martedì 30 agosto 2016

J: Jean Jacobs (collegio dei Fiamminghi)

Quell'orafo mecenate che aiutò Guido Reni. Con un lascito dispose il sostegno agli studenti belgi.
Le origini di Jean Jacobs sono incerte e discusse: secondo gli storici bolognesi nacque a Bologna il 22 dicembre 1579 e fu battezzato il giorno dopo in San Pietro col nome del padre, un mercante di Bruxelles trasferitosi a Bologna e deceduto prima della nascita del figlio: tutto ciò è attestato da documentazione conservata nell'Archivio Arcivescovile di Bologna. Secondo gli storici belgi fu battezzato invece a Bruxelles, il 31 marzo 1575, dove esisterebbe documentazione in tal senso. Il certificato di morte, avvenuta il 12 settembre 1650, attesta che Jacobs aveva 70 anni: e ciò depone per la nascita bolognese. Ma nel testamento è lo stesso Jacobs ad affermare la sua nascita a Bruxelles. Sembra quasi che siano esistiti due perfetti omonimi: quello bolognese ebbe due figli (testimone del battesimo fu il pittore Dionisio Calvaert) e perse il primo nel 1615 e il secondo per la peste nel 1630. In precedenza era morta anche la moglie. A Bologna, Jacobs si fece apprezzare come argentiere e orafo e aprì la sua bottega in via Calzolerie. Qui probabilmente conobbe Guido Reni del quale divenne amico; al pittore, sempre alla ricerca di denaro a causa dei debiti di gioco, commissionò dipinti da inviare nelle Fiandre e Guido Reni - si suppone - si sdebitò eseguendo il suo ritratto del quale ci resta solo una copia.
Delle varie opere di Jacobs restano famose la copertura in argento dell'immagine della Madonna di San Luca e alcuni candelieri per l'altare maggiore della chiesa di San Giacomo Maggiore. Di sicuro Jean Jacobs non passò alla storia per queste opere, bensì per il suo testamento redatto nel 1650, tre giorni prima della morte, nel quale destinò  parte delle sue sostanze all'istituzione di un Collegio universitario per accogliere almeno quattro giovani della "nazione fiamminga", studenti belgi e olandesi. I giovani, dell'età di 18 anni, cattolici, con accertata idoneità agli studi, venivano scelti dalla Corporazione degli Orafi di Bruxelles e potevano rimanere ospiti del Collegio per cinque anni. Dopo due sedi provvisorie, nel 1680 il Collegio si trasferì in via Guerrazzi, 20 dove ancora oggi ha sede.
Il Collegio dei Fiamminghi è tuttora attivo in base ad uno statuto approvato nel 1990 che prevede che gli studenti possano provenire sia dal Belgio sia dalla città olandese di Utrecht. Il Collegio è amministrato da un Consiglio formato da tre persone che restano in carica 9 anni e nominano il Rettore. Un membro è nominato dalla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bologna, uno dal Collegio dei Presidi, il terzo è un cittadino bolognese di "provata esperienza amministrativa", eletto dal collegio dei Presidi e dal Preside della Facoltà di Giurisprudenza. Il Collegio opera con le risorse provenienti dal suo patrimonio.

giovedì 18 agosto 2016

I: Irnerio (giurista e strada)

Il docente che battezzò Tizio, Caio e Sempronio. Padre del diritto moderno di lui si sa pochissimo.
Irnerio, che è considerato dai bolognesi il più famoso giurista, fu riscoperto da studiosi tedeschi nell'Ottocento; non solo, ma alcuni ritengono che, probabilmente, fosse d'origine tedesca: di nome faceva "Wernerius" ed era soprannominato "il Teutonico", nonostante in alcuni documenti fosse definito "bononiensis".
I bolognesi respinsero questa tesi e considerarono Irnerio un illustre concittadino, simbolo dell'Università: un famoso dipinto di Luigi Serra (esposto nel palazzo comunale) lo raffigura come studioso e come ispiratore della autonomia del Comune di Bologna; l'opera, realizzata (1886) due anni prima della morte del pittore, fu molto apprezzata da Giosuè Carducci.
La verità è che di Irnerio e della sua vita si sa poco; nacque non dopo il 1060 e morì nel terzo decennio del XII secolo; certo è che fu uno dei primi docenti di diritto della neonata Università di Bologna e qualcuno lo considera uno dei fondatori della scuola di diritto. Questo suo ruolo e la sua autorevolezza gli meritarono un altro soprannome, quello di "lucerna iuris", lume del diritto. La sua probabile origine teutonica e il soprannome "teutonicus" deriverebbero dalla sua fedeltà all'Imperatore (tedesco), che a sua volta lo volle suo stretto collaboratore come è dimostrato dall'atto stipulato da Enrico V con i bolognesi, nel 1116, che diede origine al Comune di Bologna. Senza dimenticare, oltre ai viaggi del giurista in Germania, che Irnerio accompagnò lo stesso Imperatore, durante il suo viaggio in Italia.
Addirittura  nel 1119 Irnerio fu scomunicato, assieme a Enrico V, da papa Callisto II in quanto sostenne (come voleva Enrico V) la validità dell'elezione di un anti-papa, Gregorio VIII. Fu alla corte di Matilde di Canossa, incontrata nel 1113, che gli chiese di rinnovare le leggi sulla base dei diritti.
Anche sulle sue opere vi sono dubbi circa le numerose attribuzioni: certamente fu un glossatore, cioè un commentatore, ma fu anche giudice e, soprattutto, "magister" che ebbe degni allievi (Martino Gosia, Bulgaro, Iacopo e Ugo) che fecero onore al loro maestro consolidando la fama dell'Università di Bologna . A Irnerio si deve la revisione del codice di Giustiniano e la diffusione in Europa di un nuovo diritto sulla base di quello romano. Fu il primo glossatore della storia del diritto e dalla sua scuola uscirono allievi che favorirono l'evoluzione del diritto: un punto fermo per la coltura e per la civiltà di quella parte del mondo che verrà chiamata Europa.
Una curiosità: Irnerio fu il primo a far ricorso ai nomi Tizio, Caio e Sempronio per le esemplificazioni schermatiche.
A Irnerio, i bolognesi hanno dedicato un'importante arteria cittadina: infatti, nel 1907, il Comune decise di realizzare una nuova grande strada al servizio del nuovo quartiere universitario e che collegasse porta Zamboni con via Indipendenza. I lavori furono conclusi nel 1912. Via Irnerio, come una grande spada, tagliò definitivamente la Montagnola della Piazza Otto Agosto che erano rimaste unite per secoli.

martedì 16 agosto 2016

H: Hotel (Brun e Baglioni)



Hotel (Brun e Baglioni)

Camere con acqua corrente per ospitare scrittori e reali.
La presenza di studenti stranieri, di viaggiatori e la consuetudine di consumare i pasti fuori casa per risparmiare sulla legna giustificano le 150 osterie attive a Bologna all'inizio del Trecento. All'alba dell'Ottocento, le osterie in città erano 40. In questo secolo  si affermarono anche gli alberghi, anzi gli hotel, che sostituirono molte locande e affollarono il centro storico: l'Hotel San Marco in via Ugo Bassi, dove alloggiò Giacomo Casanova, l'Hotel Pellegrino, sempre in via Ugo Bassi, al civico 7, dove alloggiarono Lord Byron e Charles Dickens, l'Hotel Roma in via D'Azeglio (tuttora in attività), l'Hotel Tre Vecchi che aprì dopo la realizzazione in via Indipendenza di fronte all'Arena del Sole (ancor oggi esistente), l'Hotel Corona d'Oro in via Oberdan 12, nell'antica casa Azzoguidi con portico ligneo: vittima di una bomba, fu ristrutturato e riaprì nel 1969.
Prima del secondo conflitto mondiale a Bologna erano in attività 38 alberghi, ma soltanto due erano di prima categoria: il Gran Hotel Brun e l'Hotel Majestic Baglioni.
La prima denominazione dell'Hotel Brun fu "Pensione Svizzera" in omaggio al suo proprietario, lo svizzero Brun, che la avviò nel 1828. Alcuni anni dopo il soggiorno di Garibaldi per una notte nella "Pensione Svizzera" (10 novembre 1848), Brun cedette l'albergo alla famiglia Frankkk, albergatori che a Bologna gestivano il buffet della stazione e produttori di vino. I Frank trasformarono in un prestigioso hotel il cinquecentesco palazzo Ghisilieri di via Ugo Bassi.
Il nuovo Hotel Brun riaprì con 140 stanze e nel corso degli anni si arricchì di servizi: acqua corrente, caloriferi, ascensore, bagni privati, illuminazione elettrica e parcheggio auto nel cortile. Dopo il restauro effettuato da Alfonso Rubbiani nel 1911, l'Hotel Brun apparve ancor più raffinato e lussuoso. La gloriosa storia dell'Hotel Brun finì il 24 luglio 1943, quando l'immobile fu gravemente danneggiato dalle bombe. Per decenni l'Hotel Brun fu l'albergo più prestigioso di Bologna: ospitò sovrani, attori, cantanti, politici italiani e stranieri.
A metà dell'Ottocento, nel cinquecentesco palazzo della Dogana in via Ugo Bassi (ora sede Unicredit) aprì l'Albergo d'Italia che a fine secolo fu acquistato da Guido Baglioni, imprenditore torinese. Nel 1911 Baglioni acquistò l'immobile settecentesco voluto da Papa Lambertini per collocarvi il seminario e lì realizzò l'Hotel Baglioni che iniziò ad operare dal 15 febbraio 1912. L'Hotel Baglioni divenne in breve tempo l'albergo più lussuoso e più raffinato anche per la qualità del ristorante. Inoltre, all'interno dell'Hotel, vi sono stanze affrescate dal Carracci. Ma l'avventura di Guido Baglioni durò meno di due decenni: alla fine degli anni '20 l'albergo divenne parte del gruppo Majestic che ne mantenne la proprietà fino al 1990 allorchè un altro gruppo internazionale lo acquisì. Nel dopoguerra al Baglioni hanno soggiornato attori, scrittori, scienziati, politici, sportivi: l'Albo d'Onore dell'Hotel ripropone moltissimi grandi personaggi del Novecento.

lunedì 15 agosto 2016

G: Galluzzi (Corte dè )


Corte de' Galluzzi

Amore, odio e un'alta torre per difendersi dai ghibellini.Il marchio di famiglia è la rivalità con i Carbonesi.
Fossero vissuti ai nostri tempi, i Galluzzi avrebbero occupato regolarmente la cronaca nera, ma anche quella a luci rosse. Questa famiglia fu protagonista di decine di episodi criminosi: qualche membro si trovò una taglia sulla testa e alcune case dei Galluzzi furono abbattute. I Galluzzi erano guelfi, fedeli al Papato e contrapposti ai ghibellini, ma soprattutto alla famiglia ghibellina dei Carbonesi, nemici mortali. La "vivacità" dei Galluzzi spiega la decisione di costruire una corte fortificata con una torre: un luogo di difesa e di offesa. Prova ne sia che questa torre fu costruita nel 1257 quando era finita l'epoca della costruzione delle torri. Inoltre fu costruita in modo tale da essere inaccessibile: infatti la porta d'ingresso era sopraelevata di 10 metri dal piano stradale e ad essa si accedeva solo tramite una struttura di legno, come dimostrano i fori esistenti all'altezza della porta originaria (quella attuale è una manomissione recente).
La torre, con un paramento murario più robusto di quello dell'Asinelli, e blocchi di selenite alla base, in origine era più alta dei 30 metri attuali. La corte dei Galluzzi era uno spazio chiuso dove, oltre alle residenze dei Galluzzi sorgevano altri edifici occupati da persone fidate.
Non poteva mancare la chiesa privata, denominata Chiesa rotonda di Santa Maria dei Galluzzi, che fu ricostruita a metà del Cinquecento da mercanti toscani e divenne la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini (ora negozio) col soprastante Oratorio dei Fiorentini.
L'odio per i Carbonesi è alla base di una vicenda narrata da molti cronisti: si tratta di una storia di "amore e morte" che ricalca quella dantesca di Paolo e Francesca. Forse una storia vera o forse scritta per deplorare le conseguenze dello scontro fra fazioni. Era l'anno 1258: un casuale incontro fra Alberto Carbonesi e Virginia Galluzzi fece scoccare il famoso "colpo di fulmine": vi furono altri incontri fin quando le rispettive famiglie si resero conto che fra i due giovani c'era vero amore: Giampietro Galluzzi, il padre di Virginia, decise di recarsi a casa dei nemici Carbonesi proponendo, in nome dei sentimenti dei figli, una (falsa) pacificazione. Prova ne fu il fatto che i due giovani si sposarono e Virginia ebbe il permesso di andare ad abitare col marito in casa Carbonesi. Ma una notte, assieme a dieci uomini armati, Giampietro Galluzzi entrò in casa Carbonesi, si recò nella camera degli sposi e sordo a qualsiasi pietà trafisse Alberto che giaceva accanto a sua figlia Virginia.
Quando rinvenne accanto al cadavere del marito, Virginia non ebbe esitazione: si procurò una corda, l'attaccò all'inferriata esterna della finestra e pose fine alla sua vita. Giampietro Galluzzi fu poi arrestato e condannato al bando per due anni. La vicenda a luci rosse è quella narrata dal Boccaccio nella settima novella del settimo giorno. Vede per protagonisti Egano Galluzzi, la moglie Beatrice e il suo amante: la vicenda è quella classica, che finisce col marito tradito e bastonato.

domenica 14 agosto 2016

F: San Francesco Basilica


Basilica San Francesco

Nel 1922 la visita del frate rapì il cuore dei bolognesi.
Nel 1213 giunse a Bologna Bernardo di Quintavalle, discepolo di Francesco, con alcuni confratelli. L'accoglienza non fu delle migliori da parte dei giovani e degli studenti: come è riferito nei "Fioretti", "chi gli tirava il cappuccio indietro e chi davanti, chi gli gittava polvere e chi pietre, chi 'l sospingeva di qua e di là". Bernardo e gli altri frati non reagirono e serenamente annunciarono le parole di Francesco che finirono per  ammansire anche i più agitati.
Questo episodio ebbe come conseguenza la concessione di una residenza, cioè Santa Maria delle Pugliole, che sorgeva dove oggi c'è piazza dei Martiri.
San Francesco giunse a Bologna il 15 agosto 1222: un testimone lo raffigura lacero e sudicio mentre parla in Piazza Maggiore; ma le sue parole affascinarono e la folla entusiasta cercò di toccarlo e di strappare qualche brandello dei suoi miseri panni. L'anno successivo giunse a Bologna S.Antonio che rimase a lungo in città per fare lezioni di teologia ai frati.
I francescani rimasero in Santa Maria delle Pugliole fino al 1236, allorchè ottennero il permesso di costruire una grande chiesa fuori dalle mura cittadine (quelle del Mille) in una zona all'epoca degradata.
Non si conosce il nome del progettista, ma si sa che ad Antonio di Vincenzo (il progettista di San Petronio) è da attribuire la costruzione del campanile (50 m.), avvenuta fra il 1397 e il 1402, nonchè della cappella Muzzarelli. L'altro campanile, di minori dimensioni, è del 1260. La chiesa subì gravi traversi dall'arrivo dei francesi fino alla Seconda guerra mondiale: soppressa dai francesi fu sconsacrata e trasformata in caserma e dogana; nel 1842 i frati minori conventuali, proprietari della chiesa, poterono rientrare; ma nel 1866 le soppressioni del Regno d'Italia riportarono il complesso francescano a funzioni laiche (caserme).
Finalmente, nel 1866 la chiesa fu restituita ai frati e fu Alfonso Rubbiani a condurre un importante restauro che recuperò le caratteristiche originarie, con qualche arbitraria ricostruzione.
Tuttavia la parte conventuale rimase di proprietà statale e fu adibita a funzioni finanziarie (che mantiene tuttora). La chiesa rimase poi vittima dei bombardamenti che danneggiarono fortemente la facciata; fu la Soprintendenza, guidata da Alfredo Barbacci, a condurre un'azione di recupero e ricostruzione.
La presenza di tre arche di Glossatori dietro l'abside (Accursio con il figlio Francesco, Odofredo Denari e Rolandino de' Romanzi) è la conferma della presenza in San Francesco di scuole universitarie. In San Francesco vi è anche la tomba di Alessandro V, l'unico Papa sepolto a Bologna. La trecentesca pala marmorea sull'altare maggiore, un vero capolavoro in stile gotico, è opera dei fratelli veneziani Dalle Masegne. In San Francesco, fra gli altri, hanno la loro sepoltura  sia il grande musicologo e compositore Giovanbattista Martini, sia Alfonso Rubiani. Vi sono anche due chiostri: il primo, detto "Chiostro dei Morti" e trecentesco, mentre il secono è quattrocentesco.

sabato 13 agosto 2016

E: Enzo (Re e piazza)


Palazzo Re Enzo

"La prigionia dorata del sovrano bello e colto. Sconfitto nel 1249, fu sepolto in San Domenico.
Per noi bolognesi è Re Enzo, ma il suo altisonante nome fu Heinz o Enzio di Svevia Hohenstaufen, re di Sardegna, di Torres e di Gallura. Figlio naturale legittimo dell'imperatore Federico II e di Adelaide di Urslingen, nacque a Cremona nel 1220.
Sposò Adelasia di Torres, ma in seguito lei chiese al Papa l'annullamento del matrimonio per adulterio. Dopo aver vissuto a Sassari per qualche tempo, il padre lo nominò Vicario Imperiale per l'Italia centro-settentrionale.
Divenne il riferimento dei ghibellini e guidò l'esercito imperiale in molte azioni belliche nel Centro e nel Nord Italia riportando all'Impero città e terre della Chiesa, dalle Marche alla Romagna fino a Piacenza e Milano. Assieme alle truppe di Ezzelino da Romano (del quale Enzo sposò una nipote) compì altre azioni militari.
All'inizio del 1249 Modena fu attaccata dalle truppe dei Guelfi e Enzo decise di soccorrere i Ghibellini; ma il 26 maggio la cavalleria bolognese sorprese e sconfisse le truppe guidate da Enzo in località Fossalta, vicino a Modena. Enzo fu catturato assieme a 1200 fanti e 400 cavalieri. Il 24 agosto del 1249 fu condotto a Bologna e rinchiuso nel Palazzo Nuovo, costruito da appena tre anni, che, da allora, prese il nome di Palazzo Re Enzo. L'Imperatore propose ai bolognesi un riscatto per riavere il figlio, ma ricevette un diniego. L'anno dopo Federico II morì.
Il comune di Bologna decise di tenere Enzo prigioniero fino alla fine dei suoi giorni, a spese pubbliche, ma con attenzioni degne del rango reale: doveva essere custodito da ben 16 guardie da sostituire ogni 15 giorni (con compenso di due soldi al giorno da pagarsi da parte del Re). Enzo poteva ricevere persone, ma solo in presenza dei custodi. Infatti durante la lunga prigionia, pur rigorosamente sorvegliato, a Enzo furono permessi svaghi e privilegi degni di un Re: la possibilità di scrivere e quella di poter ricevere donne. Non a caso, oltre alla figlia Elena avuta dalla nipote di Ezzelino da Romano, ebbe, durante la prigionia, altre due figlie,  Maddalena e Costanza, alle quali, nel testamento, lasciò 1000 once d'oro ciascuna.
Pare che la sua "cella" fosse all'ultimo piano del palazzo in un salone di 400 metri quadrati e 7 metri di altezza; per attenuare il freddo invernale fu costruito un soppalco in legno. La prigionia di Enzo si protrasse per ben 23 ani: morì il 14 marzo 1272 e il Comune gli rese onore con un sontuoso funerale e gli attribuì, nella prestigiosa basilica di San Domenico, la sepoltura che ancora oggi è segnalata da una lapide sulla quale è inciso il suo profilo: dietro alla lapide, collocata nel 1731, vi è una cassa contenente le ossa di Enzo assieme ad una corona, agli speroni e ad una spada.
Fu uomo colto e raffinato: compose sonetti e canzoni. Nel testamento lasciò denaro ai donzelli, al sarto, ai medici, al calzolaio, ai cuochi. La sua figura diede origine a storie leggendarie come quella della presunta fuga nascosto dentro una brenta, poi raffigurata in una formella del portico del Palazzo del Podestà.

venerdì 12 agosto 2016

D- Domenico

"Il piccolo frate predicatore, che volle morire sotto le Torri. Spagnolo, di famiglia agiata, viaggiò in tutta Europa".
Nell'anno del Signore 1218 tre frati dell'ordine dei Predicatori misero piede per la prima volta in Bologna e dissero di essere stati invitati da un certo maestro Domenico, spagnolo (...) e siccome avevano nome di persone sante fu loro data la chiesa di Santa Maria di Mascarella.
Nella primavera del 1218, come scrisse il cronista, giunsero a Bologna alcuni confratelli di Domenico che si sistemarono in via Mascarella; poi arrivò il suo discepolo preferito, frate Reginaldo d'Orlèans, che fece nuovi adepti e nel 1219 acquisì la chiesa e il convento di S. Nicolò delle Vigne che sorgevano dove poi fu inalzata la Basilica.
Domingo di Guzmàn, proclamato santo da papa Gregorio IX nel 1234, nacque in Spagna a Caleruega nel 1170 da famiglia agiata; dopo aver compiuto gli studi, la vista della miseria lo indusse  a vendere ogni suo bene. A 24 anni entrò nell'ordine dei Canonici Regolari e fu ordinato sacerdote. Viaggiò in Europa e predicò contro l'eresia dei càtari soprattutto in Francia. Fondò poi l'Ordine dei Frati Predicatori, approvato da papa Onorio III il 22 dicembre 1216.
Nel 1220 Domenico, a Bologna, presiedette i primi due Capitoli Generali dove furono fissati i principi fondamentali dell'Ordine: la predicazione, la povertà mendicante, lo studio e la vita comune.
Domenico, già malato, tornò a Bologna a fine luglio 1221: i confratelli lo trasferirono alla Madonna del Monte, ma quando la malattia peggiorò egli chiese di essere riportato nel Convento di San Nicolò, dove morì il 6 agosto 1221. Nel 1306 Bologna lo scelse come uno dei quattro patroni della città.
Dopo la morte del Santo, i domenicani acquisirono aree e edifici circostanti San Nicolò delle Vigne, e avviarono la costruzione della nuova chiesa che si concluse nel 1233 e che papa Innocenzo IV consacrò nel 1251.
Il corpo di Domenico, dal 5 giugno 1267, fu custodito in una preziosa arca marmorea, opera di Nicolò Pisano. Nel 1383 l'arca fu aperta, ne fu estratto il capo per porlo nel reliquiario di Jacopo Roseto. Nel 1411 l'arca fu trasferita nella nuova Cappella di San Domenico. Nel 1469 il Senato finanziò il completamento delle sculture dell'arca con Nicolò, Michelangelo e Alfonso Lombardi.
Nei secoli successivi la Basilica fu ampliata e arricchita di grandi opere d''arte. Essa ospitò importanti sepolture: Re Enzo, Taddeo Pepoli, Guido Reni, Elisabetta Sirani...
Nel 1798 le soppressioni napoleoniche confiscarono il complesso domenicano: sorsero una caserma e abitazioni civili. Il Convento fu la sede bolognese dell'inquisizione fino al 1859. Nel 1820 i domenicani riebbero la chiesa e parte del convento: ma nel 1866 le soppressioni decise dal Regno d'Italia riportarono tutti i beni al Demanio, che cedette l'intero complesso al comune che vi aprì una scuola media; i frati si trasferirono in locali in affitto. Nel 1904 i domenicani rientrarono nella Basilica e nel 1933 nel loro convento.

C: Collegio di Spagna


Collegio di Spagna
"La scuola del cardinale che anticipò pure la storia. Ebbe il nome di una nazione che non esisteva ancora.
"Ordino che si faccia a Bologna un Collegio di scolari in luogo decente, non lontano dalle Scuole, dove si fabbrichi una conveniente abitazione con giardino, sale e camere, nel quale si edifichi una onorata Cappella in onore di San Clemente martire. E si comprino tante entrate che bastino sufficientemente a mantenerci 24 scolari, con quel governo di vivere che io ordinerò. La qual Casa o Collegio voglio che si domandi la Casa degli Spagnoli".
Queste le volontà contenute nel testamento del 29 settembre 1346 dal cardinale Egidio Albornoz (1310-1367), Arcivescovo di Toledo, poi incaricato da Papa Innocenzo IV di riportare sotto il dominio della Chiesa le terre che, approfittando della "cattività avignonese", erano divenute Signorie. Dunque, la volontà del Cardinale era di costruire un Collegio in luogo idoneo ma non lontano dall'Università; l'edificio doveva avere sale e camere per gli studenti, un giardino e una chiesa da intitolare a San Clemente Martire. Col denaro restante si dovevano acquistare terreni e immobili le cui rendite potessero garantire il mantenimento di 24 studenti e del personale, ed un futuro privo di preoccupazioni finanziarie.
L'ultima clausola del testamento fu la denominazione di "Collegio degli Spagnoli" che si rivelò un preveggente auspicio: la Spagna, come nazione, nel 1346, non esisteva, e solo dal 1492, con la caduta del regno arabo di Granada, vi fu l'unificazione dei vari regni spagnoli.
Le volontà di Albornoz non si limitarono a generiche indicazioni per la costruzione del Collegio, che resta ancora oggi il più antico esistente al mondo: egli dettò a Matteo Giovannelli detto Gattapone, l'autore dell'edificio, l'assetto, i dettagli e il significato stesso che intendeva dare al Collegio: un luogo di studio e di soggiorno, un luogo di silenzio e di incontri fra scolari e docenti, un luogo di meditazione e di preghiera.
E fu secondo questi dettami che il Gattapone realizzò la costruzione, iniziata il 1° maggio 1365 e conclusa il 25 febbraio 1367. Su due lati del cortile quadrato con duplice loggiato vi erano le 24 camere per gli studenti. Sugli altri due lati, le sale d'insegnamento e la cucina, e, di fronte, la Chiesa di San Clemente, la biblioteca, l'archivio, la camera del Rettore e quella dell'Imperatore, così denominata da quando ospitò Carlo V nel 1530.
La vita del Collegio fu sconvolta quando Napoleone, con decreto del 29 marzo 1812, soprresse il Collegio e mise all'asta i suoi beni immobili. Rimasero integri libri e documenti di archivio per merito del cappellano del Collegio, il cardinale Mezzofanti, che li recuperò e li conservò nella biblioteca comunale. L'immobile fu messo all'asta, ma nessuno si fece avanti. Chiusa l'epoca napoleonica, il cardinale Giustiniani si adoperò per restituire tutti i beni al Rettore, eccetto alcuni terreni venduti.
Ancora oggi, il Collegio di Spagna è una città nella città, un'isola spagnola che mantiene uno "status" di extraterritorialità, e che fa onore alla città che lo ospita da quasi 650 anni.

giovedì 11 agosto 2016

B: Bologna F.C.


Bologna F.C.


"Quella riunione in birreria per tirare calci a un pallone. Il primo presidente del club era un dentista svizzero. 
Il Bologna F.C. fu fondato su impulso del Circolo Turistico Bolognese, ospitato nei locali della Birreria Ronzani nella non più esistente via Spaderie, 6. Era il 3 ottobre 1909.Il circolo turistico fu il primo sponsor del Bologna che si costituì come Società Sportiva eleggendo la propria dirigenza: presidente fu il dentista svizzero Louis Rauch, vicepresidente G.Dalla Valle; uno dei consiglieri fu il ceco Emilio Arnstein, il vero animatore del progetto.
A Milano, a Genova e a Torinoil football si praticava da anni e anche a Bologna alcuni giovani, fra cui qualche straniero, avevano cominciato a tirare calci al pallone ai Prati di Caprara organizzando incontri con rappresentative di altre città: nel 1906 vi fu una partita fra bolognesi e ferraresi. Era un campo senza vere porte, senza segnaletica e "multiuso": ma, fino al 1911 fu il campo anche del Bologna F.C. che, solo dal febbraio 1911, potè utilizzare un campo "migliore", quello della Cesoia, una sorta di catino, lungo via Massarenti, sotto il livello della strada. Aveva anche tribune in legno per spettatori a pagamento, ma non gli spogliatoi: a tal fine fu stipulato un accordo con il ristorante la Cesoia per l'uso di due stanze.
Dopo due anni arrivò uno stadio assai più dignitoso: quello dello Sterlino (via Murri, poi denominato "Campo Badini" a ricordo di un calciatore del Bologna deceduto in giovane età) con porte, righe bianche, tribuna, gradinata e spogliatoi. Unico difetto - ma non da poco -: la pendenza del campo da gioco. Nella prima squadra del Bologna F.C, giocavano il presidente Rauch, il vicepresidente Dalla Valle e uno studente del Collegio di Spagna, Antonio Bernabeu, un laureando che faceva tante reti. Tornato in Spagna divenne dirigente del Real Madrid, squadra in cui giocava il fratello Santiago, che poi fu il leggendario presidente del Real Madrid.
Allo Sterlino, nel campionato 1924-25 il Bologna, allenato da Felsner, vinse il primo scudetto. Che fosse il momento di costruire un nuovo stadio lo comprese - per dare lustro alla città, al regime e a se stesso - Leandro Arpinati, capo dei fascisti bolognesi, che affidò l'incarico all'ingegnere Umberto Costanzini.
Il 12 giugno 1925 il re Vittorio Emanuele III posò la prima pietra e dopo più di un anno, il 31 ottobre 1926, Mussolini inaugurò il complesso sportivo costituito da stadio (il "Littoriale"), campi da tennis e due piscine di cui una coperta. La prima partita ufficiale (Bologna-Genoa, 1-0) fu giocata il 6 giugno 1927.
Col nuovo stadio iniziò la grande stagione degli scudetti del Bologna: cinque dal 1928 al 1941 con allenatori Felsner e Weisz.
Nel 1934 il Bologna passò nelle mani di Renato dall'Ara, Presidente per 30 anni fino alla morte alla vigilia del settimo scudetto.
La guerra portò via sette giocatori del Bologna e sei soci. Fu ricostruita la città e con essa il Bologna F.C che vinse, oltre allo scudetto del 1963-64, alcuni trofei fra cui due Coppe Italia, ma che conobbe anche la serie B e C per poi tornare nella massima serie.

mercoledì 10 agosto 2016

L'alfabeto di Bologna: A - Archiginnasio

E' dal venti giugno che il quotidiano "Il Resto del Carlino" dedica una pagina all'Alfabeto di Bologna, rubrica curata dallo storico Marco Poli.
Mi sono detta che è proprio un peccato che possa andare perso questo bellissimo e inusuale lavoro, quindi ho pensato di riproporlo  qui a beneficio anche di chi non sono della zona, e non hanno occasione di poter leggere queste rubriche.
Tutto quanto riportato è fonte de "Il Resto del Carlino" edizione Bologna.

Archiginnasio

"La prima casa dell'Ateneo, sorta per volere di un Papa. Pio IV decise la costruzione dell'edificio.
Oggi il simbolo di Bologna sono le Due Torri; per qualcuno è il "Gigante" Nettuno: ma, nei secoli passati, Bologna era nota nel mondo per la sua Università. Dunque, l'Archiginnasio - prima sede dell'Università - a buon diritto dovrebbe essere il vero simbolo di Bologna.
La costruzione dell'Archiginnasio, termine che significa "la prima scuola", iniziò nel 1562 e l'inaugurazione avvenne il 21 ottobre 1563. Ma partiamo dal 1088, anno che, per convenzione, vide la nascita dell'Università bolognese, per iniziativa privata. Furono i grandi giuristi, che dietro pagamento di una retta da parte degli studenti, svolsero l'attività di insegnamento nelle loro abitazioni, per lo più ubicate nella zona dove poi sorse l'Archiginnasio.
Nella stessa zona, in seguito, si insediarono botteghe di librai, sarti, fabbri, calzolai...Nei due secoli successivi, altre sedi di docenti furono ospitate presso San Procolo, San Domenico, San Francesco, San Salvatore.
All'epoca della costruzione di San Petronio (1390) i responsabili della fabbrica (Fabbricieri) realizzarono una costruzione lungo il Pavaglione, in continuità con l'Ospedale della Morte, proprio per ospitare - dietro pagamento di affitto - sia le botteghe, sia le aule dei docenti di sette scuole.
Si rese necessario lo "sfratto" delle prostitute che esercitavano in zona.
Quando fu deciso di costruire l'Archiginnasio si tenne conto della situazione culturale ed economica in essere: perciò il nuovo edificio si limitò a inglobare ciò che già esisteva. Lo sforzo di armonizzazione fu di Antonio Morandi il Terribilia, autore dell'
Archiginnasio con il portico di 30 arcate. Il costo fu di 63.862 lire, finanziate dalla Gabella Grossa, il dazio sulle merci in entrata e in uscita.
Resa nota la volontà di papa Pio IV di procedere alla costruzione dell'Archiginnasio, alcuni ritennero fosse un espediente per bloccare l'espansione della Basilica di San Petronio, impedendo che superasse quella di San Pietro a Roma. In proposito va sottolineato come la ricerca dei fondi per completare San Petronio fosse sempre più ardua (ne è la prova la facciata incompiuta); i Fabbricieri protestarono, ma si limitarono a chiedere o la proprietà dell'Archiginnasio o un rimborso sotto forma di affitto (che il Papa concesse).
Ma non erano stati gli stessi Fabbricieri a far costruire gli edifici delle Sette Scuole, bloccando l'espansione di San Petronio? dal 1564 iniziò la consuetudine di collocare gli stemmi di allievi e docenti: ne furono realizzati 7.000, ma ne restano 5.950.
Nel 1634 iniziò la costruzione del Teatro Anatomico. Con il trasferimento dell'Università a Palazzo Poggi (1803), l'Archiginnasio divenne sede (1846) della più importante biblioteca civica italiana.
Il 29 gennaio 1944 l'Archiginnasio fu gravemente danneggiato da un bombardamento. L'Archiginnasio aveva due "aule magne": la prima è diventata "Sala di lettura", la seconda fu denominata "Stabat Mater", a ricorda della prima opera omonima di Gioacchino Rossini (18 marzo 1842) diretta da Gaetano Donizetti.