Anche quest'anno ce l'abbiamo fatta a fare i panini per la benedizione di S. Antonio, panini da portare ai nostri animali e per i loro padroni :-). Ci tengo molto a questa tradizione, sono molto affezionata; mi fa sempre piacere osservare gli sguardi a messa, di chi li aspetta e diventa appagato quando vede che anche questo anno la tradizione è stata rispettata e gli sguardi di chi non conosce tutto questo e rimane affascinato e conquisato. La potenza di piccoli semplici panini, nulla di speciale, che però, sarà per il contesto, per la benedizione che gli viene impartita, non so, assumono questo fascino .e conquistano e rendono felici e partecipi tutte le persone presenti. Questo mi ripaga dell'impegno che ci metto nel prepararli. Peccato non siano mai presenti molti ragazzi giovani, ma questo è un altro argomento.
Buon Sant'Antonio!
Quello che riporto è preso da "storie di pianura" Bellissima testimonianza.
L’ORATORIO DI SANT’ANTONIO
Camminando sulla Via Viadagola, alle spalle la Borgata Cividale, ora completamente rinnovata,
proseguendo oltre l’incrocio e la prima casa, la distesa di terreni agricoli si interrompe con una casa
colonica a due acque (o falde) e una torretta che, pochi anni addietro era decadente. Sul lato strada si
affaccia un piccolo Oratorio annesso al caseggiato.
L’edifico, testimone di una corte agricola, con un albero plurisecolare, ora sradicato e disteso sul prato, a
raccontare secoli di dominio e ristoro dal ritorno dai lavori della terra. Sulla strada, stretta e con scarso
traffico si resta ammutoliti da quel piccolo gioiello che è l’Oratorio dedicato a Sant’Antonio.
Una breve nota sulla strada retrocede di 5 secoli “FONDO S. ANTONIO. Complesso rurale di origine
cinquecentesca. La casa è sormontata da torre colombaia, il tetto è a due falde con ampi spioventi
che sul lato nord mostrano interruzioni diagonali formate da embrici, per meglio convogliare le
acque piovane. Addossato all’edificio è presente un minuscolo oratorio dedicato a S. Antonio”.
Come tanti Oratori di campagna, della nostra Bassa bolognese il tempo e il vandalismo hanno preso il
sopravvento. La loro magnificenza e i tanti eventi che solo le pietre preservano, sono passati a miglior vita
come chi ne ha curato il culto ed ha abbellito l’altare nel giorno della ricorrenza. Soprattutto il 17 gennaio,
Sant’Antonio, i contadini attendevano la benedizione del Parroco. I luoghi puliti, sanati con acqua e creolina
(maleodorante, ma usato come disinfettante), era per le residenze degli animali domestici, per i posatoi e
per i nidi, il luogo di benedizione e di affissione dell’effige del Santo. Le mucche venivano spazzolate, i suini
governati per evitare il loro grugnire. Il parroco, don Ferdinando Mantovani di Viadagola, dapprima
recitava la Santa Messa, poi si dirigeva alle case coloniche dove era atteso quasi fosse un Vescovo.
Effige di Sant’Antonio che veniva affissa nei luoghi degli animali
L’Oratorio di Sant’Antonio, ad una sola navata, ha vissuto i suoi fasti quando, la signora Maria Fantazzini
(1929-2014) coniugata Zacchini, mamma di Gianni (che mi ha prestato i suoi ricordi) abitava insieme al
marito Enrico (1920-2005) e ai figli Gianni (oggi 70enne, nato in villa Filicori e poi emigrato in Dugliolo, e
poi Via Viadagola all’età di sei anni) e Franco (1953-1997) mancato purtroppo all’età di 44 anni, il civico 78
di quella grande casa.
Lì, vivevano 3 nuclei: Zacchini, Bonfiglioli e Zucchelli.
Zacchini Enrico e il fratello con rispettive prole e gli anziani Pompeo (02/05/1891-08/07/1965) coniugato
con Ersilia Sgarzi (20/12/1893-25/01/1990), Lambertini Rinaldo capofamiglia con Bonfiglioli Fernanda (oggi
centenaria), Aldo e la nipotina Nilla (oggi settantenne), poi il nucleo unipersonale Zucchelli, che negli anni
60 sommava già 80 anni.
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Quando il fondo, che Pompeo ed Ersilia conducevano a Dugliolo, divenne troppo scarso per la famiglia che
si formò in seguito alle nascite e poi matrimoni, nella ricorrenza di San Michele, traslocarono a Granarolo,
sempre in un podere dello stesso padrone. Il precedente mezzadro in dialetto era chiamato “Bondè”, che in
origine sarebbe Bondi. La nuova dimora vedeva già residenti i Bonfiglioli-Lambertini e Zucchelli.
Ersilia Sgarzi, nonna paterna di Gianni, al momento in cui andò a risiedere in Via Viadagola, n. 78,
provenendo da Dugliolo, si rasserenò quando vide sulla facciata di casa la targhetta che precisava il civico n.
78. Aveva sempre sostenuto che non avrebbe mai voluto abitare al civico n. 90. Il numero novanta, era
usanza affermare che fosse quello dei matti. La nonna Ersilia era una donna energica e sveglia e alla sua
veneranda età di 97 anni giocava a briscola, battendo sul tavolo gli assi, fino a pochi giorni prima della sua
salita in cielo. Una brutta caduta le fu fatale, una frattura al femore la costrinse a una settimana di degenza
e poi all’abbandono della terra dopo un quarto di secolo di vedovanza. Quando la nonna Ersilia lasciò i suoi
cari, era già trasferita insieme ad Enrico e Maria, Gianni e Franco a Granarolo da via Irma Bandiera a via San
Donato.
La corte si prestava ad accogliere i giochi dei fanciulli, sorvegliati da un adulto, quando tutti gli altri
componenti le famiglie erano al lavoro nei campi. I bambini frequentavano le scuole elementari di Lovoleto
(ora l’edificio è stato convertito in un B&B), poi nel 1963 la famiglia di Enrico lascia quella casa e una
porzione di terreno viene presa a lavoro da Bonfiglioli-Lambertini e l’altra dalla famiglia Cristiani che
occupava la attuale prima casa dopo l’incrocio con la Trasversale.
L’anziano Zucchelli, che non aveva terreno in dotazione, intratteneva le giovani spose del cortile con delle
storielle o zirudelle, entrava nella sua abitazione proprio dalla porta adiacente l’Oratorio. A piano terra una
minuscola cucina e una scala ripidissima che portava alla stanza da letto. La vita dell’anziano era scandita
dai suoi viaggi in bicicletta da casa a Granarolo-paese due volte al giorno. Al mattino e poi la sera. Era solito
intonare la canzone in voga già dal 1959 “…. Marina, Marina, Ti voglio al più presto sposar, Oh, mia
bella mora, No, non mi lasciare, Non mi devi rovinare, Oh, no, no, no, no, no …..” e la sua cantata si
avvertiva dopo poco che aveva lasciato Granarolo-paese. Era solito farsi servire al bar un buon bicchiere di
vino. Nelle notti d’inverno vestiva la “capparella” e il cappello e si proteggeva le mani sul manubrio con un
lembo del grande mantello. La strada ghiaiata, l’assenza di illuminazione pubblica non erano mai stati i
nemici dei suoi rientri serali, infatti non era mai caduto a terra. Il suo cantare era l’avvertimento che stava
rientrando e più forte era la voce più si era certi si avvicinasse a casa.
Solo una volta finì a terra, ma fu uno “scapuzzo” dovuto al piancito sconnesso del cortile dove le punte
delle pietre sbucavano quasi a prova di equilibrio sulle gambe. Zucchelli viveva solo, aveva un nipote che
esercitava la professione di barbiere. E, presso la bottega di Zucchelli all’età di 16 anni iniziò ad
apprendere il mestiere un giovane granarolese. Valerio faceva “l’apprendista” e spesso si sentiva ripetergli
“Cinno, prepara la savunè; Cinno acqua e savon”. Zucchelli se ne andò in cielo quando ancora i Zacchini
erano presenti in Via Viadagola.
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