Una "firma" e il fornaio era costretto all'onestà. Una regola del '600 per evitare di rubare sul peso.
Nella Bologna medievale, dove si affermarono le Corporazioni delle Arti e Mestieri, solo ai fornai non fu consentito di fondare una loro Corporazione. Fin dai primi Statuti del Comune "il ciclo del pane" era regolamentato in modo dettagliato: dai mulini da grano (molti di proprietà comunale), alle norme sul commercio (era vietato "esportare" grano, farina e pane) fino al controllo sulla vendita del pane il cui prezzo era stabilito dal Comune stesso.
Il pane era alimento quotidiano fondamentale e i Comuni efficienti e previdenti, consapevoli di possibili carestie, provvedevano a creare "scorte" di grano per far fronte ai momenti di emergenza alimentare. Basti pensare che il Comune di Bologna a fine duecento acquistò la casa del giurista Accursio (ora parte del palazzo Comunale) per immagazzinare le riserve alimentari (granaglie). Anche nei secoli successivi il ruolo del Comune fu totale: non solo stabilì (1606) un "calmiere" del pane, ma oltre al prezzo fissò anche il peso, la qualità e le caratteristiche dei forni.
Produrre il pane in casa era cosa da ricchi: per gli altri cittadini cuocere il pane aveva costi elevati e perciò si rivolgevano ai vari tipi di forni: c'erano quelli che, con la farina dei clienti, eseguivano l'impasto preparato dal cliente e, infine, quelli che eseguivano il ciclo completo e vendevano le pagnotte secondo le regole comunali che fissavano peso e prezzo di ogni pagnotta. Vi fu chi accusò qualche fornaio di rubare sul peso: e allora il comune, il 12 agosto 1637, impose ai fornai di "porre nelle teglie delle loro impastarie il nome e cognome ed il vero peso della farina". Insomma, sul fondo del recipiente che conteneva l'impasto doveva esserci un simbolo di riconoscimento del fornaio, una specie di "logo": così, dopo la cottura, sarebbe rimasta impressa sulla pagnotta la sua "firma". I fornai che non "firmavano" il loro pane erano multati con 100 scudi d'oro e col sequestro di tutto il pane presente nel negozio. Una curiosità: l'unico pane bianco era prodotto dal forno di Santo Stefano (erano accanto alla Chiesa del Crocifisso) in virtù di un privilegio del 1449 di papa Nicolò V. Erano pagnotte di piccole dimensioni, attaccate l'una all'altra e si vendevano in numero almeno di quattro per volta e non a peso. Il monopolio cessò nel 1796. Il forno, tramite gara d'appalto, era dato in gestione ai privati che riconoscevano ai monaci un affitto.
E veniamo ai tempi più recenti: cento anni fa il sindaco di Bologna Francesco Zanardi per contrastare l'aumento del costo del pane (+30%) dopo l'entrata in guerra dell'Italia, decise la costruzione di un grande forno comunale in via Don Minzoni che produsse 500 quintali al giorno di pagnotte da 600 grammi a prezzi inferiori di oltre il 30% rispetto ai forni privati. In quei terribili giorni a nessun bolognese mancò il pane quotidiano.
Per questa iniziativa, Zanardi si meritò l'appellativo di "Sindaco del pane".
Nella Bologna medievale, dove si affermarono le Corporazioni delle Arti e Mestieri, solo ai fornai non fu consentito di fondare una loro Corporazione. Fin dai primi Statuti del Comune "il ciclo del pane" era regolamentato in modo dettagliato: dai mulini da grano (molti di proprietà comunale), alle norme sul commercio (era vietato "esportare" grano, farina e pane) fino al controllo sulla vendita del pane il cui prezzo era stabilito dal Comune stesso.
Il pane era alimento quotidiano fondamentale e i Comuni efficienti e previdenti, consapevoli di possibili carestie, provvedevano a creare "scorte" di grano per far fronte ai momenti di emergenza alimentare. Basti pensare che il Comune di Bologna a fine duecento acquistò la casa del giurista Accursio (ora parte del palazzo Comunale) per immagazzinare le riserve alimentari (granaglie). Anche nei secoli successivi il ruolo del Comune fu totale: non solo stabilì (1606) un "calmiere" del pane, ma oltre al prezzo fissò anche il peso, la qualità e le caratteristiche dei forni.
Produrre il pane in casa era cosa da ricchi: per gli altri cittadini cuocere il pane aveva costi elevati e perciò si rivolgevano ai vari tipi di forni: c'erano quelli che, con la farina dei clienti, eseguivano l'impasto preparato dal cliente e, infine, quelli che eseguivano il ciclo completo e vendevano le pagnotte secondo le regole comunali che fissavano peso e prezzo di ogni pagnotta. Vi fu chi accusò qualche fornaio di rubare sul peso: e allora il comune, il 12 agosto 1637, impose ai fornai di "porre nelle teglie delle loro impastarie il nome e cognome ed il vero peso della farina". Insomma, sul fondo del recipiente che conteneva l'impasto doveva esserci un simbolo di riconoscimento del fornaio, una specie di "logo": così, dopo la cottura, sarebbe rimasta impressa sulla pagnotta la sua "firma". I fornai che non "firmavano" il loro pane erano multati con 100 scudi d'oro e col sequestro di tutto il pane presente nel negozio. Una curiosità: l'unico pane bianco era prodotto dal forno di Santo Stefano (erano accanto alla Chiesa del Crocifisso) in virtù di un privilegio del 1449 di papa Nicolò V. Erano pagnotte di piccole dimensioni, attaccate l'una all'altra e si vendevano in numero almeno di quattro per volta e non a peso. Il monopolio cessò nel 1796. Il forno, tramite gara d'appalto, era dato in gestione ai privati che riconoscevano ai monaci un affitto.
E veniamo ai tempi più recenti: cento anni fa il sindaco di Bologna Francesco Zanardi per contrastare l'aumento del costo del pane (+30%) dopo l'entrata in guerra dell'Italia, decise la costruzione di un grande forno comunale in via Don Minzoni che produsse 500 quintali al giorno di pagnotte da 600 grammi a prezzi inferiori di oltre il 30% rispetto ai forni privati. In quei terribili giorni a nessun bolognese mancò il pane quotidiano.
Per questa iniziativa, Zanardi si meritò l'appellativo di "Sindaco del pane".
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