singolare lei è= lî l é
3° persona singolare quella è= lî-là l é
3° persona singolare essa è= lî l é
1° persona plurale noi siamo= nó a sän
1° persona plurale noi altri= nuéter a sän
1° persona plurale noi altre= nuétri a sän
2° persona plurale voi siete = vó a sî
2° persona plurale voi altri siete = vuèter a sî
2° persona plurale voi altre siete = vuètri a sî
3° persona plurale loro sono (maschile)= låur i én
3° persona plurale loro sono (femminile)= låur äli én


VERBO AVERE= AVAIR

indicativo presente

1° persona singolare   io ho=  mé ai ò
2° persona singolare tu hai  =  té t è
3° persona singolare lui ha=  ló l à
3° persona singolare quello ha=  lu-là l à
3° persona singolare egli ha=  ló l à
3° persona singolare lei ha=  lî l à
3° persona singolare quella ha=  lî-là l à
3° persona singolare essa ha=  lî l à
1° persona plurale      noi abbiamo=         nó avän
1° persona plurale      noi altri abbiamo = nuéter  avän
1° persona plurale      noi altre abbiamo = nuétri avän
2° persona plurale voi avete  =  vó avî
2° persona plurale voi altri avete  =  vuèter avî
2° persona plurale voi altre avete  =   vuètri avî
3° persona plurale loro hanno (maschile)= låur i an
3° persona plurale loro hanno (femminile)= låur äli an




 

martedì 17 gennaio 2023

S.Antonio!


 Finalmente dopo tre anni di Covid, siamo riusciti a celebrare la ricorrenza con i panini, in versione "protetta", ma presenti. E' sempre bello condividere queste tradizioni con chi le conosce e con chi, invece, le impara, anche se, nella nostra zona, purtroppo non ci sono più molti animali a cui donarli. Mi ricordo i grandi festeggiamenti che si facevano tempo fa per questa ricorrenza; ricordo  i miei suoceri, che non uscivano mai di casa, in questa serata, insieme alle altre famiglie della zona, si ritrovavano a cena alla festa della Stadura, dove le varie tavolate si sfidavano tra loro con preparazioni culinarie. Un anno vennero a casa felicissimi per aver vinto con una crescenta di dimensioni di circa 2,5 metri per 1. Era festa grande. E come non ricordare le serate nelle opere parrocchiali con la polentata tutti in allegria, grandi e piccoli insieme. Che nostalgia! Peccato che si siano perse queste usanze.  Fortunatamente possiamo ancora ritrovarci insieme alla messa e apprezzare questi momenti in comunità. Alcuni momenti della celebrazione:



la benedizione dei panini




 




giovedì 5 gennaio 2023

Befana!

 


In questa notte si ritorna tutti bambini...

La “vera” storia della Befana

In un villaggio, non molto distante da Betlemme, viveva una giovane donna che si chiamava Befana. Non era brutta, anzi, era molto bella e aveva parecchi pretendenti.. Però aveva un pessimo caratteraccio. Era sempre pronta a criticare e a parlare male del prossimo. Cosicché non si era mai sposata, o perché non le andava bene l’uomo che di volta in volta le chiedeva di diventare sua moglie, o perché l’innamorato – dopo averla conosciuta meglio – si ritirava immediatamente.                                      

Era, infatti, molto egoista e fin da piccola non aveva mai aiutato nessuno. Era, inoltre, come ossessionata dalla pulizia. Aveva sempre in mano la scopa, e la usava così rapidamente che sembrava ci volasse sopra. La sua solitudine, man mano che passavano gli anni, la rendeva sempre più acida e cattiva, tanto che in paese avevano cominciato a soprannominarla “la strega”. Lei si arrabbiava moltissimo e diceva un sacco di parolacce. Nessuno in paese ricordava di averla mai vista sorridere. Quando non puliva la casa con la sua scopa di paglia, si sedeva e faceva la calza. Ne faceva a centinaia. Non per qualcuno, naturalmente! Le faceva per se stessa, per calmare i nervi e passare un po’ di tempo visto che nessuno del villaggio veniva mai a trovarla, né lei sarebbe mai andata a trovare nessuno. Era troppo orgogliosa per ammettere di avere bisogno di un po’ di amore ed era troppo egoista per donare un po’ del suo amore a qualcuno. E poi non si fidava di nessuno. Così passarono gli anni e la nostra Befana, a forza di essere cattiva, divenne anche brutta e sempre più odiata da tutti. Più lei si sentiva odiata da tutti, più diventava cattiva e brutta.

Aveva da poco compiuto settant’anni, quando una carovana giunse nel paese dove abitava. C’erano tanti cammelli e tante persone, più persone di quante ce ne fossero nell’intero villaggio. Curiosa com’era vide subito che c’erano tre uomini vestiti sontuosamente e, origliando, seppe che erano dei re. Re Magi, li chiamavano. Venivano dal lontano oriente, e si erano accampati nel villaggio per far riposare i cammelli e passare la notte prima di riprendere il viaggio verso Betlemme. Era la sera prima del 6 gennaio. Borbottando e brontolando come al solito sulla stupidità della gente che viaggia in mezzo al deserto e disturba invece di starsene a casa sua, si era messa a fare la calza quando sentì bussare alla porta. Lo stomaco si strinse e un brivido le corse lungo la schiena. Chi poteva essere? Nessuno aveva mai bussato alla sua porta. Più per curiosità che per altro andò ad aprire. Si trovò davanti uno di quei re. Era molto bello e le fece un gran sorriso, mentre diceva: “Buonasera signora, posso entrare?”. Befana rimase come paralizzata, sorpresa da questa imprevedibile situazione e, non sapendo cosa fare, le scapparono alcune parole dalla bocca prima ancora che potesse ragionare: “Prego, si accomodi”. Il re le chiese gentilmente di poter dormire in casa sua per quella notte e Befana non ebbe né la forza né il coraggio di dirgli di no. Quell’uomo era così educato e gentile con lei che si dimenticò per un attimo del suo caratteraccio, e perfino si offrì di fargli qualcosa da mangiare. Il re le parlò del motivo per cui si erano messi in viaggio. Andavano a trovare il bambino che avrebbe salvato il mondo dall’egoismo e dalla morte. Gli portavano in dono oro, incenso e mirra. “Vuol venire anche lei con noi?”. “Io?!” rispose Befana.. “No, no, non posso”. In realtà poteva ma non voleva. Non si era mai allontanata da casa.

Tuttavia era contenta che il re glielo avesse chiesto. “Vuole che portiamo al Salvatore un dono anche da parte sua?”. Questa poi… Lei regalare qualcosa a qualcuno, per di più sconosciuto. Però le sembrò di fare troppo brutta figura a dire ancora di no. E durante la notte mise una delle sue calze, una sola, dove dormiva il re magio, con un biglietto: “per Gesù”. La mattina, all’alba, finse di essere ancora addormentata e aspettò che il re magio uscisse per riprendere il suo viaggio.

Era già troppo in imbarazzo per sostenere un’altra, seppur breve, conversazione.

Passarono trent’anni. Befana ne aveva appena compiuti cento. Era sempre sola, ma non più cattiva. Quella visita inaspettata, la sera prima del sei gennaio, l’aveva profondamente cambiata. Anche la gente del villaggio nel frattempo aveva cominciato a bussare alla sua porta. Dapprima per sapere cosa le avesse detto il re, poi pian piano per aiutarla a fare da mangiare e a pulire casa, visto che lei aveva un tale mal di schiena che quasi non si muoveva più. E a ciascuno che veniva, Befana cominciò a regalare una calza. Erano belle le sue calze, erano fatte bene, erano calde. Befana aveva cominciato anche a sorridere quando ne regalava una, e perciò non era più così brutta, era diventata perfino simpatica.

Nel frattempo dalla Galilea giungevano notizie di un certo Gesù di Nazareth, nato a Betlemme trent’anni prima, che compiva ogni genere di miracoli. Dicevano che era lui il Messia, il Salvatore. Befana capì che si trattava di quel bambino che lei non ebbe il coraggio di andare a trovare.

Ogni notte, al ricordo di quella notte, il suo cuore piangeva di vergogna per il misero dono che aveva fatto portare a Gesù dal re magio: una calza vuota… una calza sola, neanche un paio! Piangeva di rimorso e di pentimento, ma questo pianto la rendeva sempre più amabile e buona.

Poi giunse la notizia che Gesù era stato ucciso e che era risorto dopo tre giorni. Befana aveva allora 103 anni. Pregava e piangeva tutte le notti, chiedendo perdono a Gesù. Desiderava più di ogni altra cosa rimediare in qualche modo al suo egoismo e alla sua cattiveria di un tempo. Desiderava tanto un’altra possibilità ma si rendeva conto che ormai era troppo tardi.

Una notte Gesù risorto le apparve in sogno e le disse: “Coraggio Befana! Io ti perdono. Ti darò vita e salute ancora per molti anni. Il regalo che tu non sei venuta a portarmi quando ero bambino ora lo porterai a tutti i bambini da parte mia. Volerai da ogni capo all’altro della terra sulla tua scopa di paglia e porterai una calza piena di caramelle e di regali ad ogni bambino che a Natale avrà fatto il presepio e che, il sei gennaio, avrà messo i re magi nel presepio. Ma mi raccomando! Che il bambino sia stato anche buono, non egoista… altrimenti gli metterai del carbone dentro la calza sperando che l’anno dopo si comporti da bambino generoso”.

E la Befana fece così e così ancora sta facendo per obbedire a Gesù. Durante tutto l’anno, piena di indicibile gioia, fa le calze per i bambini… ed il sei gennaio gliele porta piene di caramelle e di doni.

È talmente felice che, anche il carbone, quando lo mette, è diventato dolce e buono da mangiare.

 Fiaba di G. Perugini


Felice Epifania!