Il segreto della mortadella? La produzione a vapore. Il successo viaggiò con le scoperte tecnologiche.
Nella Bologna dei secoli scorsi il potere locale ha sempre avuto un occhio di riguardo nei confronti di chi produceva salumi, cioè l'Arte dei Salaroli, unici autorizzati a produrre la mortadella.
Non bisogna, però, pensare che la mortadella fosse l'unico salume prodotto in città: di sicuro era quello più caro (14 bolognini). Seguiva a ruota il salame (12 bolognini), lo strutto (4 bolognini e 4 quattrini), il prosciutto (4 bolognini), la salsiccia e la pancetta (3 bolognini e 4 quattrini) e infine il lardo (3 bolognini e 2 quattrini). Da questo listino seicentesco si comprende come i prezzi maggiori riguardassero quei salumi che comportavano una preparazione artigianale più lunga e complessa.
Tutto cambiò dalla seconda metà dell'Ottocento, quando questi salumi bolognesi (in particolare della mortadella) spinse i produttori ad uscire dalla dimensione artigianale per puntare su quella industriale: si impiegò più personale e aumentò il giro d'affari in maniera cospicua, soprattutto da quando si aprirono i mercati esteri. Era giunto il momento di puntare sulla tecnologia e si aprì la stagione dei nuovi stabilimenti alimentati da una nuova energia meccanica, quella dei motori a vapore, un'energia utilizzata da un secolo in Inghilterra e alla quale si deve il grande sviluppo industriale inglese.
Alcune industrie che avevano investito nei nuovi macchinari (Fratelli Nanni, Fratelli Zeppoli, Luigi Fiorini, Ulisse Colombini) introducendo l'energia dei motori a vapore, nella loro pubblicità evidenziarono l'espressione "stabilimento a vapore". Ciò non toglie che Bologna fosse ancora assai arretrata: basti pensare che mentre a Londra funzionava il metrò (1863), a Bologna non si viaggiava nemmeno col tram a cavalli (1880).
Dopo l'industrializzazione della produzione dei salumi, vi fu un'altra innovazione tecnologica, fondamentale per l'esportazione: la chiusura ermetica dei contenitori dei salumi. Nacque così la "mortadella in scatola", che provocò un ulteriore indotto industriale e maggiore occupazione. Ad intestarsi questa invenzione furono vari industriali fra cui Medardo Bassi, nipote di Ugo Bassi e fervente garibaldino, che aveva aperto un'industria di salumi.
L'industria a vapore e la chiusura ermetica aumentarono le esportazioni, crearono forti utili alle aziende, più occupati e migliori stipendi per i lavoratori. Il settore dei salumi ebbe sviluppi ulteriori ed emersero, nel Novecento, aziende di varie dimensioni: l'esempio più significativo è quello dei fratelli Ivo e Gino Galletti che, assieme a Gino Brini, nel 1945, in un modesto locale di via Riva Reno, aprirono un laboratorio per produrre mortadella. L'impresa crebbe fino ad aprire una grande sede a Zola Predosa: è la storia della Alcisa, che divenne il più grande salumificio della nostra provincia. Insomma, dal 1870 Bologna era già la città del cibo: i salumi e la pasta fresca generarono ricchezza, progresso e lavoro.
Nella Bologna dei secoli scorsi il potere locale ha sempre avuto un occhio di riguardo nei confronti di chi produceva salumi, cioè l'Arte dei Salaroli, unici autorizzati a produrre la mortadella.
Non bisogna, però, pensare che la mortadella fosse l'unico salume prodotto in città: di sicuro era quello più caro (14 bolognini). Seguiva a ruota il salame (12 bolognini), lo strutto (4 bolognini e 4 quattrini), il prosciutto (4 bolognini), la salsiccia e la pancetta (3 bolognini e 4 quattrini) e infine il lardo (3 bolognini e 2 quattrini). Da questo listino seicentesco si comprende come i prezzi maggiori riguardassero quei salumi che comportavano una preparazione artigianale più lunga e complessa.
Tutto cambiò dalla seconda metà dell'Ottocento, quando questi salumi bolognesi (in particolare della mortadella) spinse i produttori ad uscire dalla dimensione artigianale per puntare su quella industriale: si impiegò più personale e aumentò il giro d'affari in maniera cospicua, soprattutto da quando si aprirono i mercati esteri. Era giunto il momento di puntare sulla tecnologia e si aprì la stagione dei nuovi stabilimenti alimentati da una nuova energia meccanica, quella dei motori a vapore, un'energia utilizzata da un secolo in Inghilterra e alla quale si deve il grande sviluppo industriale inglese.
Alcune industrie che avevano investito nei nuovi macchinari (Fratelli Nanni, Fratelli Zeppoli, Luigi Fiorini, Ulisse Colombini) introducendo l'energia dei motori a vapore, nella loro pubblicità evidenziarono l'espressione "stabilimento a vapore". Ciò non toglie che Bologna fosse ancora assai arretrata: basti pensare che mentre a Londra funzionava il metrò (1863), a Bologna non si viaggiava nemmeno col tram a cavalli (1880).
Dopo l'industrializzazione della produzione dei salumi, vi fu un'altra innovazione tecnologica, fondamentale per l'esportazione: la chiusura ermetica dei contenitori dei salumi. Nacque così la "mortadella in scatola", che provocò un ulteriore indotto industriale e maggiore occupazione. Ad intestarsi questa invenzione furono vari industriali fra cui Medardo Bassi, nipote di Ugo Bassi e fervente garibaldino, che aveva aperto un'industria di salumi.
L'industria a vapore e la chiusura ermetica aumentarono le esportazioni, crearono forti utili alle aziende, più occupati e migliori stipendi per i lavoratori. Il settore dei salumi ebbe sviluppi ulteriori ed emersero, nel Novecento, aziende di varie dimensioni: l'esempio più significativo è quello dei fratelli Ivo e Gino Galletti che, assieme a Gino Brini, nel 1945, in un modesto locale di via Riva Reno, aprirono un laboratorio per produrre mortadella. L'impresa crebbe fino ad aprire una grande sede a Zola Predosa: è la storia della Alcisa, che divenne il più grande salumificio della nostra provincia. Insomma, dal 1870 Bologna era già la città del cibo: i salumi e la pasta fresca generarono ricchezza, progresso e lavoro.
un bolognino
un quattrino
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