sabato 28 gennaio 2023

Argelato

 



Appunti di storia

Argelato fu feudo fortificato di Matilde di Canossa. L'autorevole presenza di beni della con- tessa è comprovata da almeno due documenti. Con il primo, datato 9 luglio 1105, Matilde fa dono al capitolo della cattedrale di Bologna della Chiesa di San Michele di Argelata unitamente ad una parte rilevante della Massa di Torano, ora corrispondente a San Giorgio di Piano. Con il secondo, risalente al 1108, rinnova una concessione enfiteutica di un terreno ad uso agricolo posto nel borgo di Argelata a favore di Natalia e Giovanni Marzola (o, secondo altri, Mazzola). La località fu soggetta a frequenti e notevoli inondazioni del vicino fiume Reno (si rammentano, tra le altre, quelle del 1220 e del 1269), nonchè ad altrettanto frequenti incursioni e devastazioni da parte di soldatesche. Scrive l'abate Serafino Calindri che il territorio e castello di Argelata soggiacquero al saccheggio e all'incendio «a cui dovetter soggiacere tanti altri Castelli del territorio dopo la famosa rotta di Zappolino nel 1325». Nuovi danni ebbe ancora a patire, trent'anni più tardi, dall'esercito di Matteo Visconti. Tali devastazioni portarono ad una progressiva e inevitabile decadenza della località, tanto che il Calindri nel 1785 annotava: «dell'antico popolato suo Castello, o Terra, già feudo circa il mille della celebre Contessa Matilde, tante volte contrastato tra l'Impero e la Chiesa, nulla vi rimane di più che una elevata e quadrilunga motta di terra, o dicasi promontorio o piccol monticello, e l'orma di una larga fossa a poca distanza dalla medesima».

La chiesa parrocchiale di Argelato, dedicata a San Michele Arcangelo, risulta già nominata nella sopra richiamata donazione del 1105 e venne pressochè completamente riedificata negli anni 1462 e 1753. Il campanile fu edificato nel 1812 e successivamente restaurato nel 1839. La costituzione del Comune di Argelato risale al 1826. Sono da annoverarsi, infine, tra le principali istituzioni post-unitarie, la Società Operaia di Mutuo Soccorso, organizzatasi nel 1882 e la Cassa Rurale, fondata nel 1906. Con decreto prefettizio datato 31 marzo 1891 venne istituita ad Argelato un'annuale fiera di bestiami in concomitanza con la festa patronale di San Miche- le, cadente il 29 settembre. Tale fiera costituì per decenni un preciso punto di riferimento per l'economia locale.


Barcaròl, psiv'gnir a pasèrum?" ovverola storia dell'ultimo passatore del Reno 
Gasperini Attilio, classe 1908, è stato l'ultimo passatore del Reno della zona di Argelato Castello d'Argile. 1 Gasperini da generazioni e generazioni erano i traghettatori al Passo del Savignano (detto anche della Frattina), che collegava i territori sud-occidentali di Argelato e Argile con quelli di Padulle e Sala Bolognese.
Una zona assai popolata, un'economia legata strettamente all'agricoltura e al piccolo artigianato facevano del Passo del Savignano uno dei più importanti punti d'incontro delle genti qua e di là dal Reno almeno fino alla fine del secolo scorso; poi con la costruzione del ponte di Bagno (1880) e di quello di Buonconvento (1937) e l'avvento della motorizzazione anche l'antico mestiere del passatore è scomparso. Mestiere di famiglia dunque, ma anche se uno solo della famiglia era preposto a traghettare  tutti alla bisogna prestavano tale servizio, e Attilio Gasperini già a otto anni era stato messo sotto a tirare la barca. II Reno allora era molto più largo e al Savignano aveva uno specchio d'acqua di 60-70 metri; la barca veniva impiegata a traghettare dall'autunno alla primavera inoltrata mentre d'estate, dato il basso livello dell'acqua veniva montata una passerella in legno. Singolare  era il sistema di trasbordo da una sponda all'altra: una fune di acciaio lunga 150 metri attraversava il fiume ancorata da una parte a un grosso albero e dall'altra a un mulinello, tramite il quale la si teneva sempre a circa un metro sopra il livello d'acqua; la barca, di legno di quercia (en lunga sei metri e larga tre, alta 90 cm., con un pescaggio di soli 20 cm.), aveva un palo nel mezzo del quale vi erano due rulli ruotanti su di un perno attraverso cui scorreva la detta fune di acciaio che così teneva in guida la barca. Facendo presa con le mani sulla fune e tirando, il passator spostava la barca trasferendola dall'una all'altra sponda. Il servizio era dall'alba al tramonto veniva sospeso di notte; era un'attività utile a soli pedoni e biciclette e veniva retribuita con pocho soldi a persona (10 o 15 centesimi).
La domenica, le feste e i giorni di mercato erano quelli di maggiore traffico, ma certo che con questo mestiere non si campava e i Gasperini erano anche falegnami; riparavano carri e birocci e attrezzi agricoli, costruivano madie, tavole e armadi nella modesta bottega della casa del passatore.
I nuovi ponti sul Reno, la guerra, i clienti sempre più radi fecero sì che nel 1940 il servizi fosse sospeso: oggi nella golena al Savignano restano la vecchia casa dei Gasperini, una piccola cappella dedicata alla Madonna, e alcuni dei pali in rovere della passerella e delle rampe di accesso; il Reno in questo punto è molto più profondo e più stretto di una volta e una fitta vegetazione di alberi e arbusti impedisce addirittura di avvicinarsi a quello che fu uno dei più importanti traghetti sul Reno dei secoli passati, il passo del Savignano.

                            il traghetto al passo del Savignano, nei pressi di Argelato negli anni '30


Preghiere

A lèt a lèt a vói andèr, tótt i sânt a vói ciamèr, trị da cô e tri da pi, tótt i sânt i én mî fradî; la Madona l'è mî mèder, San Jusèf l'é mî pèder, San Lurènz l'é mî parènt, a pòs durmir sicurament. 

A letto a letto voglio andare, tutti i santi voglio chiamare tre da capo e tre da piedi, tutti i santi sono miei fratelli; la Madonna è mia madre, San Giuseppe è mio padre, San Lorenzo è mio parente, posso dormire sicuro.

Sant'Antòni dal campanén, s'an gn'é pân e s'an gn'é vén, s'an gn'é lègna in dal granèr, Sant'Antòni, cm'òja da fèr?

Sant'Antonio dal campanello, se non c'è pane e non c'è vino, se non c'è legna nel granaio; Sant'Antonio come devo fare?

Strofette di questua

Av sèn gnó a dèr al bòn cấp dân, ch'a campéssi zènt ân, zènt ân e un dé, la bóna màn la um véin a mê.

Son venuto a darvi il buon capo d'anno, che compiste cento anni, cento anno e un giorno, la fortuna venga a me.

'Zdoura, 'zdurátta, guardè in dla cassatta ch'ai é un pèz ed panzàtta, s'a num la darî, al gât av la purtarà vî.

Zdoura, zdouretta, guardate nella cassetta che c'è un pezzo di pancetta, se non me la darai il gatto ve la p

'Zdoura, a sèn par cranvèl, brasûla o fritèl, un quèl a vlen magnèr. Guardê in dla spaltûra s'ai è un pèz ed brasûla, guardê in dal casson s'ai è un pèz ed panon, guardê d'dòp a l'óss s'ai é un pèz ed parsótt, guardê in dla cassatta s'ai è un pèz ed panzàtta, anch s'l'à al peil am n'importa, basta ch'la stâga in dla mi sporta.

Zdoura, siamo per carnevale, fritelle, qualcosa vogliamo mangiare. Guardate nella spaltura se c'è un pezzo di brasula, guardate nel cassone se c'è un pezzo di panone, guardate dietro all'uscio se c'è un pezzo di prosciutto guardate nella cassetta se c'è un pezzo di pancetta anche se ha il pelo non importa, basta che stia nella mia sporta.

(Le prime due zirudelle avevano spesso lo scopo di vivacizzare gli incontri invernali nelle stalle «a trabb», le altre venivano recitate durante i matrimoni «i spusalézzi»).

 Al zirudèl d'la tradizion

Zirudèla stê a 'scultèr che un bèl chès av voi cuntèr: l'ètra sîra andand a trabb in d'la stâla d'Michelatt a' îra 'na dona fté da òmen ch'la pareva un galantomen, còn 'na zigaratta in bocca, guai a chi la tòcca. Al la tuché al fiôl d'Baravèla tich-u-dài la zirudèla.

Zuridèla d’cô di cópp di quaión ai n'é da par tótt ai n'é anch in mèz a l'èra toch e dài la zirudèla.

Zirudèla i mî parént, da magnèr an gn'é pió gnînt, ai n'é di drétt, ai n'é di gûb, a fèn un éviva ai spûs!

Zirudèla i mî aprént, da magnèr an gn'é pió gnînt, an gn'é gnanch 'na fatta d'murtadela, tich-u-dài la zirudèla.

Filastrocche infantili


Mâma, papà,
cumprêm un s'ciuptén d'ander a la câzia
a' mazzer i limalén,
i limalén di Frânza, cich e ciách få al tamburén!
cus'èt in dla tô pânza? Ai ò di fasulén:
Cilubén paséva al fiómm, la só mama l'i féva lómm,
 la lomm la s'e 'smurze, cilubén al s'é 'cupè.

Sgnour Nicôla, a voi dla côla,
ed cla côla ch'la s'incôla
S'la n'é côla
ch'la s'incôla,
sgnour Nicôla
an tói pió côlaqué da vó.

Seiga butèiga
Dilen (o Zanén) con la Dileida, un butiglién da l'òli
pr'ander in purgatori, un butiglién ad vén
da dèr ai sô fradlén (opp.: da der al piò cineni)

Pîta, pitèlaù
color sei fén,
la bela pulinèla sô par la schèla,
color sei bèla, par San Martén, schèla scalón, panna d'pavòn, acqua del mare, re re, figlio d'un re, ti tocca proprio a...te!
belle città.
metti dentro questo pè:

Riteniamo utile riportare alcune brevi osservazioni sugli ultimi due testi pubblicati. Sega buteiga» era una filastrocca che accompagnava un gioco di abilità infantile che si effettuan mani e una cordicella. Quest'ultima, dopo alcuni «passaggi» da un dito all'altro, dava l'imp ne del movimento di una vecchia sega da boscaiolo. «Pîta pitèla» (o «Pessa piasaelas) citata durante un gioco che cosi viene descritto da due studiosi di folclore: «I bambini d fila, si mettono a sedere con le gambe stese ed a piè pari, mentre uno di essi, il capo giocp in piedi, e recita la filastrocca, toccando, ad ogni fin di verso, un piede dei suoi compagni i  quali debbono subito ritirarlo (O. Trebbi-G. Ungarelli, Costumanze e tradizioni del popolo bolognese, Bologna 1932, p. 224).







Un quâich pruvêrbi dla campagna

Quand al temp al fà la lèna, a piov dènter dla stmèna (Quando il tempo fa la «lana», piove entro la settimana).

Novel souvra la breina, aqua o nèiv cl'ètra matèina (Nuvole sopra la brina, acqua o neve la mattina successiva).

Temp lús, aqua prodûs (Tempo luminoso, acqua produce). 

Elba rossa, o ch'la péssa o ch'la sóppia (Alba rossa, o piove o tira vento). 

Quand ai tira al muntàn, o ch'al piov inců o ch'al piov admàn (Quando soffia il vento montano o piove oggi o piove domani).

Par Santa Crous, furment spigous (Per Santa Croce «3 maggio», frumento con la spiga). 

La louna sitimbréina, sèt lòun s'inchéina (Alla luna settembrina sette lune s'inchinano: la situazione meteorologica non subirà cambiamenti per sette successivi pleniluni). 

Par San Lócca, chi n'à sumnè bóffa (Per San Luca » 18 ottobre», chi non ha ancora seminato deve «sbuffare» ).

Par Santa Catiréina, la guâza la dvènta bréina (Per Santa Caterina «25 novembre», la rugiada si trasforma in brina).

Par Santa Catiréina, o ch'al nèiva o ch'al bréina o ch'ai bât la paciaréina brina o che batte la pioggerellina)

(Per Santa Caterina, o che nevica o che c'è la brina  

Da Santa Catiréina a Nadèl, un mèis uguel (Da Santa Caterina a Natale, un mese uguale). 

Santa Bibiena, quaranta dé e 'na stmèna (Santa Bibbiana «2 dicembre», quaranta giorni e una settimana: l'andamento mete quel giorno si ripeterà per quaranta giorni e una settimana).

Bel Nadel, rustézz a Pasqua (Bel tempo a Natale, fuoco acceso a Pasqua).


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