lunedì 31 ottobre 2016

Budino di cachi

Questo dolce me lo porto come ricordo di una bellissima serata trascorsa con le mie amiche di infanzia. Si tratta di un budino al cioccolato vegano, che al posto di avere uova latte e farina ha...un caco. Sfido chiunque che sia all'oscuro ad indovinare che non si tratta di un budino "convenzionale".
Facilissimo e velocissimo da fare è squisito. L'ho già fatto tre volte e penso che continuerò proprio a farlo!Grazie Lorena!
Gli ingredienti sono indicativi perchè dipende dalla grandezza del caco e dal grado di maturazione.

Budino di cachi

Ingredienti

1 caco
3 cucchiai cacao amaro

Frullare il caco con il cacao. Se risulta liquido aggiungere altro cacao  finchè non presenta una consistenza di una crema appena cotta. Nel caso aggiungere anche un cucchiaio di zucchero a velo, altrimenti prende molto l'amaro del cacao amare. Prendere uno stampino da budino, bagnarlo e versarvi il composto. Mettere in frigorifero per 2-3 ore. Capovolgerlo e decorarlo a piacere, con mandorle, granella di nocciole...

domenica 30 ottobre 2016

Messicani Sorelle Simili


  
Buoni per un buffet o come aperitivo. Riporto quanto scritto da Marina Braito su Coquinaria:
Dall'ultimo corso delle Simili ecco una nuova ricetta inedita, che ha riscosso un discreto successo tra noi partecipanti. Io li ho già fatti e li trovo ottimi, oltre a molto versatili (si possono freezerare a metà cottura e finire di cuocere prima di servire, quando servono). Ideali come aperitivo o come snack per picnic e scampagnate.

PAN BRIOCHE 

Ingredienti

Per il lievitino
150 g farina 00 di forza
90 g di acqua
30 g di lievito di birra

Impastare velocemente e fare riposare per 40-45 minuti fino al suo raddoppio coperto a temp. ambiente.

Per l'impasto

350 di farina 00 di forza
50 g di acqua
100 g di burro a pomata
30 g di zucchero
10 g di sale
2 uova

Fare un impasto sul tavolo con il resto degli ingredienti e lavoratelo bene.
Appena il lievitino è pronto mettetelo sul tavolo schiacciatelo bene e tiratelo con il le mani, mettete al centro il secondo impasto poi cominciate a lavorarlo battendo finché non ci saranno più striature bianche il che indica che i due impasti si sono già completamente amalgamati.
(Io ho impastato tutti gli ingredenti dell'impasto con l'impastatrice e alla fine ho aggiungo il lievitino a pezzi e ho lavorato per ca. 10 min su vel. 1)
Mettere in una ciotola unta di burro e fatelo lievitare per 1 ora - 1 ora e mezza.

I MESSICANI

Ingredienti:

400 g Pasta di Pan Brioche lievitata
150 g di mozzarella sgocciolata e tritata
100 g di speck tritato

Stendere la pasta in un rettangolo di circa 30x15 e dello spessore di circa 1 cm.
Ricoprire la pasta prima con la mozzarella a dadini fino ai bordi poi con lo speck tritato.
Arrotolare il tutto dal lato lungo poi tagliare a fette di circa 2 cm, metterle su di una teglia ricoperta con carta forno un poco distanziate, lasciare lievitare per 50-60 minuti.
Cuocere a 200° per circa 6 minuti.
(io li ho cotti 10 min in forno ventilato e poi li ho lasciati raffreddare e li ho freezerati ed erano ancora bianchissimi ... in seguito li ho cotti altri 7-8 min; quindi penso che in totale ci vogliano 12-15 minuti)
Si possono anche disporre sul ripieno pinoli o noci.
L'impasto viene arrotolato dal lato lungo


sabato 29 ottobre 2016

Panini mignon al latte Laura Ravaioli

Questi panini sono mitici. Li ho fatti e rifatti per le feste della mia peste. Sono sempre eccezionali. Laura Ravaioli è una garanzia! Qui li ho fatti in versione maxi, per le merende/pasto di mia figlia a scuola. Sono spettacolari anche farciti e congelabili.

Panini mignon al latte

Ingredienti


1 kg di farina 
20 gr di sale 
50 gr di zucchero 
gr 400 di latte tiepido (forse anche un pochino di +)
gr 50 di lievito di birra 
gr 200 burro (a temperatura ambiente) 

A mano, su un ripiano, (oppure con l'aiuto di una impastatrice) versare la farina, il latte tiepido col lievito disciolto dentro, sale, zucchero e il burro "a pomata" (ossia morbido, a temperatura ambiente).
Lavorare finchè l'impasto è omogeneo.
Se si desidera un pane aromatizzato all'interno, aggiungere ORA gli ingredienti.
[Suggerimento ingredienti all'interno: noci tritate; olive nere e/o verdi tritate; rosmarino tritato; uvetta; scalogno o cipolla stufati in olio + pancetta affumicata a dadini, passata in padella; dadini piccoli di pomodoro (messo a perdere l'acqua di vegetazione con del sale, dentro un setaccio) + basilico tritato; dadini di bacon croccante; cipolla soffritta, etc..]
Se si vogliono aromatizzare solo in supeficie, si possono aggiungere degli ingredienti prima di infornarli.
[Suggerimento ingredienti in superficie: semi di papavero, di cumino, di finocchio, di sesamo, etc..]

Ma torniamo al nostro impasto.
Formare una palla, metterla in una ciotola capiente e praticare un taglio a croce sulla superficie: servirà per rendersi conto del grado di lievitazione raggiunto.
Coprire la ciotola con 1 canovaccio pulito, bagnato e strizzato.
Mettere a lievitare nell'angolo + caldo e riparato da correnti della cucina per circa 1½ h (dipende dalla temperatura che si ha in casa).
Una volta lievitato bene, lavorarlo leggermente con le mani e togliere dall'impasto piccoli quantitativi di pasta per formare delle palline (25-30g), tutte uguali, schiacciandoli leggermente e rotolandoli sul ripiano, aiutandosi col palmo delle mani "a coppa".
Disporre le palline su una teglia da forno ricoperta di carta da forno.
(Nota: in ogni pallina ci sarà un "punto di chiusura": fare in modo che venga messo sotto, a contatto con la teglia, altrimenti durante la cottura tenderà ad aprirsi in quel punto, rovinando l'effetto "pallina")
Spruzzare bene le palline con del latte posto dentro uno spruzzatore nuovo e pulito.
(questo accorgimento impedirà alla superficie di seccare durante la seconda lievitazione).
[A questo punto, se si desidera, si possono aromatizzare in superficie coi semi summenzionati.]
Mettere la teglia a lievitare nel posto + caldo e riparato della cucina per circa 1 h, o finchè avranno raddoppiato il loro volume.
Quando saranno lievitati a dovere, dare un'altra spruzzata abbondante di latte in superficie: oltre a conferire un colore dorato ai panini, ciò contribuirà a farli gonfiare maggiormente perchè l'umidità non farà seccare subito la crosta, col calore del forno.
Infornare alla massima temperatura per circa 10 minuti.
Una volta cotti, i piccoli panini risulteranno leggeri, soffici e dorati.
Spruzzarli nuovamente, appena usciti dal forno, stavolta solo leggermente, col latte: ciò conferirà loro un aspetto lucido e li manterrà + morbidi.
A questo punto si possono servire così, oppure farciti di pomodoro + mozzarella + basilico od origano, oppure salame ungherese, prosciutto cotto + maionese.. etc..
Oppure, tagliandoli a metà (ma lasciando la calottina unita in un punto) si possono farcire con una CREMA DI FORMAGGIO MORBIDO (tipo Philadelphia o ricotta o mascarpone etc..) lavorata insieme con PESTO.
Ho impastato un chilo e mezzo di roba con il kitchen aid seguendo le istruzioni alla lettera,ho diviso in tre parti,una l’ho lasciata tal quale,nella 2° ho messo un trito di olive verdi e nere,nella 3° del bacon rosolato in padella con dello scalogno,il tutto “strizzato “bene per togliere l’unto!

Una volta cotti li ho spruzzati più volte con il latte,quando si sono completamente freddati li ho messi in sacchetti e congelati.
La sera prima del rinfresco li ho presi fuori dal freezer e prima di servirli li ho passati 5min in forno: sublimi sembravano appena fatti.
Nelle mie intenzioni c’era quella di servire i panini alle olive farciti con pomodoro e mozzarella,quelli al bacon e scalogno con una crema di robiola e erba cipollina e quelli bianchi con affettati misti.

venerdì 28 ottobre 2016

Panini all'olio

Questi panini sono una ricetta che seguo da anni. Sono sofficissimi!!! La ricetta è di Lilla Marzo
Sono facili da fare e squisiti da mangiare. Ottimi anche congelati.
Splendidi in versione da buffet. Da fare, insomma. :-)

Panini all'olio

Ingredienti

150 gr farini manitoba
250 gr farina 00
200 gr circa di acqua
40 gr di olio e.v.
18 gr di lievito
sale un cucchiaio
zucchero un cucchiaino

Impastare gli ingredienti come fate di solito, avendo cura di sciogliere il lievito in poca acqua. Lasciare riposare l'impasto coperto per almeno un paio di ore in un ambiente non freddo. Una volta lievitato, dare forma ai panini e metterli a lievitare di nuovo in forno acceso e spendo a 50 gradi per un'altra ora. Dopo la seconda lievitazione, spennellare con un poco di uovo sbattuto e infornare a 180 gradi per 20 minuti, non di più.

versione buffet


giovedì 27 ottobre 2016

T: torri

Storia, muscoli e ricchezza. Sono il simbolo della città. L'Asinelli, la regina:fu anche prigione all'aperto.
Costruite fra il XII e il XIII secolo, le torri bolognesi furono almeno un centinaio, ma vi è chi sostiene fossero molte di più. Le pareti erano realizzate con la tecnica "a sacco", quella che si utilizzava per costruire le fortificazioni e le mura: si trattava di due muri paralleli tra i quali si gettavano ciottoli, pietrisco e calce. La base era realizzata con selenite, un gesso crudo estratto dalle cave di Monte Donato, e le fondamenta affondavano fino a 6 metri.
Molti si chiedono: a cosa servivano le torri? Premesso che sono un fenomeno urbanistico e architettonico circoscritto al periodo che va dal XXII secolo alla prima metà del XIII, le torri, nei periodi turbolenti, erano strumenti offensivi e difensivi, ma servivano alle più importanti famiglie a esibire ricchezza, stato sociale, muscoli.
Furono importanti per la crescita delle tecniche costruttive e ancora oggi destano meraviglia per l'abilità e la sapienza dei costruttori. In base alla misura del perimetro della torre è possibile risalire alla loro altezza originaria. I fori tuttora presenti sul paramento murario erano quelli utilizzati dai ponteggi e venivano lasciati per consentire opere di manutenzione.
Man mano che la costruzione della torre sale verso l'alto, il muro si assottiglia e, di conseguenza, lo spazio interno cresce.
Alcune delle torri superstiti hanno un altezza inferiore a quella originaria: o rimasero vittime di eventi naturali (come i terremoti) o di incendi, oppure furono appositamente mozzate per vendetta o per sicurezza (la Garisenda fu ridotta di 12 metri).
La prima torre di Bologna (1109) fu l'Asinelli: alta 97,20 metri, con fondamenta di 6,50 metri e una base di selenite di 3,70 (di cui 1,70 interrati). Nel 1352 fu realizzato un "corridore" in legno per poter sorvegliare dall'alto le zone circostanti; la struttura, sulla quale stavano le guardie, collegava l'Asinelli alla Garisenda come dimostrano i grandi fori ancor oggi visibili sul fianco della Garisenda. Il corridore fu distrutto da incendio nel 1399.
Alcune curiosità sull'Asinelli: nel secolo XIV, all'esterno della torre fu appesa una gabbia di ferro al cui interno scontavano la pena di morte ecclesiastici condannati per gravi delitti. E poi, per due secoli, fu collocata una lumiera sulla cima: era un grande braciere che veniva riempito di stoppa immersa nella pece o in altro tipo di grasso. Il pennacchio di fuoco segnalava anche oltre i confini di Bologna la necessità di precipitarsi in città. Nel 1824 fu collocato l'impianto parafulmine e il 7 aprile 1878 Luciano Monari scese, fra gli applausi del pubblico, dalla Asinelli servendosi del filo metallico del parafulmine.
Oggi le torri superstiti sono 23, alcune visibili, altre inglobate in edifici.  La gran parte di esse è di proprietà privata. Le ultime torri ad essere abbattute, nel 1919, furono l'Artenisi, la Riccadonna e la Guidozagni che sorgevano fra via Caprarie e via Rizzoli

mercoledì 26 ottobre 2016

S: Salumifici

Il segreto della mortadella? La produzione a vapore. Il successo viaggiò con le scoperte tecnologiche.
Nella Bologna dei secoli scorsi il potere locale ha sempre avuto un occhio di riguardo nei confronti di chi produceva salumi, cioè l'Arte dei Salaroli, unici autorizzati a produrre la mortadella.
Non bisogna, però, pensare che la mortadella fosse l'unico salume prodotto in città: di sicuro era quello più caro (14 bolognini). Seguiva a ruota il salame (12 bolognini), lo strutto (4 bolognini e 4 quattrini), il prosciutto (4 bolognini), la salsiccia  e la pancetta (3 bolognini e 4 quattrini) e infine il lardo (3 bolognini e 2 quattrini). Da questo listino seicentesco  si comprende come i prezzi maggiori riguardassero quei salumi che comportavano una preparazione artigianale più lunga e complessa.
Tutto cambiò dalla seconda metà dell'Ottocento, quando questi salumi bolognesi (in particolare della mortadella) spinse i produttori ad uscire dalla dimensione artigianale per puntare su quella industriale: si impiegò più personale e aumentò il giro d'affari in maniera cospicua, soprattutto da quando si aprirono i mercati esteri. Era giunto il momento di puntare sulla tecnologia e si aprì la stagione dei nuovi stabilimenti alimentati da una nuova energia meccanica, quella dei motori a vapore, un'energia utilizzata da un secolo in Inghilterra e alla quale si deve il grande sviluppo industriale inglese.
Alcune industrie  che avevano investito nei nuovi macchinari (Fratelli Nanni, Fratelli Zeppoli, Luigi Fiorini, Ulisse Colombini) introducendo l'energia dei motori a vapore, nella loro pubblicità evidenziarono l'espressione "stabilimento a vapore". Ciò non toglie che Bologna fosse ancora assai arretrata: basti pensare che mentre a Londra funzionava il metrò (1863), a Bologna non si viaggiava nemmeno col tram a cavalli (1880).
Dopo l'industrializzazione della produzione dei salumi, vi fu un'altra innovazione tecnologica, fondamentale per l'esportazione: la chiusura ermetica dei contenitori dei salumi. Nacque così la "mortadella in scatola", che provocò un ulteriore indotto industriale e maggiore occupazione. Ad intestarsi questa invenzione furono vari industriali fra cui Medardo Bassi, nipote di Ugo Bassi e fervente garibaldino, che aveva aperto un'industria di salumi.
L'industria a vapore e la chiusura ermetica aumentarono le esportazioni, crearono forti utili alle aziende, più occupati e migliori stipendi per i lavoratori. Il settore dei salumi ebbe sviluppi ulteriori ed emersero, nel Novecento, aziende di varie dimensioni: l'esempio più significativo è quello dei fratelli Ivo e Gino Galletti che, assieme a Gino Brini, nel 1945, in un modesto locale di via Riva Reno, aprirono un laboratorio per produrre mortadella. L'impresa crebbe fino ad aprire una grande sede a Zola Predosa: è la storia della Alcisa, che divenne il più grande salumificio della nostra provincia. Insomma, dal 1870 Bologna era già la città del cibo: i salumi e la pasta fresca generarono ricchezza, progresso e lavoro.

un bolognino
un quattrino



lunedì 10 ottobre 2016

R: Rialto (la via e il canale Savena)

Le acque turbinose di quel canale Fiaccacollo.
Qui si divideva il Savena, energia per gli artigiani.

C'è una ragione ben precisa se la denominazione precedente di via Rialto fu "Fiaccacollo". Infatti, fino a 170 anni fa questa via era un canale.
Ma andiamo per ordine: l'anno 1176 fu un anno fondamentale nella storia di Bologna e accaddero avvenimenti di grande influenza  sul futuro economico e urbanistico della città. Nel maggio 1176 la battaglia di Legnano vide la Lega Lombarda, cui aderiva Bologna, sconfiggere Federico Barbarossa; nei mesi successivi le autorità comunali decisero sia la costruzione della seconda cerchia di mura (detta "dei Torresotti" o " del Mille", sia la canalizzazione delle acque del Savena verso Bologna.
Secondo lo storico Cherubino Ghirardacci, il Comune decise di realizzare una rudimentale chiusa in legno a San Rufillo per canalizzare le acque del Savena verso Bologna con l'obiettivo di far funzionare numerosi mulini da grano: in breve tempo entrarono in azione ben 32 mulini. Il comune, dunque, finanziò i lavori di canalizzazione che, dopo 5,3 chilometri, fecero giungere le acque del Savena alle porte di Bologna.
Nel 1220 la chiusa di San Rufillo fu ricostruita e fu deciso che le acque che entravano a Bologna da via Castiglione subissero una biforcazione: la prima entrava in via Castiglione (che fino al 1661 era un canale), mentre la seconda entrava in Fiaccacollo (altri, via Fiaccalcollo). Questa denominazione nasceva dal fatto che un dislivello determinava un maggior impeto delle acque che, quindi, diventavano più ambite per le varie lavorazioni tessili.
Nel 1289, al trivio con le vie Orfeo, Fiaccacollo e Castiglione, fu costruito un ponte sul canale.
Questo ramo del canale Savena, dopo aver percorso via Fiaccacollo (non a caso priva di portici) entrava nelle attuali via Guerrazzi, piazza Aldrovandi, via G. Petroni, via Castagnoli finendo con l'immetersi nel vicino corso del torrente Aposa: questo percorso altro non era se non il tracciato del fossato della cerchia del Mille.
Questa preziosa acqua portava beneficio al quadrante Castiglione, Castellata-Rialto e per disposizione statutaria doveva essere utilizzata da filatoglieri, tintori, cartolari e pellacani. Dunque una zona di grande produttività  nel settore tessile (dalla filatura alla colorazione) e dalla lavorazione della pelli (cartolerie).
Nella antica Bologna, via Rialto ha svolto un ruolo di rilievo: lì furono attivi mulini da galla (per macinare le ghiande), tintorie e, dal 1341, un importante filatoio idraulico gestito dalla famiglia Bolognini. Ancora oggi, in via Castellata 4, è possibile osservare il portale a sesto acuto della loro casa.
L'acqua del canale Savena e quella del vicino torrente Aposa agevolarono la nascita di attività artigianali che necessitavano di acqua. Ne resta traccia evidente nella toponomastica: via Arienti (lavorazione dell'argento), via dell'Oro (lavorazione dell'oro), via delle Chiudare (dove si stendevano i tessuti dopo la tintura).
Nel 1840 il canale Fiaccacollo fu coperto e dal 1874 tutta la via fu denominata Rialto.

mercoledì 5 ottobre 2016

Q: quadrilatero

Qui pulsa il cuore antico del nostro centro storico.
L'area ha le proprie origini nella romanità
Il quadrilatero non è solo un supermercato all'aperto: non c'è o non c'era solo commercio e artigianato. in quella nobile parte di Bologna, trovarono spazio la fede, la sanità, la cultura, l'arte, il credito, l'acqua.
Delle numerose chiese esistenti, resta la Chiesa della Vita con annesso oratorio dove si recano molti turisti per ammirare il Compianto di Nicolò dall'Arca e il grande complesso scultoreo di Alfonso Lombardi, il Transito della Vergine. Attiguo a chiesa e oratorio c'era l'ospedale della Vita, il primo ospedale di Bologna fondato nel 1287.
In seguito, dove oggi ha sede il Museo Civico Archeologico, a metà del trecento, fu fondato l'Ospedale della Morte. L'Ospedale della Vita, nel 1725, fu trasferito in via Riva Reno: colpito dai bombardamenti nel 1944, prese il suo posto l'Ospedale Maggiore costruito nel 1963, il "pronipote" dell'Ospedale della Vita.
Nel Quadrilatero si insediò la prima sede dell'Università degli Studi di Bologna, l'Archiginnasio, che inglobò le sedi dei docenti preesistenti in quell'area; quando fu decisa la nuova sede dell'Ateneo in Palazzo Poggi, l'Archiginnasio divenne biblioteca civica.
Anche il credito fu presente in quest'area: nel 1473, il Monte di Pietà di Bologna aprì la prima sede dove oggi vediamo il Caffè Zanarini, per poi trasferirsi nei locali attigui all'Ospedale della Morte. Ai confini del Quadrilatero fu innalzato il prestigioso immobile della Cassa di Risparmio in Bologna, costruito fra il 1868 e il 1876, su progetto di Giuseppe Mengoni (che realizzò, fra l'altro, la Galleria Vittorio Emanuele a Milano).
Tante attività commerciali e artigianali avevano necessità di acqua: fu l'Aposa, torrente capriccioso e pericoloso, a svolgere un ruolo decisivo per il benessere  del Quadrilatero, offrendo le proprie acque e ricevendo quelle sporche attraverso un filtro reticolato di chiaviche e di chiavicotti.
Proeveniente da vicolo San Damiano, l'Aposa entrava nel Quadrilatero scorrendo sotto l'attuale piazza Minghetti per poi giungere in via Clavature e, attraversata la via Mercato di Mezzo (Rizzoli), entrava nell'ex ghetto ebraico.
L'antica toponomastica della zona, caratterizzata da nomi di arti e di mestieri,  rivela la sua vocazione economica: Orefici, Calzolerie, Pescherie, Clavature, Drapperie, Artieri, Caprarie, Ranocchi e le non più esistenti  Cimarie, Pellicerie, Zibonerie, Spaderie; senza dimenticare il Pavaglione che ci ricorda il mercato dei follicelli o bachi da seta, che funzionò dal 1449, fondamentale per la vita economica della città.
Oggi sono circa 340 i negozi presenti nel Quadrilatero, ai quali va aggiunto il recente complesso chiamato (impropriamente) "Mercato di Mezzo".

martedì 4 ottobre 2016

P: Pane

Una "firma" e il fornaio era costretto all'onestà. Una regola del '600 per evitare di rubare sul peso.
Nella Bologna medievale, dove si affermarono le Corporazioni delle Arti e Mestieri, solo ai fornai non fu consentito di fondare una loro Corporazione. Fin dai primi Statuti del Comune "il ciclo del pane" era regolamentato in modo dettagliato: dai mulini da grano (molti di proprietà comunale), alle norme sul commercio (era vietato "esportare" grano, farina e pane) fino al controllo sulla vendita del pane il cui prezzo era stabilito dal Comune stesso.
Il pane era alimento quotidiano fondamentale e i Comuni efficienti e previdenti, consapevoli di possibili carestie, provvedevano a creare "scorte" di grano per far fronte ai momenti di emergenza alimentare. Basti pensare che il Comune di Bologna a fine duecento acquistò la casa del giurista Accursio (ora parte del palazzo Comunale) per immagazzinare le riserve alimentari (granaglie). Anche nei secoli successivi il ruolo del Comune fu totale: non solo stabilì (1606) un "calmiere" del pane, ma oltre al prezzo fissò anche il peso, la qualità e le caratteristiche dei forni.
Produrre il pane in casa era cosa da ricchi: per gli altri cittadini cuocere il pane aveva costi elevati e perciò si rivolgevano ai vari tipi di forni: c'erano quelli che, con la farina dei clienti, eseguivano l'impasto  preparato dal cliente e, infine, quelli che eseguivano il ciclo completo e vendevano le pagnotte secondo le regole comunali che fissavano peso e prezzo di ogni pagnotta. Vi fu chi accusò qualche fornaio di rubare sul peso: e allora il comune, il 12 agosto 1637, impose ai fornai di "porre nelle teglie delle loro impastarie il nome e cognome ed il vero peso della farina". Insomma, sul fondo del recipiente che conteneva l'impasto doveva esserci un simbolo di riconoscimento del fornaio, una specie di "logo": così, dopo la cottura, sarebbe rimasta impressa sulla pagnotta la sua "firma". I fornai che non "firmavano" il loro pane erano multati con 100 scudi d'oro e col sequestro di tutto il pane presente nel negozio.  Una curiosità: l'unico pane bianco era prodotto dal forno di Santo Stefano (erano accanto alla Chiesa del Crocifisso) in virtù di un privilegio del 1449 di papa Nicolò V. Erano pagnotte di piccole dimensioni, attaccate l'una all'altra e si vendevano in numero almeno di quattro per volta e non a peso. Il monopolio cessò nel 1796. Il forno, tramite gara d'appalto, era dato in gestione ai privati che riconoscevano ai monaci un affitto.
E veniamo ai tempi più recenti: cento anni fa il sindaco di Bologna Francesco Zanardi per contrastare l'aumento del costo del pane (+30%) dopo l'entrata in guerra dell'Italia, decise la costruzione di un grande forno comunale in via Don Minzoni che produsse 500 quintali al giorno di pagnotte da 600 grammi a prezzi inferiori di oltre il 30% rispetto ai forni privati. In quei terribili giorni a nessun bolognese mancò il pane quotidiano.
Per questa iniziativa, Zanardi si meritò l'appellativo di "Sindaco del pane".